
Il capitale documediale è la nuova forma di capitale. Supera le forme che abbiamo vissuto in passato: il capitale industriale che produceva merci attraverso le fabbriche e macchinari e il capitale finanziario, che produceva ricchezza attraverso le borse e la speculazione finanziaria.
Il capitale documediale, produce documenti e dati che sono anche e soprattutto frutto delle nostre interazioni sui social network e sui social media.
Oggi, ogni nostra azione viene memorizzata e archiviata e, così ‘registrata’, produce un ‘documento’ attraverso i dispositivi digitali e con i device mobili: principalmente con gli smartphone.
La rivoluzione digitale, ha dato origine a un effetto senza precedenti: la costante, inarrestabile produzione e proliferazione dei ‘documenti’, frutto dei processi di registrazione di cui siamo i primi attori. È un incredibile volume di documenti, i cui argomenti interessano qualsiasi ambito, proprio perché tutto può essere memorizzato in qualsiasi momento.
Queste registrazioni possono significare poco per noi “umani”, o, addirittura, possono costituire un problema. Basti pensare che ognuno di noi si sente vittima del cosiddetto “overload informativo”, quel fenomeno di sovraccarico che rende spesso inutilizzabili le informazioni, proprio a causa della loro sovrabbondanza.
Poichè i sistemi di calcolo oggi non hanno difficoltà ad elaborare immense quantità di dati, l’overload informativo resta un problema per gli umani ma non per le ‘macchine’.
Quello che per noi non ha valore, anzi rappresenta un problema, per le piattaforme che raccolgono i nostri dati e per le aziende che li usano, ha un’utilità altissima che le ha portate ad accumulare un ingente valore nel capitale documediale..
Il secondo punto riguarda la trasformazione orizzontale della medialità, in cui i nuovi social network fanno sì che ogni ricettore di messaggi ne sia anche produttore. La comunicazione è ora un processo molti-a-molti, e, soprattutto, ogni atto comunicativo è preceduto e reso possibile da una memorizzazione; qualsiasi cosa detta, da chiunque, può essere conservata e diffusa.
Attraverso questi processi si sviluppa un fenomeno per cui il ‘documento’ diviene nuova (e centrale) forma di merce ed entra all’interno di una rivoluzione del lavoro, che ridefinisce appunto le forme di vita e genera il nuovo tipo di capitale.
Come dobbiamo interpretare i fenomeni generati dalla 4a rivoluzione industriale?
È importante inquadrare la rivoluzione industriale come fenomeno complessivo e non, come è stato fatto, pensando che sia limitato alle imprese industriali e alla loro digitalizzazione. Se la interpretiamo in questi termini ricadiamo nell’idea di sviluppare una risposta alla sfida della rivoluzione industriale in termini di ristrutturazione aziendale per produrre a costi più bassi.
Al contrario, è necessario individuare le vere caratteristiche del processo, osservando l’impatto che la trasformazione digitale ha per la società nel suo complesso, per l’azione delle persone e dei mercati di beni e servizi in cui le persone si muovono. Siamo in presenza di una serie di fenomeni complessi che attraversano la tecnologia e si riverberano nella società, in forme né deterministiche né riduttive.
Non è più possibile scomporre un fenomeno in elementi semplici retti da legami causali. Siamo in presenza di sistemi complessi, in cui ogni processo interagisce a diversi livelli con gli altri, provocando l’emergere di nuovi fenomeni multidimensionali. La 4a rivoluzione, quindi, va letta in termini di rivoluzione digitale derivata dalla trasformazione digitale dell’intera struttura ed impianto della società.
Quali sono i caratteri e l’essenza profonda della trasformazione digitale? Quali le conseguenze sulle persone, i mercati, le imprese e la società?
La società intera vive fenomeni di radicale trasformazione, indotti da una pervasiva interazione tra tecnica e azione sociale, che vede le opportunità tecniche incidere sui processi sociali, con fratture e impatti di notevole rilevanza.
Gli elementi più rilevanti di questo processo, possono essere ricondotti alle implicazioni della trasformazione digitale della società sugli individui.
