
Gli scacchi hanno affascinato gli esseri umani sin da quando Sissa, considerato l’ideatore del gioco, li presentò quasi millecinquecento anni fa al Re Kusraw, scià di Persia (e già che ci siamo ricordiamo che da ‘scià’ deriva la parola ‘scacco’ e da ‘scià mat’, ovvero ‘il re è morto’, deriva il termine ‘scacco matto’).
Da allora gli scacchi hanno affascinato le popolazioni di ogni latitudine, spesso entrando in conflitto con le autorità religiose che in quel gioco che assorbiva tutta la attenzione e spesso tutte le energie vedevano quasi un nemico, tanto che in Europa la Chiesa proibì gli scacchi in ben due Concili. Perché a scacchi giocavano tutti, uomini e donne, e del resto la storia degli scacchi è ricca di nomi di nobili gentildonne che nel corso dei secoli hanno coltivato la passione per il gioco e che spesso sono state immortalate in romanzi, racconti, novelle: basti pensare alla famosa opera del Giacosa “La partita a scacchi”, alle molte novelle del Decamerone di Giovanni Boccaccio, alle canzoni dei paladini di Francia. Già perché le donne hanno sempre giocato a scacchi, specie nel Medioevo e fino all’Ottocento dato che gli scacchi erano forse l’unico modo per appartarsi con il proprio innamorato…
Poi negli scacchi ha prevalso l’agonismo, gli scacchi come ha detto Duchamp sono diventati ‘uno sport violento’ e le donne hanno preferito lasciare il campo agli uomini. Ma è arrivata ‘La Regina degli Scacchi’, la fortunata serie Netflix, che ha riportato alla ribalta ‘l’altra metà del cielo’, incorrendo però in un clamoroso autogol nei riguardi della grande campionessa georgiana Nona Gaprindashvili: ‘Non ha mai affrontato gli uomini’ viene detto in un episodio”. “Non ho mai affrontato uomini?, ha ringhiato Nona. Non solo ne ho affrontati, ma ne ho anche sconfitti tanti!” E ha fatto causa per diffamazione a Netflix chiedendo 5 milioni di dollari di indennizzo.
Quale importante valore culturale possiedono gli scacchi?
Per evidenziare il valore culturale degli scacchi credo basti ricordare che il Parlamento Europeo nel marzo 2012 con una importante ‘Dichiarazione scritta’ (la 50/2011) ne ha raccomandato ufficialmente l’inserimento in orari curriculari tra le materie scolastiche delle scuole di ogni ordine e grado. Cosa che oggi avviene anche in Italia, dalle primarie fino ai Licei Sportivi, dove spesso gli scacchi sono la materia principale.
La proposta era stata presentata da cinque eurodeputati: l’italiano Mario Mauro, Slavcho Binev, Bulgaria; John Attard Montalto, Malta; Nirj Deva, Gran Bretagna; Hannu Takkula, Finlandia.
Sottoscrivendo la Dichiarazione i Parlamentari Europei (ben 415 su un totale di 754) hanno quindi riconosciuto gli aspetti profondamente culturali degli scacchi, che ne fanno, al di là del lato agonistico e tecnico, qualcosa di più di un semplice gioco e di uno sport, grazie anche e soprattutto ai molteplici legami con la letteratura, la pittura, il teatro, il cinema, l’informatica, la musica, e molte altre materie e discipline.
Inoltre, come hanno ampiamente dimostrato numerosi studi scientifici, gli scacchi sono ricchi di elementi educativi, formativi e riabilitativi che favoriscono la crescita dei giovani e si sono rivelati particolarmente utili per risolvere situazioni di disagio scolastico, bullismo, deficit cognitivi e favorire l’inserimento in un gruppo di portatori di handicap.
E poi permettetemi di darmi delle arie ricordando che sono stato insignito di recente dalla Federazione Scacchistica Italiana della “Benemerenza al merito come personalità che si è distinta in ambito culturale”.
Quali peculiarità agonistiche caratterizzano gli scacchi?
Come ho già detto, il celebre artista francese Marcel Duchamp definì gli scacchi “uno sport. Uno sport violento”. Una affermazione ribadita poi da Garry Kasparov (campione del mondo dal 1985 al 93 per la Federazione Mondiale, che in quell’anno lo squalificò e gli tolse il titolo, ovvero ufficioso fino al 2000 quando fu sconfitto in un match), che anzi ha detto che “gli scacchi sono lo sport più violento che esista.”
Che gli scacchi siano un vero e proprio sport è stato dimostrato dalle ‘analisi mediche’ cui furono sottoposti nel torneo di Monaco di Baviera (Germania) del 1979 i giocatori, tra i quali molti Grandi Maestri (il massimo titolo negli scacchi) allora tra i più forti al mondo.
