
A quali verità giunge e come le comunica?
La scienza delimita il vuoto di conoscenza e lo indaga, generando nuova conoscenza. Difficilmente arriva a proclamare ad alta voce delle verità assolute, ma continua a consolidare evidenze in grado di spiegare i fenomeni della realtà che ci circonda. Queste evidenze sono però di diversa portata, più o meno solide, e richiedono molto tempo per essere provate in maniera inconfutabile. Le evidenze vengono poi comunicate da chi è stato in grado di provarle, di solito un gruppo di ricercatori parte di una più ampia comunità scientifica, in riviste scientifiche specializzate dove il discorso scientifico prende forma. Ma se queste riviste di settore restano specializzate, per la maggior parte in lingua inglese e accessibili praticamente solo agli addetti ai lavori, la scienza ha da sempre anche la necessità di essere tradotta a pubblici più ampi, che possano godere delle scoperte a cui è giunta in quanto “utilizzatori finali”. Tutto il percorso di traduzione della conoscenza è costellato di diverse figure, e ad oggi questa costellazione si sta complessificando sempre di più (giornalisti scientifici, influencer sui social, esperti sui mass media etc.). Ciò che sottolineiamo nel nostro libro è proprio che, oggi più che mai, i ricercatori dovrebbero in prima persona impegnarsi nella traduzione della conoscenza a cui giungono per il vasto pubblico, evitando di cadere nella trappola della “volgarizzazione”. Questa è un’impresa ardua.
Come si è articolata la storia della scienza?
La storia della scienza, disciplina relativamente moderna, ci testimonia come la scienza si sia evoluta nel corso dei secoli. Essa prova quanto la scienza sia frutto di un’opera collettiva, che non può però essere realizzata senza l’atteggiamento onesto e dedicato dei ricercatori oltre che i metodi e gli strumenti che essi utilizzano. Qualcosa di sorprendente che viene documentato dalla storia della scienza è proprio la capacità intrinseca di quest’ultima di superarsi, ovvero di evolvere perchè grado quando necessario di superare le teorie e le scoperte fino a quel momento raggiunte con conoscenze nuove più solide.
Come è possibile distinguere la scienza dalla pseudoscienza?
Questa è un’impresa difficile in cui molti filosofi della scienza si sono imbarcati per secoli. La pseudoscienza ha diverse forme, si pone in un continuum di cui è complesso delineare i confini. Diciamo che quanto sosteniamo in questo libro è che conoscere il funzionamento del procedere scientifico permette di diventare potenzialmente “immuni” alla pseudoscienza, quindi in grado di riconoscerla. Proprio per questo abbiamo scritto il nostro libro. La pseudoscienza viene sempre definita per contrasto alla scienza. Ci sono delle caratteristiche della pseudoscienza da cui possiamo essere messi in guardia, quindi che se identificate possono essere indicative del fatto che siamo di fronte alla pseudoscienza, ma soprattutto ci sono delle caratteristiche della scienza che dobbiamo ricercare per distinguere opinioni da evidenze, per essere certi che quello a cui siamo sottoposti sia davvero un’informazione scientifica.
Quale metodologia adotta la scienza?
La scienza ha diverse metodologie a disposizione, che sono dettate dall’oggetto che prende in considerazione. La metodologia infatti viene definita una volta che si definisce il preciso scopo di una ricerca, e se la scelta metodologica è sbagliata non sarà possibile raggiungere lo scopo prefisso. Oltre a questo, ciò che i metodi hanno in comune sono la sistematicità e la trasparenza che devono mettere in atto. Tra le diverse metodologie si possono annoverare approcci qualitativi o quantitativi, o ancora tipologie di disegni di ricerca diversi, ma anche strumenti diversi (di osservazione, di misurazione) di cui la scienza si dota. Questi strumenti permettono di espandere l’osservazione a domini non direttamente osservabili. Così come il telescopio ci permette di fare osservazioni da lontano, alcune combinazioni di domande e opzioni di risposta calibrate e testate possono farci osservare il livello di solitudine di un individuo e, più largamente, di un’intera popolazione.
Perché, in una società ampiamente pervasa dalla conoscenza scientifica come la nostra, le teorie del complotto prosperano?
Potremmo identificare almeno tre ordini di ragioni. Il primo nasce dalla constatazione sul contesto presente, da cui ha origina questa domanda, in cui il discorso scientifico è effettivamente molto presente, ma per sua natura resta difficile da comprendere. Il fatto dunque che non sia di immediata comprensione richiede che da un lato aumentiamo le nostre conoscenze, ma dall’altro prendiamo anche coscienza del nostro limite e di aver bisogno di una guida, dei riferimenti, per giudicare l’informazione scientifica.
Sempre un’osservazione contestuale riguarda il fatto che l’informazione oggi prolifera e con essa la disinformazione. Quindi tra l’informazione scientifica c’è anche molta disinformazione scientifica (scientifica in apparenza → caso specifico di pseudoscienza).
Da ultimo, perché per nostra natura abbiamo alla base abbiamo dei meccanismi cognitivi che vengono facilmente “risvegliati” dalle narrative complottiste. Siamo dunque convinti di sapere più e meglio degli altri, o facilmente cadiamo nella trappola di spiegare, pur con delle teorie particolarmente contorte, qualcosa che ancora è inspiegabile. Questo perché l’incertezza non ci piace e tentiamo sempre di ridurla.
Quali accorgimenti possono aiutarci a pensare scientificamente?
Rimanere curiosi, evitando l’equazione per cui ragionare significa mettere unicamente in dubbio il pensiero comune o le indicazioni delle istituzioni scientifiche. Comprendere che la scienza ha i suoi tempi, che questi vanno rispettati: non le si può chiedere di trovare soluzioni ideali e immediate ai problemi come riesce a fare solo la magia nelle favole. Riconoscere i propri limiti, perché a volte (spesso!) possiamo non comprendere tutto da soli e vale la pena continuare a fare domande e capire a chi rivolgerle se non abbiamo tutti gli strumenti a disposizione per farlo. I ricercatori hanno studiato anni per poter lavorare nel loro ambito, spesso dunque le scoperte a cui arrivano possono essere comunicate in modo semplice solo fino a un certo punto. Attenzione dunque a riconoscere i propri limiti e non cadere nella banalizzazione della scienza che ci fa credere di poter capire tutto.
Maddalena Fiordelli è ricercatrice e docente di Comunicazione e salute all’Istituto di salute pubblica dell’Università della Svizzera italiana e all’Università di Lucerna