Innanzitutto, negli anni passati le persone sono passate dall’essere semplici consumer dei servizi digitali, per divenire prosumer, in grado di essere contestualmente fruitori e produttori dei contenuti generati. Oggi, ciascuno di noi ha preso in carico una parte significativa della produzione del valore generato nella società in transizione digitale.
Come ho detto, produciamo grandi moli di dati e di documenti, che rappresentano la merce più preziosa della nostra società e, facendolo, lavoriamo molto di più di quanto si possa pensare e in forme diverse e finora impensate.
Noi siamo i produttori di questi dati proprio come lo erano gli operai di Manchester che producevano tela interagendo con i telai, poiché, fabbricando dati/documenti in interazione con i nostri dispositivi connessi alle piattaforme digitali, lavoriamo, lo facciamo gratis e pagando di tasca nostra i mezzi di produzione (i nostri device). È vero che noi non sapremmo come adoperare quei documenti e che, senza le grandi compagnie del Web, essi non verrebbero nemmeno raccolti, ma è anche vero che senza di noi i documenti non ci sarebbero. Questa situazione non è così diversa dal classico rapporto tra capitale e lavoro, ma ha in sé due varianti importantissime: intanto, qui il lavoro non viene retribuito, anzi e prima ancora, non è neppure riconosciuto come tale e questo nostro lavoro toglie oggettivamente lavoro ad altri.
Le principali implicazioni sono legate alla questione più spesso affrontata dai media, ovvero il rischio della perdita di posti di lavoro dovuta all’automazione.
Prima di tutto dobbiamo riflettere sul fatto che, in modo significativo, è il nostro lavoro di produzione di dati sulle piattaforme digitali a comportare la perdita di posti di lavoro.
Sistematicamente siano impegnati molte ore a svolgere lavoro ‘anomalo’ online come (i) impiegato di banca, quando utilizziamo l’home banking; (ii) addetto di agenzia di viaggi, quando programmiamo le nostre vacanze; (iii) impiegato degli uffici pubblici quando produciamo un certificato; (iv) operatore di biglietteria, quando compriamo un biglietto, (v) addetto al centro prenotazioni, quando prenotiamo una visita medica, e così via.
Se aggiungiamo poi le altre attività che svolgiamo online ogni volta che, a qualunque ora del giorno e della notte, registriamo le nostre recensioni di luoghi, alberghi, ristoranti e/o le nostre opinioni, di fatto svolgiamo lavori d’ufficio che generano un significativo e critico impatto sulla riduzione e sulla perdita di posti di lavoro per molte categorie lavorative.
Si tratta di lavoro non retribuito che svolgiamo a beneficio sia di aziende private che di istituzioni pubbliche, favorendo la contrazione dei posti di lavoro necessari in quei settori e, in alcuni casi, il licenziamento di lavoratori che svolgono quelle stesse attività.
Molti posti di lavoro sono così direttamente a rischio, e le posizioni lavorative in settori ad alta dinamica di trasformazione richiedono che i lavoratori rinnovino le loro conoscenze e competenze. Tra i lavoratori, sono ancora pochi quelli adeguatamente attrezzati sul piano delle competenze necessarie a gestire la transizione digitale delle imprese, e ancora meno sono le imprese che possiedono le competenze necessarie alla comprensione e alla gestione della trasformazione digitale della società nel suo complesso.
Passando dal lavoro al consumo, non siamo più gli stessi clienti che il mercato ha conosciuto fino a ieri. Non siamo nemmeno più solo clienti ma attori, impegnati in prima linea, attraverso i nostri commenti sui media digitali, nella produzione di senso e di valore ai beni e ai servizi che utilizziamo. Con il nostro nuovo lavoro digitale di recensori, sveliamo un’opportunità molto più rilevante. Attraverso le ‘registrazioni’ dei nostri comportamenti e delle nostre scelte, fornendo in dettaglio il nostro comportamento, partecipiamo all’arricchimento dei nostri profili tradizionali, da sempre a disposizione delle aziende. Una delle trasformazioni più rilevanti è proprio la rottura degli schemi classici dell’analisi dei mercati, centrata sulla profilazione e la segmentazione. Oggi, ci sono opportunità derivanti dalla iper-segmentazione dei mercati, che consentono di profilare i clienti distinguendo le preferenze e le esigenze del singolo individuo, espresse per lo più inconsapevolmente attraverso la sua azione digitale, adottando interventi di ‘precisione’. Il tema della “precisione” è uno dei temi centrali delle prospettive attuali e future.
