
Uno dei miei campi di studio principali è sempre stata la poesia greca arcaica – epica, lirica, tragedia -, oltre alle sue interpretazioni da parte degli antichi stessi, e l’idea mi venne subito: mi sarei cimentato con un autore sul quale non avevo mai scritto come filologo di professione né prodotto studi scientifici, ma che amavo moltissimo, cioè Saffo. È noto che di Saffo abbiamo solo frammenti poetici di varia lunghezza, cioè che per noi è una poetessa e basta. Una prima sfida fu allora di attribuirle uno scritto in prosa: un diario autobiografico, “autenticamente” scritto da me e “falsamente” attribuito a lei, cercando di immaginare come avrebbe potuto scriverlo: una finzione aperta e dichiarata. Devo dire che mi attirava l’idea di cimentarmi in una scrittura “al femminile”, per vedere se riuscivo a dar voce a una donna mettendomi dal suo punto di vista. Ma l’aspetto espressivo, diciamo pure stilistico, è in sé relativamente meno importante: molto più importante è l’idea di fondo del racconto, di cui parleremo più avanti.
Nel mondo antico i falsi erano molto diffusi.
È vero, per i più svariati motivi. Forse il più tipico è il caso in cui si voleva far passare un testo come opera di un autore particolarmente autorevole e famoso, per motivi di prestigio, di importanza, di possibilità di diffusione. Il caso più emblematico è quello delle decine e decine di opere attribuite a Omero, che già per gli antichi costituivano un problema. Ma il fenomeno è molto più ampio e complesso: non me la sento di improvvisare in questa sede un discorso sulla questione in generale. Il caso dei falsi di questa collana, compreso ovviamente il mio, è del tutto diverso: sono falsi dichiaratamente moderni, basati su una finzione del tutto evidente. Per quanto riguarda poi la mia falsa autobiografia di Saffo, il suo senso risiede principalmente nel contenuto, di cui diremo più avanti.
Ci verrebbe da adottare le parole con cui Umberto Eco intitola l’introduzione al Nome della Rosa: «Naturalmente, un manoscritto», anche se di un rotolo di papiro si tratta.
Già, naturalmente un manoscritto. Non ho nessuna difficoltà ad ammettere di avere adottato un’idea per niente originale. Mi è piaciuta particolarmente perché nel caso specifico gli addetti ai lavori (cioè gli antichisti) avrebbero certamente capito l’allusione alla vicenda del famosissimo Papiro di Derveni: un testo e un reperto di enorme importanza per svariate ragioni, rimasto inedito per vari decenni dopo il ritrovamento in una tomba macedone poco a Nord di Salonicco. A differenza di quello da me inventato, quello era un papiro carbonizzato e quindi di lettura difficilissima. Qualche anno fa è stato finalmente pubblicato (dopo oltre mezzo secolo) e continua tuttora a essere studiatissimo da molti ricercatori, perché pieno di problemi di grande interesse sotto ogni aspetto. Naturalmente, è ovvio, il papiro ha rivelato contenuti totalmente diversi da quelli che io espongo nel libro, ma il mio è un falso in tutti, ma proprio tutti i sensi, anche se per questo aspetto – come per altri – allude a una cosa vera e reale.
Il libro assume la forma di un diario segreto in cui Saffo dà voce ai propri pensieri, sentimenti ed emozioni più intimi e più veri: cosa rivela di sé la poetessa?
Mi diverto molto quando lo vedo in libreria collocato fra la saggistica e mi immagino il ragionamento del libraio: Franco Montanari, noto filologo classico e grecista, scrive su Saffo, quindi si tratta certamente di un saggio sulla biografia di Saffo (e il titolo invita in questa direzione), di cui peraltro si sa ben poco. Appunto: come per molti autori antichi, e poeti lirici in particolare, sappiamo poco e nulla della loro vita, e quel poco lo ricaviamo per deduzione dai frammenti delle loro opere, con i ben comprensibili e ovvi rischi, legati al rapporto sempre problematico fra verità storico-biografica e convenzione-finzione letteraria. In questo libro si simula una finta autobiografia scritta direttamente dalla poetessa – e dunque, si suppone, veritiera -, nella quale si finge di prendere del tutto sul serio le poche notizie biografiche conosciute, mischiandole a un molto maggior numero di fatti del tutto inventati, che comprendono fra l’altro alcune allusioni ai tempi attuali, che certamente faranno sorridere un antichista. Prendete il personaggio di Arcoraios, che in greco moderno si pronuncerebbe Arcoreos (cioè l’uomo di Arcore) e che viene menzionato in relazione alle vicende politiche dell’isola di Lesbo. Oppure lo scagnozzo “con la testa a palla e gli occhi sgranati” di nome Pitinos, che gioca il ruolo di un moralista da quattro soldi: una nota spiega che la forma greca del nome fa pensare a una parola che significa bottiglione… Lasciamo che il lettore si diverta a scoprire queste allusioni alla politica contemporanea, che naturalmente quindici anni fa, quando il libro fu scritto, erano più “calde” di adesso, ma che non sono affatto tramontate.
