
Gli Umanisti invece celebravano la Voluptas e i piaceri dell’amore greco, vale a dire la «passione per il proprio sesso da vivere al massimo delle risonanze emotive e fisiche che essa può suscitare, sfidando il giudizio dei censori e dei moralisti, sia pure in un’epoca in cui le loro armi erano di eccezionale violenza.»
Scopriamo così un inedito Raffaello, consunto per troppo sesso: «Giulio papa avrebbe voluto farlo cardinale, ma troppo grande era il numero di femmine nel suo letto.» Scorrono poi le vite e i vizi di Antonio Beccadelli, detto il Panormita, autore dell’Ermafrodito – un «bizzarro capolavoro coprolalico» come lo definisce Nicola Gardini – o «Pomponio Leto, neopagano che scendeva nei templi sotterranei a venerare gli antichi dei, assai ospitale con i bei ragazzi di provincia per riti d’amore.» Ecco Giovanni Antonio Bazzi che «dalla nativa Vercelli era […] sceso a Siena, dove aveva fatto fortuna e aveva meritato per le sue scelte d’eros il nome, esplicito e inaudito, di Sodoma.»
E ancora «Sigismondo Malatesta, ventinove anni, e la sua amante Isotta, bella e giovanissima, di appena tredici primavere. Loro è la sigla che si trova dappertutto nel Tempio: si, s e i intrecciate.» Il signore «ha lasciato incompiuto il suo Tempio sublime a Rimini, per cui è stato accusato di eresia e di paganesimo: alla costruzione hanno apposto una croce in cima, per cristianizzare ciò che era assai più dichiarazione di fede nei miti classici», mentre «i “leonardeschi”, invenzione di storici dell’arte ottocenteschi e assai pudichi, nonché moralisti, furono uno stratagemma per salvare la reputazione al maestro.», tra i quali spiccava il suo pupillo Salaì, al secolo Gian Giacomo Caprotti.
Tra le donne troneggia la figura di Caterina Sforza, autrice di «un ricettario stregonesco che tratta di bellezza e sesso» e contiene rimedi per «la bianchezza del volto, elemento centrale di ogni attrattiva erotica in quel tempo» o «a fare divenire strettissima la a natura per modo che ogne persona per experta che sia, ò altramente che vergine non la reputerà quella cosa che e noi donne così ce tenemo nominare, id est la natura». Richiestissimi i rimedi per «non ingravidare» o «per fare ingrossare, tirare e anche a allungare il mfenbrp (ossia in codice il membro virile).» Le sue prescrizioni sono tutte rivolte al piacere: «nel regno di Caterina il sesso ha un peso assoluto, e il maschio non può, tassativamente, astenersi dall’offrirsi alla regina in tutta la massima prestanza del suo membro.»
Scarlini narra le vicende di Pietro l’Aretino, «erotomane libertino», una vita da pornografo, che addirittura brigò non poco per ottenere la nomina a cardinale, «titolo possibile anche per i non ecclesiastici» che gli avrebbe garantito non solo «strepitose prebende» e «lo avrebbe messo al sicuro per gli anni estremi della sua vecchiaia», «ma anche per lasciare di sé una diversa immagine alla posterità». «Poco prima, nel 1539, era stato nominato alla porpora Pietro Bembo»: si può dunque «capire come l’Aretino sbavasse dalla rabbia»…
Siena, Roma, Venezia – «una Bangkok rinascimentale» – erano le capitali del piacere, stipate di cortigiane e prostitute: nella città lagunare Marin Sanudo, nel 1509, «calcola che una signora su tre» praticasse il meretricio.
Proliferano le opere erotiche, dai titoli spesso espliciti: le Venieresche di Maffio Venier, il Priapus di Pietro Bembo, Il candelaio di Giordano Bruno, La veniexiana, anonima, e via dicendo, in un lunghissimo elenco.
Questa l’epoca, contraddittoria all’inverosimile ma sublime, cantata da Scarlini in un libro davvero colto e piacevole.