Ci si muove già in termini di ‘medicina di precisione’, di ‘alimentazione di precisione’ e di ‘agricoltura di precisione’. Ci muoveremo, ci alimenteremo, ci cureremo secondo azioni guidate da informazioni e indicazioni di comportamento elaborate puntualmente con precisione per ciascuno di noi.
La stessa produzione di beni cambierà con il tempo. Grazie alla manifattura digitale additiva, i prodotti saranno pensati e realizzati per ognuno di noi ben oltre la personalizzazione che siamo abituati a conoscere.
A guidare questo processo evolutivo sono gli algoritmi applicati ai dati che noi generiamo. La nostra capacità di non esserne vittima dipende, e dipenderà sempre più, (i) dalla consapevolezza che acquisiremo del fenomeno, (ii) dal contributo etico e regolativo che sapremmo introdurre nell’Intelligenza Artificiale che si sta sviluppando e (iii) dall’attivazione di percorsi di ricerca e applicazione dedicate a rispondere alle nostre esigenze di cittadini e di comunità e ai grandi temi della società.
Il volume evidenzia l’esigenza di intervenire creando un nuovo rapporto tra la Ricerca, le aziende e le istituzioni. Quali sono le iniziative dell’Università di Torino in questo senso?
Il modello a cui faccio riferimento nel volume è quello del Knowledge Interchange, in cui la relazione è basata sulle logiche dell’interscambio e testimonia la sempre maggiore corrispondenza dell’azione degli Atenei alla responsabilità sociale nei confronti dei territori. Nel Knowledge Interchange, l’università si pone come elemento di snodo, di confronto e di fertile elaborazione multi-stakeholder, orientato ad affrontare e risolvere direttamente le sfide della rivoluzione digitale. Tale modello riconosce alle Università un ruolo d’indirizzo e di guida per tracciare le linee della ricerca e per combinare e scambiare conoscenze e competenze, in un’ottica di sviluppo complessivo del territorio, nonché di realizzazione di soluzioni di alta innovatività.
In questo ambito, l’Università di Torino ha creato il Centro interdipartimentale per il Knowledge Interchange denominato IC4KI, un’istituzione scientifica con forte vocazione per la ricerca interdisciplinare, innestata nel contesto locale, nazionale ed internazionale, capace di entrare in relazione con le aziende e i soggetti che operano per l’innovazione e la competitività del territorio, attraendo finanziamenti pubblici e privati, per sviluppare e integrare ricerca fondamentale, ricerca collaborativa e alta formazione.
Abbiamo da pochi mesi iniziato la nostra attività con la collaborazione di molti stakeholder del territorio e di un gruppo di ricerca interno al Centro, formato da 8 giovani ‘assegnisti di ricerca’, provenienti da diverse ambiti (filosofia, informatica, sociologia, beni culturali, psicologia, diritto e semiotica) a forte orientamento interdisciplinare, con linee di ricerca che spaziano dai cambiamenti nei processi di policy locali, all’innovazione digitale per il patrimonio culturale, all’interazione uomo-tecnologia, alla realtà virtuale e al tracciamento del comportamento umano, fino alla gamification e allo studio dei sistemi complessi, e del diritto nell’era digitale.
L’altra iniziativa coordinata con la prima, è il Centro Interuniversitario di Studi Avanzati “Scienza Nuova” che ha l’obiettivo di promuovere la ricerca scientifica su temi che intersecano aree disciplinari e tematiche differenti accomunate dal tema del rapporto tra tecnologie digitali e scienze umane.
Le attività che l’Istituto pone in essere sono, tra le altre, le seguenti: organizzare attività seminariali e progettare iniziative didattiche di alto livello; promuovere le relazioni accademiche internazionali con altri centri di ricerca; favorire opportunità di scambio tra i suoi membri attraverso laboratori, seminari, riunioni scientifiche; organizzare linee di ricerca che vedano il coinvolgimento di studiosi internazionali, borsisti post-doc e dottorandi.