
La diffusione del coronavirus, l’esigenza di tutelare la salute e di cercare di salvare vite umane sono state accompagnate da una flessione senza precedenti dell’attività produttiva in Europa e nel mondo.
Dopo esitazioni e difficoltà iniziali anche l’Europa, e segnatamente l’Euroarea, ha trovato la coesione per adottare misure concordate di particolare rilievo. Il Patto di Stabilità alla base delle politiche fiscali è stato correttamente sospeso. Il mantra del pareggio di bilancio è stato temporaneamente abbandonato. Anche i “paesi virtuosi” hanno accettato che un aumento significativo del debito pubblico era inevitabilmente connesso all’esigenza di fronteggiare la pandemia. La BCE ha preso decisioni fondamentali di sostegno monetario, in particolare attraverso il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP). La Commissione e il Parlamento europeo hanno tracciato e stanno realizzando un Piano estremamente importante per la ripresa e per gli investimenti nelle transizioni verde e digitale. La spesa dell’Unione europea tra il 2021 e il 2027 dovrebbe essere pari a 1.800 miliardi di euro. Aldilà del quadro finanziario pluriennale dell’UE, superiore a 1.000 miliardi, è stato concordato il pacchetto “Next Generation EU” (NGEU), concentrato nei primi anni, che comprende 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti. Sta ora a paesi come l’Italia, che nel passato hanno fatto crescere il debito pubblico per spese correnti, realizzare modelli diversi di spesa pubblica per buone infrastrutture. In assenza di un forte cambiamento di rotta il debito pubblico italiano destinato a superare nel 2020 il 160% del Pil diventerebbe un ostacolo insormontabile.
Quali sfide si presentano all’Europa a seguito della pandemia?
Purtroppo, la pandemia non è superata. Si tratta di una sfida globale che richiede una risposta globale, anche per promuovere la ricerca su terapie e vaccini. L’UE e gli stati membri sono impegnati con un rinnovato spirito di solidarietà. Aldilà delle considerazioni già esposte nel primo punto, appare fuori dubbio che il massimo degli sforzi deve essere rivolto nell’immediato agli investimenti per sostenere i sistemi sanitari non solo a livello nazionale, ma anche creando efficaci reti di intervento a livello dell’Unione. La parcellizzazione delle risposte è pericolosa. È naturalmente necessaria flessibilità negli interventi a livello territoriale, ma le linee guida dovrebbero essere coordinate con il riconoscimento e la valorizzazione delle best practices.
In che modo le difficoltà economiche e sociali generate dall’emergenza sanitaria sollecitano un riesame critico dell’integrazione europea?
L’emergenza sanitaria richiede un particolare sostegno ai paesi in maggiore difficoltà. D’altra parte, questo criterio è stato posto alla base del NGEU. Sono state inoltre attivate reti di sicurezza per sostenere lavoratori, imprese e paesi. Occorre peraltro uno sforzo di coesione e convergenza basato sul convincimento dell’enorme sforzo per il rilancio di buoni investimenti pubblici e privati. Occorre riconoscere che non sempre il sistema economico lasciato a se stesso spinge verso la piena occupazione e la crescita sostenibile. Sembra facile sostenerlo adesso, ma per molti anni questo appariva un dogma. Si erano trascurati i canoni sociali ed economici che erano stati posti alla base dell’Unione europea. L’economia sociale di mercato accettata e condivisa in Germania, in Francia e in Italia era stata alla base dei processi di integrazione affondando le proprie radici, come mostra il Prof. Velo, nella fusione tra valori del protestantesimo, del nuovo corso imboccato dal cattolicesimo all’inizio del ventesimo secolo e dell’approccio laico coerentemente sostenuto dalla Francia.
Come deve articolarsi la transizione dell’Unione verso un capitalismo “responsabile”?