Ad effettuarle il medico tedesco – a sua volta Grande Maestro – Helmut Pfleger che applicò a ciascuno un apparecchio che misurava tra l’altro i battiti cardiaci, la pressione e il ritmo della respirazione durante la partita. Inoltre prima e dopo l’incontro veniva effettuato un prelievo del sangue.
La conclusione è stata che dal punto di vista agonistico nel corso di una partita a scacchi di alto livello – durata media 4-5 ore – uno scacchista consuma tante calorie quante per esempio un calciatore di Serie A nei 90 minuti della partita. Va tenuto però presente che mentre il calciatore gioca una o due partite alla settimana in torneo lo scacchista gioca una partita al giorno per una decina di giorni di seguito e a volte anche di più!
Le grandi partite costellano la storia degli scacchi, dal memorabile scontro tra Bobby Fischer e Boris Spassky alle sfide tra Anatolij Karpov e Garry Kasparov: quali sono, a Suo avviso, le partite più significative?
Sono molte le partite che possiamo definire ‘significative’ e tutti i grandi campioni ne hanno giocate. Non è possibile fare un elenco, sarebbe troppo lungo e sicuramente qualche partita resterebbe fuori. Ovviamente ogni appassionato ha le sue preferenze, per cui per esempio molti citano come memorabili numerose partite giocate da Michail Tal (campione del mondo 1960-61) ma anche dall’attuale campione del mondo, il norvegese Magnus Carlsen.
Possiamo però indicarne alcune che sono universalmente riconosciute come degne di quello che potrebbe essere definito il podio. E quindi citiamo al Anderssen-Kieseritsky a Londra 1851, la Paulsen-Morphy a New York 1857, la quarta del mondiale Steinitz-Cigorine L’Avana 1892, la Bernstein-Capablanca Mosca 1914, la Botvinnik-Capablanca Rotterdam 1938, la Larsen-Spassky della sfida Urss-Resto del Mondo Belgrado 1970, la sesta del mondiale Fischer-Spassky Reykjavik 1972 e la 24a del mondiale Karpov-Kasparov Mosca 1985.
Chi volesse vedere le partite le trova facilmente sul web (per esempio sul sito www.chessgames.com)
Quali campioni hanno maggiormente segnato la storia di questo sport sui generis?
Per prima cosa mi sia permesso contestare la dizione ‘sport sui generis’. Come ho detto gli scacchi sono un vero sport, assai più che uno ‘sport della mente’; così come accade per i campionati del gioco della Dama, giocare ad alto livello richiede un fisico sano, fa consumare energie, in una partita si perde peso e lo stress o meglio la tensione psicologica è spesso elevatissima. Per di più sia la Federazione Scacchi sia la Federazione Dama sono ormai da trent’anni ‘discipline sportive’ del CONI a livello nazionale, mentre a livello mondiale sono ufficialmente riconosciute come sport dal CIO, il comitato olimpico internazionale.
Certo non c’è… sudore, ma questo accade anche nel tiro con l’arco o, per restare nell’attualità, nel ‘curling’, che pure sono specialità olimpiche.
Detto questo, sono tanti i campioni che hanno segnato la storia degli scacchi, ovviamente a partire da quelli che hanno conquistato il titolo iridato; ma non vanno dimenticati anche i ‘numeri due’. E nel mio libro io parlo proprio di tutti loro, non solo con la biografia ma per ciascuno, ove possibile, con aneddoti e curiosità personali. Ricordo per esempio tra i campioni Lasker che contestò la teoria della relatività di Einstein, di cui pure era grande amico, o Smyslov che sarebbe potuto diventare un grande cantante lirico, e Botvinnik che pur detenendo il titolo mondiale dal 1948 al 1963 non rinunciò mai al lavoro e contribuì anche al lancio dei primi satelliti spaziali sovietici. E tra i ‘numeri due’ Carl Schlechter che nel 1910 avrebbe potuto vincere il match con Lasker con un punto di vantaggio ma non avrebbe conquistato il titolo di campione del mondo, dato che nel contratto che aveva firmato era scritto che lo sfidante (cioè lui) avrebbe acquisito il titolo di campione del mondo solamente vincendo con due punti di scarto. Così nell’ultima partita della sfida forzò una posizione pari e perse.
In che modo gli scacchi sono stati protagonisti della letteratura e dell’arte?
