“Salute ed economia. Questioni di economia e politica sanitaria” di Nerina Dirindin e Enza Caruso

Prof.ssa Nerina Dirindin, Lei è autrice con Enza Caruso del libro Salute ed economia. Questioni di economia e politica sanitaria edito dal Mulino: di cosa si occupa l’economia sanitaria?
Salute ed economia. Questioni di economia e politica sanitaria, Nerina Dirindin, Enza CarusoL’economia sanitaria è un ramo delle scienze economiche che studia la scarsità delle risorse e le scelte riguardanti la loro allocazione con riguardo al settore sanitario. Si avvale delle conoscenze di diverse discipline quali l’epidemiologica, la medicina, la statistica, le scienze giuridiche, l’organizzazione e la gestione delle aziende. Si occupa del modo in cui i singoli individui e le società effettuano le loro scelte circa la quantità di risorse da destinare al settore sanitario, il modo in cui tali risorse sono allocate fra impieghi alternativi e le modalità con le quali i prodotti ottenuti sono distribuiti fra gli individui e le comunità. In altri termini l’economia sanitaria ci aiuta a decidere che cosa produrre (cibo ipercalorico o interventi di prevenzione dell’obesità? strutture residenziali o servizi a domicilio? farmaci o test di diagnosi precoce?), quali trattamenti erogare (di tipo preventivo, terapeutico o riabilitativo?), in quale quantità (ogni quanti abitanti è bene disporre di una risonanza magnetica? quale dotazione di medici o infermieri?), in quale modo garantire l’assistenza (meglio trattare un paziente in ospedale o a domicilio?) e a favore di chi (quali criteri di giustizia distributiva devono essere adottati? è preferibile puntare su poche strutture di eccellenza nei grandi centri urbani o su una buona offerta di servizi distribuita su tutto il territorio?). L’obiettivo è la massimizzazione del benessere della collettività.

Quali sono le giustificazioni dell’intervento pubblico nella tutela della salute?
L’intervento pubblico in sanità è giustificato da ragioni di efficienza e da ragioni di equità. Gli obiettivi di efficienza impongono interventi volti a contrastare le cause dei fallimenti del mercato e a ridurne gli effetti. Gli obiettivi distributivi richiedono la rimozione dei vincoli di reddito che ostacolano l’accesso ai servizi e il superamento delle differenze sociali nell’esposizione ai fattori di rischio per la salute.

Il settore sanitario presenta numerose situazioni in cui i mercati sono destinati a fallire, ovvero a non garantire il raggiungimento del massimo benessere per la collettività: insufficiente concorrenza (abusi di posizioni dominanti e comportamenti collusivi a danno dei consumatori), beni pubblici (prevenzione collettiva negli ambienti di vita), esternalità (scarsa considerazione per i benefici che tutti possono trarre dal vivere in una società che si prende cura di chi si trova in condizioni di bisogno), carenze di informazione e informazione asimmetrica (che impediscono il buon funzionamento dei mercati assicurativi). Per queste ragioni l’intervento pubblico, di regolazione o di produzione, è determinante.

Quali politiche sanitarie nella società attuale?
La crisi economico-finanziaria che da oltre 10 anni colpisce il nostro Paese sta imponendo al sistema di welfare revisioni e ridimensionamenti che rischiano di andare oltre il pur necessario contenimento delle inefficienze e il doveroso contributo al risanamento della finanza pubblica. Il rischio è che, di fronte alle difficoltà, siano sacrificati i principi di fondo che il nostro sistema di tutela della salute ha da tempo adottato.

Le pesanti restrizioni gravano in particolare sulle persone più fragili, alle quali non è più possibile accedere a quelle forme di assistenza che, pur con qualche difficoltà, hanno sempre contribuito a fornire una risposta alle loro esigenze. A questo si aggiunge il rischio di una progressiva demotivazione degli operatori, del sociale e del sanitario, sui quali ricadono condizioni di lavoro sempre più pesanti e sui quali grava l’odiosa “responsabilità” di negare l’assistenza alle persone che accedono ai servizi.