Il sistema capitalistico ha mostrato nel corso del tempo pericolose derive (instabilità economica e finanziaria; crisi occupazionali; discriminazioni sociali; costi ambientali), che richiedono argini istituzionali, politici e normativi. Tali argini dovrebbero consentire una crescita economica stabile e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale e finanziario. Si è vero che ogni crisi economica o finanziaria ha determinato cambiamenti nel sistema di valori e nei comportamenti degli operatori economici, la crisi pandemica potrebbe rivelarsi un acceleratore per la transizione verso un capitalismo “responsabile”. In quest’ottica, occorre chiedersi se l’UE abbia definito efficaci indirizzi di politica economica e creato il “framework regolatorio” necessari per orientare l’economia europea, e il sistema finanziario che la alimenta, verso la sostenibilità sociale e ambientale.
Il paradigma liberale e l’economia sociale di mercato adottati nella costruzione (ancora in itinere) dell’UE hanno consentito l’attivazione di strategie e politiche comunitarie volte a coniugare lo sviluppo economico con il contrasto dei costi sociali e ambientali del capitalismo. Già nel 2010 la Commissione Europea aveva definito Europa 2020, una strategia per una ripresa economica inclusiva, intelligente e sostenibile. Tali “pilastri” trovano ora conferma nelle priorità dichiarate dalla Commissione Europea per il quinquennio 2019-2024: il noto piano strategico European Green New Deal persegue la sostenibilità ambientale, il programma Next generation EU guarda all’equità sociale e all’innovazione, lo strumento SURE mira alla solidarietà.
La transizione verso un capitalismo “responsabile” richiede tuttavia anche un contesto economico e finanziario adeguato. Risulta di non secondaria importanza l’azione svolta dall’UE a sostegno all’innovazione e della competitività delle imprese europee mediante i funding programmes (tra i tanti COSME, CEF, InnovFin). Così come non è irrilevante l’azione dell’UE a favore della stabilità finanziaria e dello sviluppo della c.d. finanza sostenibile. L’UE sta insomma tentando di comporre un quadro istituzionale e regolamentare che agevoli la transizione verso un capitalismo europeo “responsabile”. Potremo valutare i risultati nei prossimi anni.
Che ne è oggi del percorso costituente dell’Unione Europea?
È di tutta evidenza che, all’interno dell’Europa, diversi fronti nazionalisti e/o populisti intendono ostacolare, e talvolta minacciare, il progresso dell’integrazione europea, imputando al percorso costituente dell’UE la difficoltà che i governi nazionali hanno spesso incontrato per trovare soluzioni condivise a problemi comuni e d’importanza vitale. In tal modo non solo si trascura, come ha sottolineato il Prof. Chiarelli nel suo saggio, la centralità delle istituzioni europee per gli equilibri e l’avvenire del pianeta, ma non si riesce a intende l’integrazione europea come un modello di successo dell’economia sociale di mercato. Successo che oggi trova conferma nel fatto che proprio la UE è invocata per risolvere i gravi problemi provocati dalla pandemia.
La carenza di progettualità e la “crisi delle ideologie” sono le vere cause del difficile percorso di integrazione europea. A tal riguardo, il Prof. Chiarelli propone una attenta riflessione sulla possibilità di rimodulare le funzioni del parlamento europeo affidando il compito di decidere sugli indirizzi di lungo periodo; ciò, forse, consentirebbe di uscire dal vuoto progettuale che sembra spesso incombere sulla vita politica degli Stati europei.
Il libro contiene un autorevole intervento del prof. Carlo Pelanda che auspica un’evoluzione dell’Unione verso «sovranità convergenti e reciprocamente contributive»: cosa implica tale soluzione?
La proposta avanzata dal Prof. Pelanda parte da una considerazione: poiché l’UE, seppur incompleta, rappresenta comunque un moltiplicatore della forza nazionale (anche se asimmetrico), è assai improbabile che i Paesi europei consentano la dissoluzione dell’Unione stessa. A conferma della comune volontà di difendere la coesione europea sono gli accordi europei del luglio 2020 per fronteggiare la pandemia, nonché la rapidità e la scala delle azioni d’emergenza realizzate dalla BCE.