Mi sono poi divertito a “nascondere” qua e là allusioni, più o meno chiare ed evidenti, a brani (citazioni) di opere famose della letteratura moderna, da Fabrizio De André a Alessandro Manzoni. Anche qui il lettore si può divertire a scoprirle (se ci riesce…) e a smascherare come funziona il gioco del loro inserimento nel contesto narrativo finto.
In che modo l’immagine di Saffo che risulta dal Suo lavoro è di molto differente rispetto all’immagine dalla poetessa ricostruita e codificata dagli studiosi di letteratura greca antica e che appartiene da sempre alla nostra cultura e al nostro immaginario collettivo?
E qui arriviamo all’annunciato aspetto del contenuto, che ritengo quello più intrigante e più importante del libro. Non c’è bisogno di ricordare che Saffo e la sua isola di Lesbo sono alla base della definizione dell’omosessualità femminile nel linguaggio comune: saffico e lesbico hanno un significato inequivocabile per tutti, e non certo solo in italiano. Apparteniamo peraltro a una società ancora fortemente omofoba: malgrado i conclamati progressi e le sbandierate conquiste di civiltà (che sono senz’altro reali, se ci si guarda un poco indietro), il problema è ben lungi dall’essere superato completamente. Immaginatevi dunque il divertimento nel presentare e raccontare una Saffo “costretta” all’omosessualità da ferree convenzioni sociali, entro le quali ella riveste il ruolo e la posizione di capo e guida di un tiaso, cioè una istituzione consistente in una comunità femminile, il cui scopo è l’educazione globale alla vita adulta delle giovani fanciulle aristocratiche e che ha anche un importante aspetto religioso legato al culto di Afrodite. Una Saffo che in realtà invece è decisamente e vivacemente eterosessuale, anche se le convenzioni sociali della sua posizione la costringono a presentarsi e ad agire come omosessuale all’interno del tiaso. Di nascosto vive la sua eterosessualità con varie avventure (prima ho usato l’avverbio “vivacemente”) e, una volta scoperta con l’inganno, viene condannata per questo. Il racconto si dipana intorno alle vicende del tiaso femminile guidato dalla Saffo omosessuale (come si trova nei libri di Storia della Letteratura Greca) e per contro alle numerose avventure eterossessuali di una vita parallela intensamente vissuta con trasporto. Le convenzioni sociali la vogliono omosessuale, guida delle giovani fanciulle del tiaso: quindi la sua eterosessualità è trasgressiva e antisociale, tanto da portarla alla condanna a morte. È un paradosso che mi ha divertito molto, immaginando i custodi della morale comune nella posizione di sentenziare: devi essere omosessuale, reprimi la tua eterosessualità trasgressiva e socialmente pericolosa, devi guidare il tiaso secondo quello che la società vuole. Non svelo il finale, perché vi si trova un’allusione evidente a una vicenda e a un personaggio del mondo antico che tutti riconosceranno, senza dubbio con un sorriso.
Quale attualità mantiene Saffo?
L’unica parte non falsa del libro, l’unica parte davvero di Saffo, sono i suoi versi, inseriti nella trama del racconto: tutta la poesia citata è autenticamente saffica e vibrante di umanità senza tempo. La meraviglia della sua sublime poesia è assolutamente senza età, malgrado il fatto che si siano conservati solo frammenti. Il lettore troverà versi indimenticabili (le traduzioni sono mie), soprattutto dedicati alle varie manifestazioni dell’amore e dei rapporti interpersonali, cioè ad aspetti imprescindibili dell’animo umano di sempre. Qui non c’è falso che tenga: quei versi sono di Saffo e non moriranno mai, quale che sia in contesto in cui sono inseriti.
Franco Montanari è Professore Ordinario di Letteratura Greca all’Università di Genova. Laurea honoris causa dell’Università di Thessaloniki. Membro Straniero dell’Accademia di Atene. Dal 2014 al 2019 Presidente della Fédération Internationale des Associations des Études Classiques (FIEC). Con altri studiosi coordina i progetti internazionali Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta; Lexicon of Greek Grammarians of Antiquity; Supplementum Grammaticum Graecum. Fa parte dello Advisory Board della Bibliotheca Teubneriana. Dirige la Rivista di Filologia e di Istruzione Classica e la collana Pleiadi. È autore del GI -Vocabolario della lingua greca (Torino 1995, III edizione 2016; edizione greca 2013; edizione inglese 2015; in preparazione edizione tedesca) e della Storia della letteratura greca (II ediz. 2017; trad. greca II ediz. 2017: ediz. inglese in preparazione). Ha pubblicato oltre 245 lavori in prestigiose sedi scientifiche italiane e straniere.