E così, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità incoraggia i singoli Paesi a sviluppare sistemi sanitari simili al nostro, ovvero capaci di salvaguardare una copertura universale, ovvero in grado di consentire alle persone di accedere ai servizi senza rischiare conseguenze finanziarie gravi o disastrose, il nostro Servizio sanitario nazionale rischia di essere messo in discussione da un insieme di interventi che, più o meno esplicitamente, costituiscono una sorta di «assalto all’universalismo». Questo è il tratto distintivo, non sempre esplicito, delle politiche sanitarie che ormai da parecchi anni si stanno realizzando nel nostro Paese.

Quali diversi modelli di protezione sanitaria esistono?
I sistemi sanitari contemporanei sono il frutto di stratificazioni storico-culturali che definiscono il confine fra mercato o Stato. I modelli sono sostanzialmente quattro: sistemi per cassa (nei paesi con bassi livelli di reddito le prestazioni sono acquistate direttamente dai cittadini con spese a loro carico); sistemi assicurativi privati (soprattutto negli Usa); sistemi mutualistici sociali o nazionali (il sistema tedesco); servizi sanitari nazionali (il nostro Ssn e quello della Gran Bretagna). Nessun paese opera in base a un solo modello. Pur ispirandosi prevalentemente ad uno di essi, i sistemi appaiono estremamente articolati contemplando la presenza di programmi pubblici, fondi mutualistici e assicurazioni private. Organismi internazionali ed evidenze scientifiche sostengono la superiorità dei sistemi universalistici, meno costosi e più equi rispetto a tutti gli altri.

Quando è nato e come si evoluto il Sistema sanitario nazionale?
Il Servizio Sanitario Nazionale è nato con la legge n. 833 del 1978, la quale ha realizzato il principio della tutela della salute come diritto universale dell’individuo e interesse della collettività sancito dall’articolo 32 della Costituzione.

Probabilmente nel nostro Paese nessun provvedimento è mai riuscito ad esprimere principi tanto elevati come quelli scritti nella legge istitutiva del Ssn, considerato come quel complesso di funzioni, servizi e attività destinati a promozione, mantenimento e recupero della salute fisica e psichica, perfettamente in linea con la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Sul piano organizzativo, il Ssn è stato interessato da due grandi riforme: nel 1992 in senso regionalista-aziendalista e nel 1999 con il ritorno alla programmazione nazionale e il rifiuto della privatizzazione implicita nella precedente normativa.

Come viene finanziato il Ssn?
Il Servizio sanitario nazionale italiano è finanziato con risorse proveniente dalla fiscalità generale. Il principio generale è “paga chi può a favore di chi ha bisogno”, ovvero pagano i contribuenti (in base alla loro capacità contributiva) e beneficiano tutti coloro che presentano problemi di salute (a prescindere dalla loro disponibilità a pagare).

Il sistema è governato congiuntamente dallo Stato, cui spetta la definizione del pacchetto dei benefici e delle risorse necessarie per garantirli, e dalle regioni che organizzano, sul proprio territorio, i servizi sanitari la cui gestione è affidata alle aziende sanitarie.

Il sistema di governance del Ssn obbliga le regioni a garantire l’equilibrio di bilancio. La presenza di disavanzi sanitari non coperti dalle finanze regionali fa intraprendere il percorso dei piani di rientro per il riallineamento dell’offerta dei servizi sanitari alla programmazione nazionale.

Qual è la dinamica della spesa sanitaria nel nostro paese?
Nel nostro paese l’evoluzione della spesa sanitaria corrente (pubblica e privata) ha seguito in linea di massima le tendenze riscontrate a livello internazionale, pur mantenendosi sempre su livelli meno elevati. L’incidenza della spesa sul Pil è cresciuta nel corso degli anni, passando da valori appena inferiori al 4% agli inizi degli anni ’60, a valori intorno al 7% tra la fine degli anni ’70 (al momento dell’istituzione del Ssn) e i primi anni ‘90, fino a raggiungere, dall’inizio della crisi ai giorni nostri, un valore stabile intorno all’9%, inferiore a quello dei principali paesi con sistemi sanitari avanzati.

La spesa sanitaria pubblica è in Italia intorno ai 114 miliardi di euro, circa 1.900 euro per abitante. A tale ammontare si aggiunge la spesa privata stimabile in circa 40 miliardi, intorno ai 650 euro pro capite.

Le politiche di contenimento dei costi funzionano?
Nel XXI secolo il sistema di governance nelle mani del governo centrale ha permesso di contenere la dinamica della spesa e di dare avvio al riordino dei sistemi sanitari regionali, anche nel mezzogiorno.