Tuttavia, secondo il Prof. Pelanda, l’emergenza pandemica ha reso più evidente la prevalenza della diarchia franco-tedesca, la cui generosità si deve più al timore che il “sistema Europa” vada in crisi, che non ad un avanzamento verso il modello unionista. I problemi di incompletezza dell’UE potrebbero essere risolti con un modello di “convergenza” tra nazioni, che non è né confederale, né di “condivisone delle sovranità”.
Considerando l’UE più di un’alleanza ma non una vera unione, il Prof. Pelanda propone di rafforzare la “convergenza” delle sovranità e la “reciprocità contributiva”. Una tale evoluzione dell’UE richiederebbe indirizzi comunitari differenziati per nazione, la rimodulazione dell’obbligo di aderire a standard comuni rigidi, il pieno rispetto del principio di sussidiarietà. Sarebbe poi favorita dalla formazione di un mercato integrato euro-americano.
Quali sono dunque le possibili (e auspicabili) evoluzioni dell’Unione?
La ricostruzione che può e deve partire in Europa dovrebbe basarsi su un progetto di creazione di un debito pubblico – reale e “riproduttivo” – comune fondato su buoni investimenti pubblici che fungano da volano a un più ampio processo di accumulazione produttiva, trainato dalle imprese private. Dovrebbe essere attuato un processo per la realizzazione degli enormi volumi di infrastrutture intese in senso lato, economiche e sociali. Le sfide in Europa connesse all’adeguamento di buone infrastrutture sono di fondamentale portata. Accanto alle esigenze connesse alla ricostruzione dopo gli shock di domanda e di offerta derivanti dalla pandemia, i cambiamenti climatici e ambientali rappresentano priorità di straordinario rilievo. I fenomeni della digitalizzazione comprendono Digitization e Servitization, i Cyber Physical Systems, l’Artificial Intelligence, i Big Data.
Si tratta di mega trend globali che riformulano i modelli di business, la creazione e le catene di valore in tutte le aree dell‘economia. Il capitale fisico e quello umano diventano sempre più profondamente interconnessi. L’educazione lungo l’intero arco di vita e il (re)training, utilizzando le opportunità del lavoro a distanza, rappresentano una chiave di volta per sostenere l’occupazione competitiva e la crescita sociale e civile in Europa. Buoni investimenti in infrastrutture, aldilà dell’impatto sulla domanda, fanno aumentare il tasso sostenibile di crescita della produttività totale dei fattori e contribuiscono a proteggere le economie dai rischi sempre più rilevanti del cambiamento climatico, i cosiddetti cigni verdi. Il rigore delle finanze pubbliche sarebbe assicurato dal fatto che, aldilà degli interventi immediati necessari per far fronte all’emergenza del coronavirus, i bilanci pubblici dei paesi europei sarebbero vincolati al rispetto del pareggio per le spese correnti (non riproducibili).
Alessandro Gennaro è associato di Finanza Aziendale e Direttore del DSEA presso l’Università “Guglielmo Marconi”. PhD in “Economia e finanza nel governo d’impresa” (Sapienza), è studioso di financial and risk management, business valuation, corporate restructuring. È autore di pubblicazioni scientifiche sui temi della corporate finance.
Rainer S. Masera è professore di Politica Economica e Preside di Economia presso l’Università “Guglielmo Marconi”. PhD in “Economia” (Oxford), è esperto di financial economics, international finance e banking regulation e autore di numerosi contributi e pubblicazioni scientifiche. Già Ministro del bilancio e della programmazione economica del Governo Dini, ha partecipato al Gruppo per la revisione del processo Lamfalussy (2007) e al Gruppo de Larosière per la revisione della regolamentazione finanziaria in Europa (2009).