Riassunto capitolo 8 de “I Promessi Sposi”

I promessi sposi, Capitolo 8: trama riassunto

“Carneade! Chi era costui?”. È con il celebre interrogativo di Don Abbondio che si apre l’VIII capitolo dei Promessi Sposi. Il curato sta infatti leggendo quando Perpetua lo avvisa dell’arrivo di Tonio e Gervaso. Nonostante l’ora tarda, Don Abbondio decide di lasciare entrare i due giovani che si affacciando quindi sull’uscio seguiti da Agnese. La donna si intrufola in casa fingendo di passare di lì per caso di ritorno da un paese vicino dove le è capitato di sentire dei pettegolezzi su Perpetua: sostiene infatti di aver incontrato un tale che le ha parlato dei mancati matrimoni della donna: “Credereste? s’ostinava a dire che voi non vi siete maritata con Beppe Suolavecchia, né con Anselmo Lunghigna, perché non v’hanno voluta. Io sostenevo che siete stata voi che gli avete rifiutati, l’uno e l’altro”. In questo modo riesce scaltramente ad avere la completa attenzione di Perpetua, che non si accorge così che anche Renzo e Lucia si intrufolano nell’abitazione di Don Abbondio.

Tonio e Gervaso entrano nella stanza del curato, mentre Renzo e Lucia aspettano dietro l’uscio. Tonio salda il suo debito, Don Abbondio gli restituisce la collana d’oro ricevuta in pegno dall’uomo e si appresta a compilare una ricevuta. Ma, proprio mentre è intento a scrivere, i due giovani entrano nella stanza e si affrettano a recitare le formule di rito per la celebrazione del matrimonio. Renzo riesce a pronunciare la frase prevista, “Signor curato, in presenza di questi testimoni, quest’è mia moglie”, ma nel frattempo il prete riesce a riaversi dallo stupore e a reagire con furia: “lasciando cader la carta, aveva già afferrata e alzata, con la mancina, la lucerna, ghermito, con la diritta, il tappeto del tavolino, e tiratolo a sé, con furia, buttando in terra libro, carta, calamaio e polverino; e, balzando tra la seggiola e il tavolino, s’era avvicinato a Lucia”. La ragazza aveva appena iniziato a pronunciare la sua parte della formula quando il curato la interrompe buttandole il tappeto sulla testa. Poi scappa dalla stanza, si rifugia in un’altra camera e da qui, affacciandosi alla finestra, urla chiedendo aiuto. Le sue grida fanno svegliare Ambrogio, il sacrestano, che corre al campanile a suonare le campane per richiamare la gente del paese in soccorso al curato.

Anche Perpetua e Agnese odono i rintocchi delle campane e rientrano dunque in casa di Don Abbondio. Agnese, Renzo e Lucia si allontanano rapidamente dalla casa del curato per evitare di essere visti dalla gente del paese che vi sta accorrendo.

Nel frattempo i bravi, usciti dall’osteria, si sono diretti a casa di Lucia e Agnese, trovandola però vuota. Il Griso immagina che qualcuno li abbia traditi, svelando il loro piano. Mentre i bravi stanno mettendo sottosopra la casa di Lucia, all’uscio si presenta Menico, il ragazzino che era stato inviato al convento per ricevere le indicazioni di Fra Cristoforo. I bravi lo hanno appena afferrato per le braccia quando i forti rintocchi delle campane suonate da Ambrogio li interrompono. I bravi e il Griso scappano e fanno ritorno al palazzotto di Don Rodrigo, mentre tutta la gente del paese si sta radunando nella piazza.

Don Abbondio, dopo aver ringraziato tutti coloro che sono scesi in piazza per difenderlo, racconta che degli sconosciuti si erano introdotti in casa sua con cattive intenzioni e si barrica poi in casa a discutere con Perpetua. Nel frattempo alcuni degli uomini accorsi si recano a casa di Lucia e Agnese e la trovano vuota. Si teme in un primo momento che le donne siano state rapite, ma poi si sparge la voce, come “un bisbiglio, uno strepito, un picchiare e un aprir d’usci, un apparire e uno sparir di lucerne, un interrogare di donne dalle finestre, un rispondere dalla strada”, che Agnese e Lucia si siano messe in salvo presso un’altra abitazione.

I tre fuggitivi, nel frattempo, “tutti in affanno per la fatica della fuga, per il batticuore e per la sospensione in cui erano stati, per il dolore della cattiva riuscita, per l’apprensione confusa del nuovo oscuro pericolo”, si imbattono in Menico che riferisce loro di aver ricevuto da Fra Cristoforo l’ordine di recarsi immediatamente al convento. Qui giunti, vengono accolti dal religioso, “la faccia pallida, e la barba d’argento”, che li accoglie e li compatisce per il fatto di dover sopportare una prova così terribile, pur non avendo mai fatto del male ad alcuno. Dato che però il paese non è più sicuro per loro, consiglia loro di allontanarsene. Anzi, ha già organizzato la fuga trovando un luogo dove nascondersi: Renzo potrà recarsi presso un convento di Milano, da padre Bonaventura da Lodi, che avrà cura di lui e gli troverà un lavoro, mentre Agnese e Lucia vengono indirizzate presso un altro convento di cui non viene fatto il nome.

Il capitolo si chiude con le immagini dell’abbandono del paese da parte di Renzo e Lucia, che come due fuggitivi salgono sul battello predisposto da Fra Cristoforo e vedono allontanarsi i luoghi conosciuti e amati da sempre: la casa in cui sono nati e cresciuti, il paesaggio noto, i monti che lo circondano. “Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! […] Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore.”. Il viaggio dei due giovani è triste, il futuro che li aspetta incerto. A bordo del battello, Lucia, con il viso reclinato sul braccio, piange.

Silvia Maina

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