
Per farlo Gardini lo descrive da una prospettiva diversa, «non tanto come concetto complessivo quanto come officina intellettuale e artistica di alcune personalità paradigmatiche.» Ne ha scelte nove: Leonardo da Vinci, Agnolo Poliziano, Giovanni Pico della Mirandola, Giovanni Pontano, Cassandra Fedele, Lorenzo de’ Medici, Niccolò Machiavelli, Girolamo Fracastoro e Ludovico Ariosto. Sono «così rappresentati lo scienziato-artista (Leonardo), l’uomo di lettere totale (Poliziano), il filosofo (Pico), il teorico della politica (Machiavelli), il medico-poeta (Fracastoro), lo statista che scrive versi (Lorenzo e Pontano), la donna letterata (Cassandra Fedele), il narratore enciclopedico (Ariosto), oltre che alcune delle capitali del Rinascimento (Firenze, Ferrara, Napoli, Milano, Padova).»
Nove individui accomunati da «una stessa volontà di rigenerazione e di rifondazione, convinti della propria modernità grazie a un’acuta coscienza del divenire storico e a una strenua applicazione allo studio.»
Emerge così «un Rinascimento anti-conformista, anti-accademico, un Rinascimento “leonardiano”, prendendo Leonardo, con il quale non a caso il libro inizia, a prototipo di un’inventività libera e felice di sé, che crede nella ricerca e si avventura nello studio senza un obiettivo predeterminato. La famosa inconcludenza di Leonardo, che lasciava perplessi i contemporanei!»
Nel gruppo dei nove figura una donna, Cassandra Fedele. Cassandra «è una latinista, gode di prestigio sociale presso i potenti di entrambi i sessi e ha idee chiare sull’istruzione e sulla politica», espressione di quell’anticonformismo leonardiano che funge da motivo ispiratore dell’intero libro.
Si scopre così «che l’interesse dei rinascimentali per l’antico non significa passatismo, retrospettivismo, anacronismo. […] con tutto il suo studio del passato, il Rinascimento è civiltà del futuro: il pensiero dell’avvenire è sempre posto al centro dell’indagine intellettuale, linguistica e artistica. La conoscenza si forma su prototipi di eccellenza che la tradizione ha consegnato, ma il fine ultimo di tale conoscenza è l’interpretazione del futuro, perché, rinascimentalmente, l’uomo deve pensare il futuro, e, pensando il futuro, preparare felicità e pace universali.»
All’insegna di un programma culturale e letterario che, «come insegna Giovanni Pontano al giovane Duca di Calabria, è quam multa scire, “sapere il più possibile” (De principe 27)».
«In tempi come questi, che contestano il senso degli studi storici e letterari e creano assurde antitesi tra scienza e humanities» l’attualità del Rinascimento sta nel «ricordarci, con i suoi discorsi sulla necessità del rinnovamento e con le sue innovazioni, quanti e quali frutti sia in grado di dare il dialogo tra passato e presente.»
Eppure, non vi è in Gardini alcuna volontà di idealizzare il Rinascimento: «Il Rinascimento non coincise con un’epoca felice. I testi [presenti nel] libro non raccontano la realtà: ne propongono una migliore. Il Rinascimento fu la cultura di un tempo di diffusa crisi […] Invitando a tornare al Rinascimento, intendo semplicemente che certi suoi discorsi, certi suoi sogni possono fornirci i concetti per agire oggi: armonia, esperienza, fede nel sapere, volontà di comprensione e di interpretazione, immaginazione enciclopedica, attenzione alla natura. […] Il Rinascimento è un’immaginazione utopica, anche quando sembri celebrare trionfalisticamente l’attualità; è un sistema di ipotesi e immagini sul miglioramento di sé e della società, sull’educazione dell’essere umano, sulla rinascita, appunto. […] Il Rinascimento è cultura della libertà e delle differenze, e per questo, pur allontanandosi sempre più temporalmente da noi, sempre più si rivela capace di indicarci la via giusta.