Nel libro, che sintetizza millecinquecento anni di storia degli scacchi, dalla nascita del gioco ai giorni nostri, il mio obiettivo è portare il Lettore non solo a conoscere i campioni ma a scoprire i personaggi del mondo della letteratura, della storia, dello sport, della scienza e dell’arte, che ne sono stati appassionati e che lo hanno valorizzato con le loro opere. Come Dante (che per dare idea del numero degli Angeli scrive ‘il numer loro come il doppiar de li scacchi si immilla’, Paradiso, 28) Leonardo daVinci (autore anche di un rebus scacchistico) Napoleone (che però giocava meglio a Dama) Sofonisba Anguissola (pittrice) Marcel Duchamp (il celebre artista), Prokofiev (l’autore di Pierino e il lupo’ fece un match con il celebre violinista Oistrakh seguito giorno per giorno dalla Pravda) Jean-Jacques Rousseau (di cui abbiamo molte partite) Charles Dickens (che passava le notti a comporre e risolvere problemi in 2 e 3 mosse), Bergman (con il celebre film ‘Il settimo sigillo’) tanto per fare qualche nome. Ma l’elenco dei personaggi ai quali gli scacchi hanno ispirato libri, poesie, quadri, film, studi matematici e così via, sarebbe lunghissimo.
Perché è auspicabile che le giovani generazioni si avvicinino a tale gioco?
Perché gli scacchi aiutano a sviluppare le capacità logiche, a limitare le possibilità dell’errore che spesso deriva dall’interferenza di pensieri e di emozioni, ad accettare le sconfitte e a reagire alle stesse. Permettono un buon allenamento mentale, oltre che coltivare le qualità coordinative generali e specifiche. Attraverso l’attività scacchistica si migliorano le relazioni sociali, si allenano le capacità logiche, si superano atteggiamenti di insicurezza caratteriale. Inoltre l’esperienza ha fatto registrare un abbattimento drastico del bullismo da parte dei partecipanti alle attività scacchistiche, oltre che un diffuso miglioramento delle loro prestazioni didattiche: ricordiamo quanto scritto nella ‘Dichiarazione’ del Parlamento Europeo.
Ma c’è di più. In un mondo in cui tutto si velocizza, compreso il gioco, gli scacchi possono essere considerati come un elogio alla lentezza, per quanto richiedano innegabile rapidità di analisi e colpo d’occhio. Con tanti vantaggi: a differenza dei videogiochi, per esempio, non c’è la concentrazione monotematica per molte, spesso troppe, ore, con il frenetico schiacciare di un pulsante in posizioni che a volte sono innaturali e per questo dannose per il fisico. Anche i più impegnativi confronti agonistici permettono una postura naturale, la possibilità di alzarsi e muoversi (mentre tocca all’avversario), il restare a contatto con la realtà e con l’ambiente, così da scaricare la tensione che si accumula.
Per correttezza va detto che tutto questo vale anche per l’altro principale ‘sport della mente’ cui già abbiamo accennato, cioè il gioco della Dama, che anzi il celebre Edgard Allan Poe riteneva superiore agli scacchi. Scrisse infatti Poe ne “I delitti della via Morgue”: ‘Colgo quindi l’occasione per sostenere che le facoltà più elevate dell’intelligenza riflessiva sono messe alla prova più a fondo e con maggiore utilità dal gioco più modesto della dama piuttosto che dall’elaborata frivolezza degli scacchi.’
Vorrei comunque concludere con le parole di Primo Levi, autore tra l’altro di due poesie a soggetto scacchistico, che in un articolo sul quotidiano La Stampa (ottobre 1981, in occasione del Mondiale di Merano tra Karpov e Kortschnoj) scrisse: “Io, pessimo scacchista, penso che sarebbe buona cosa se il gioco degli scacchi fosse più diffuso e praticato nelle scuole. Andrebbe bene se tutti, specie chi aspira al comando o alla carriera politica, imparassero a vivere da scacchisti, cioè meditando prima di muovere, pur sapendo che il tempo concesso per ogni mossa è limitato, ricordando che ogni nostra mossa ne provoca una dell’avversario, difficile ma non impossibile da prevedere.”
Adolivio Capece, giornalista e Maestro nazionale di scacchi, è oggi tra i principali studiosi della storia del gioco. Ha iniziato l’attività giornalistica nel 1972, commentando giorno per giorno il match Fischer-Spassky per il quotidiano ‘La Stampa’. Dal 1974 al 1994 ha firmato la rubrica scacchi su ‘Il Giornale’ (diretto da Indro Montanelli), divenuta punto di riferimento per gli appassionati dell’epoca. Autore di vari libri (suo best-seller il manuale Imparo gli scacchi) collabora con articoli sia tecnici sia divulgativi con quotidiani, settimanali e siti internet italiani e stranieri.