
di Francesco Bartolini
Laterza
«Il 22 e 23 marzo 2004 Walter Veltroni, sindaco di Roma, è a Milano per una missione mai prima tentata. Vuole spiegare ai milanesi come la capitale non sia quella città burocratica e sonnacchiosa tante volte ingiuriata e ridicolizzata, ma «una metropoli in crescita costante con una fisionomia dinamica». […] Ma soprattutto chiede di farla finita con la tradizionale rivalità tra Roma e Milano che, a suo giudizio, non giova a nessuna delle due città. […] La spedizione milanese di Veltroni […] è la spia di un cambiamento culturale, il segnale di un logoramento di quella retorica antagonista che ha caratterizzato il discorso pubblico su Roma e Milano dall’Unità fino ai nostri giorni.
Non è infatti quasi mai esistito un puro e semplice confronto tra le due città, quanto piuttosto una rigida contrapposizione fondata, di volta in volta, su argomentazioni e rivendicazioni etnico-culturali, socio-economiche, politiche. Ed è stata pressoché sempre Milano, nel secolo e mezzo di storia nazionale, ad accendere la disputa, a enfatizzare le differenze, valorizzando le autorappresentazioni municipali costruite sull’irriducibilità della propria vocazione a quella della capitale politica. Questo atteggiamento ha radici antiche, risalenti alla tarda antichità e all’alto medioevo, quando l’istituzionalizzazione del cristianesimo aveva stimolato dispute e rivalità tra le due città, divenute i principali centri di organizzazione ecclesiastica nella penisola. Bisogna però attendere il Settecento, con la diffusione della cultura illuministica, per assistere al passaggio della contrapposizione tra Roma e Milano a una dimensione a noi più familiare, prevalentemente laica e accentuatamente ideologica.
E infatti dall’età dei lumi che Milano comincia a rivendicare una propria «modernità», un’idea di progresso rispettosa del passato, destinata subito a trasformarsi in un efficacissimo strumento di coesione della cittadinanza, un modello di comunità fondato sulla valorizzazione delle competenze individuali e sull’avversione ai poteri anonimi delle burocrazie statali, giudicate incapaci sia di rivitalizzare l’autentica civiltà locale sia di interpretarne e sostenerne la modernizzazione. E non stupisce che già allora la città lombarda riconosca in Roma la sua immagine rovesciata, ossia il simbolo della «tradizione», il regno degli arcani della politica, il centro dell’incompetenza amministrativa, il luogo dove gli individui spariscono di fronte alla onnipotenza delle istituzioni. Ma, a guardar bene, non si tratta semplicemente di una contrapposizione tra «modernità» e «tradizione», quanto piuttosto di un confronto tra due diverse «tradizioni» della penisola, una comunale-municipalistica e l’altra statale-universalistica, due matrici che continuano a connotare immagini e autorappresentazioni delle due città anche dopo l’Unità.
Dalla fine dell’Ottocento in poi, tuttavia, la rivalità tra Roma e Milano assume anche un’altra fisionomia. Il contrasto, infatti, tende a scivolare in una dimensione antropologica, con la città lombarda pronta a rivendicare una diversa «italianità», una peculiare connotazione caratteriale radicalmente diversa da quella della capitale, assunta a simbolo perfetto dei vizi del meridionalismo e dello statalismo. Milano, però, si propone come capitale alternativa, «morale», semplicemente dilatando il mito della «buona amministrazione» a una scala nazionale. […] Un mito efficientista che, per molti aspetti, rivela la sua debolezza proprio nella sostanziale incomprensione della natura e del ruolo di una capitale, della sua capacità di contaminare e amplificare le tradizioni culturali di un paese, di plasmarle in un nuovo progetto nazionale.
Ecco così che, quando alla fine del Novecento lo scandalo di Tangentopoli rende inutilizzabile l’idea della «capitale morale», Milano fatica a ritrovarsi in un’immagine ben definita. Sebbene agli esordi della seconda Repubblica la «milanesità» cominci a pervadere le istituzioni nazionali, l’ambizione del capoluogo lombardo di proporsi come la «vera» capitale italiana risulta nei fatti indebolita. Roma, al contrario, sembra giovarsi del tramonto dell’idea di un primato «morale» milanese e, malgrado le insistite polemiche contro la capitale «ladrona», riesce ad accreditarsi davanti all’opinione pubblica nazionale come raramente le era accaduto in passato. […]
È forse qui opportuno precisare che questo libro non ha l’ambizione di svolgere un’analisi tecnica della retorica antagonista tra Roma e Milano, né di mostrarne tutti gli usi e le declinazioni. Lo sforzo principale è stato piuttosto quello di cercare di evidenziare l’evoluzione storica di un discorso pubblico che, al di là della sua apparente ripetitività, rivela una ricca e significativa stratificazione politico-culturale. Per questo motivo non sono stati utilizzati come oggetto di analisi esclusivamente discorsi o testi scritti, ma anche eventi, cerimonie, piani regolatori, opere architettoniche e urbanistiche, immagini cinematografiche. La ricostruzione di questa storia, essenzialmente la storia di un’idea, vorrebbe offrire anche un nuovo punto di osservazione per esaminare alcuni dei complessi processi di costruzione e trasformazione dell’identità nazionale.»