Riassunto capitolo 16 de “I Promessi Sposi”

I promessi sposi, Capitolo 16: trama riassunto

Approfittando della confusione, Renzo si allontana, deciso a lasciare la città e a nascondersi nel Bergamasco presso suo cugino Bortolo. In realtà il ragazzo non conosce bene le strade e dunque non sa in quale direzione debba andare per uscire dalla città; tuttavia i fatti recenti lo inducono ad essere cauto e a cercare con cura a chi rivolgersi. Ricorda bene di essere stato fregato da quell’uomo così cortese che si è poi rivelato un poliziotto, e sa che gli sbirri ormai lo conoscono e potrebbero quindi mettersi sulle sue tracce e arrestarlo in qualsiasi momento. Nessuno gli sembra abbastanza degno di fiducia: non il ragazzetto con l’aria furba, né il passante che sembra non sapere nemmeno dove sta andando e tantomeno il grasso proprietario di una bottega che probabilmente sta sull’uscio pronto a fare mille domande curiose a chiunque gli si rivolga. Finalmente individua un passante che gli sembra adatto il quale gli indica che per uscire dalla città deve dirigersi verso la Porta Orientale, verso la quale il giovane si dirige a passo svelto.

Nell’andare verso la Porta, Renzo ripassa dalla piazza del duomo, dove vede i resti del falò acceso dagli insorti il giorno precedente, poi dal forno delle Grucce, ora sorvegliato dai soldati, e infine vede il convento e la chiesta dove avrebbe dovuto attendere – m’aveva però dato un buon parere quel frate di ieri: che stessi in chiesa a aspettare, e a fare un po’ di bene – se non fosse invece andato ingenuamente a infilarsi proprio nel bel mezzo del tumulto. La Porta Orientale è sorvegliata dai soldati; per sua fortuna però questi rivolgono i propri controlli a chi entra, piuttosto indifferenti invece verso chi esce dalla città. Renzo riesce quindi a uscire da Milano indisturbato e procede deciso lungo le strade di campagna, costeggiando villaggi e cascine.

Durante il cammino, ripensa agli avvenimenti della sera precedente. Ricorda abbastanza distintamente di aver confidato a quel tale sedicente spadaio il suo nome e il suo cognome, ed è ormai certo che si trattasse di un poliziotto travestito. Ricorda poi di aver chiacchierato con gli altri avventori, ma i ricordi sono alquanto sbiaditi dall’alcol, e quindi non ha certezze su che cosa possa aver detto: “Il poverino si smarriva in quella ricerca: era come un uomo che ha sottoscritti molti fogli bianchi, e gli ha affidati a uno che credeva il fior de’ galantuomini; e scoprendolo poi un imbroglione, vorrebbe conoscere lo stato de’ suoi affari: che conoscere? è un caos.”

Resosi conto che non ha idea di quale sia la strada giusta per raggiungere Bergamo, decidere di chiedere nuovamente indicazioni e scopre così di essere fuori strada. Non è però molto convinto di passare dalla via principale, perché la immagina piena di soldati o sbirri che possono controllarlo, e quindi finisce per procedere a zig zag percorrendo molta più strada di quella che sarebbe necessaria.

A un tratto vede l’insegna di un’osteria. Decide di fermarsi; all’interno c’è una vecchia che sta filando e che gli serve dello stracchino (il ragazzo, memore del giorno precedente, rifiuta questa volta il vino) per poi iniziare a fargli una serie di domande sulla situazione in città e sui tumulti. Renzo cerca di svicolare e chiede invece indicazioni per raggiungere un paese vicino al confine tra i due stati, fingendo di non ricordarne il nome. La donna gli indica Gorgonzola e gli spiega come fare a raggiungerlo per vie secondarie; Renzo si mette quindi rapidamente in cammino.

Giunge a Gorgonzola nel tardo pomeriggio e decide di fermarsi a mangiare in un’altra osteria, cercando di capire il modo per raggiungere l’Adda. Il fiume rappresenta infatti il confine tra i due stati, il ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, e il giovane è deciso ad attraversarlo.

Nell’osteria alcuni avventori stanno discutendo degli avvenimenti accaduti a Milano il giorno precedente. Renzo cerca di tenersi alla larga dai discorsi e risponde in modo evasivo quando gli domandano da dove venga e se ne sappia qualcosa. Cercando di apparire indifferente ai discorsi, si finge interessato solo al cibo che ha davanti: in realtà cerca di ascoltare che cosa viene detto per capire se ci sia qualcuno che possa sembrare degno di fiducia a cui domandare come raggiungere il fiume.

Mentre gli avventori stanno commentando i tumulti, pentendosi di non avervi potuto prendere parte, si sente avvicinarsi un cavallo e tutti corrono ad accogliere il nuovo arrivato. Si tratta di un mercante milanese, avventore abituale della locanda, che prende posto a un tavolo e si appresta finalmente a dare agli altri notizie di prima mano sui tumulti.

L’uomo racconta che i disordini sono continuati anche quel giorno, e in modo quasi peggiore del precedente. I rivoltosi infatti avevano nuovamente cercato di assaltare la casa del vicario di provvisione ma, avendola trovata ben protetta e sorvegliata dai soldati, avevano ripiegato sul forno del Cordusio che avevano saccheggiato. Non solo avevano rubato il pane, ma avevano anche fatto un falò di una serie di suppellettili trovati nel forno. Per poco non avevano dato fuoco al forno stesso; fortunatamente l’intervento dei monsignori del duomo, che avevano spiegato che nuove grida avevano di nuovo abbassato il prezzo del pane, aveva evitato il peggio.

Il mercante aggiunge poi che ormai la giustizia è all’opera, i capi dei rivoltosi sono stati arrestati e saranno presto impiccati. Secondo l’uomo, i rivoltosi hanno avuto ciò che si meritano: “È una provvidenza, vedete; era una cosa necessaria. Cominciavan già a prender il vizio d’entrar nelle botteghe, e di servirsi, senza metter mano alla borsa; se li lasciavan fare, dopo il pane sarebbero venuti al vino, e così di mano in mano”. Aggiunge poi che tutta la sommossa è nata dalle trame del cardinale Richelieu, e non da vere esigente del popolo: lo dimostra il fatto che gran parte dei rivoltosi fossero dei forestieri, venuti a Milano proprio per seminare zizzania. Cita quindi “uno che non si sa bene ancora da che parte fosse venuto, da chi fosse mandato, né che razza d’uomo si fosse; ma certo era uno de’ capi. Già ieri, nel forte del baccano, aveva fatto il diavolo; e poi, non contento di questo, s’era messo a predicare, e a proporre, così una galanteria, che s’ammazzassero tutti i signori. Birbante! Chi farebbe viver la povera gente, quando i signori fossero ammazzati? La giustizia, che l’aveva appostato, gli mise l’unghie addosso; gli trovarono un fascio di lettere; e lo menavano in gabbia; ma che? i suoi compagni, che facevan la ronda intorno all’osteria, vennero in gran numero, e lo liberarono, il manigoldo.”

Renzo, comprendendo che si sta parlando di lui, fa di tutto per non mostrare il proprio terrore. Per non destare sospetti lascia il locale solo quando ormai si è cambiato discorso e si rimette in cammino.

Silvia Maina

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