Nel nuovo quadro europeo, la necessità di gestire la crisi ha portato all’introduzione gli equilibri di bilancio all’interno di tutta la pubblica amministrazione e, in una cornice finanziaria permanentemente precaria, la sanità è diventata il portafoglio delle politiche di austerità.

Le misure di contenimento dei costi si sono concentrate sul personale dipendente (ormai ridotto ai minimi termini), sul controllo dei prezzi e dei volumi delle prestazioni sanitarie, sulla spesa farmaceutica (anche se, negli anni più recenti, i farmaci innovativi ne hanno riacceso la dinamica), sull’assistenza ospedaliera (attraverso la riduzione dei posti letto e la revisione dei sistemi tariffari).

La Corte dei Conti ha più volte documentato i risultati ottenuti dal settore sanitario, anche se il contenimento della spesa ha imposto gravi sacrifici ai cittadini e ha notevolmente depotenziato il sistema pubblico. I prossimi anni dovrebbero essere caratterizzati da un forte impegno sul piano dell’incoraggiamento all’etica, del rispetto della dignità della persona, della valorizzazione delle competenze professionali, del sostegno all’evidenza scientifica, del riconoscimento del significato etico (e non meramente contabile) della lotta agli sprechi, dell’attenzione alle persone più deboli.

Quali questioni di politica sanitaria sono di più stretta attualità?
Mi soffermo su quattro questioni.
La prima è il rischio di un progressivo peggioramento degli indicatori di salute del nostro paese. I tradizionali buoni indicatori (speranza di vita, morti evitate con interventi appropriati e tempestivi, ecc.) rischiano infatti di essere messi a dura prova da un deficit di servizi, rispetto alla maggior parte dei paesi europei, in particolare nella prevenzione, nella long term care e nell’assistenza territoriale.

La seconda riguarda le diseguaglianze; nel nostro Paese persistono importanti diseguaglianze di salute (nell’esposizione ai rischi, nell’accesso ai servizi e negli esiti) strettamente legate alle disuguaglianze nella società (livello di reddito, di istruzione, ecc.). Solo intervenendo sui determinanti sociali della salute è possibile ridurre la ingiusta differenza nella distribuzione della salute all’interno del paese.

La terza questione riguarda la presenza di potenti forze economiche private in grado di piegare ai propri fini le politiche pubbliche che dovrebbero salvaguardare la salute della popolazione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità questa è la più grande sfida che abbiamo di fronte. La sanità pubblica deve fare i conti con l’industria del tabacco (Big Tobacco), del cibo (Big Food), delle bevande gassate (Big Soda), delle bevande alcoliche (Big Alcohol), dell’intermediazione finanziario-assicurativa, dell’industria dei farmaci ad alto costo e così via.

La quarta questione è l’appropriatezza. Un intervento è considerato appropriato se è efficace (in base a rigorose evidenze scientifiche), viene erogato a (tutti e solo) i soggetti che ne possono realmente beneficiare, con la modalità assistenziale più adeguata e con le caratteristiche (di tempestività, continuità etc.) necessarie a garantirne l’effettiva utilità. Nel settore sanitario, perseguire l’appropriatezza vuol dire avere ben chiaro che fare di più, non vuol dire necessariamente fare meglio. Anzi, in molti casi è possibile fare meglio ricorrendo a meno farmaci, meno prestazioni specialistiche, meno degenze ospedaliere, ovvero evitando l’erogazione di interventi che possono risultare, per specifiche condizioni cliniche, inutili, inefficaci o con un elevato rapporto costo-efficacia (relativamente alle alternative disponibili).

Nerina Dirindin è Professore presso l’Università di Torino dove insegna Scienza delle Finanze e Economia e organizzazione dei sistemi di welfare. È stata Direttore Generale del Ministero della Salute e Assessore alla Sanità della Regione Sardegna. Senatore della Repubblica nella XVII legislatura, è fra i promotori del progetto Illuminiamo la salute sull’integrità del sistema sanitario e sociale.
Ha pubblicato
In buona salute (Einaudi 2004), In difesa della sanità pubblica (EGA 2018), Conflitti di interesse e salute (con Rivoiro e De Fiore, Il Mulino 2018).

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