
Nel corso del nostro sviluppo attraverso l’educazione, l’esperienza, l’interazione con gli altri, l’assimilazione dei codici linguistici e culturali, noi abbiamo imparato ad associare queste diverse dimensioni psicologiche contingenti in un sistema di categorie dell’esperienza psichica assai complesso e sfaccettato. È grazie a questo sistema di rappresentazioni, allo stesso tempo individuale e sociale, che possiamo distinguere il vissuto emotivo, che naturalmente sarebbe invece continuo, magmatico, inarticolato. Sono queste rappresentazioni che ci permettono di cogliere le manifestazioni del vissuto come un fenomeno specifico dotato di un valore e così agire emotivamente in modo sensato.
Si può piangere e ridere per la gioia, si può gioire esultando e coinvolgendo gli altri o assaporando la contentezza in noi, da soli senza manifestarla. Si può gioire per mille motivi diversi, per un successo o uno scampato pericolo o una guarigione. Si può gioire per gli altri o per noi stessi; perché è successo qualcosa o per un semplice ricordo. Si può gioire sentendo il cuore salire in gola, oppure avvertendo i brividi lungo la schiena. Esistono infinite attualizzazioni di questa emozione, alcune tra di loro molto distanti o addirittura contrastanti. Tuttavia possiamo riconoscere e vivere ciò che chiamiamo gioia perché sin dalla prima infanzia ci hanno insegnato che la coincidenza di un certo insieme di situazioni, di una gamma di sensazioni fisiche, di impulsi verso certe azioni e di un fascio di vissuti edonici e psichici va categorizzata e chiamata in quel modo, può essere ricondotta a una classe, pur sfumata, di specifici e interconnessi segni linguistici.
Per questo, tutti i diversi piani dell’emozione si strutturano e si modificano in modo reciproco, circolare. Essi sono in effetti parti di un sistema dinamico che ha tendenzialmente un ruolo adattativo, ma che può portare a gravi disfunzionalità se anche solo uno dei componenti del sistema si sviluppa in modo anomalo o viene compromesso da un qualche evento, materiale o psichico, un trauma, una malattia fisica, l’esposizione cronica allo stress e così via.
Come avviene lo sviluppo emotivo?
Ad oggi, tutti i ricercatori sono concordi nell’affermare che lo sviluppo delle emozioni è modulato sia dalle basi neurobiologiche che dall’esperienza. La maturazione delle emozioni in un individuo dipende, in parte, dalla natura, ed è per questo, in certa misura, vincolato da elementi genetici. Il resto viene plasmato dalle esperienze, da ciò che l’individuo vive e apprende nella fase evolutiva, e soprattutto da come codifica e da come assegna senso e valore a ciò che gli accade intorno e a ciò che sente accadere dentro di sé. L’attribuzione di significato alle esperienze è mediata dall’educazione, dalla cultura in cui un individuo cresce, dagli strumenti interpretativi, soprattutto di tipo simbolico e linguistico, che i contesti familiare, scolastico e sociale gli mettono a disposizione.
Poiché l’individuo funziona come una totalità, è evidente che, in una prospettiva multidimensionale, non solo le componenti emotive e affettive sono inscindibili, ma che anche l’intero sviluppo emotivo si compenetra con quello cognitivo, linguistico, sociale. È proprio nell’interazione sociale, infatti, che emergono e si dispiegano le prime emozioni o addirittura i precursori emotivi.
Fin dalla nascita la qualità e la varietà delle relazioni possono indurre nel bambino l’attivazione prioritaria di alcuni specifiche manifestazioni emotive rispetto ad altre. Allo stesso modo le esperienze, le relazioni, l’educazione, l’apprendimento del linguaggio e il grado di risoluzione del lessico emotivo possono promuovere diversi livelli di abilità nella regolazione emotiva: da capacità pienamente funzionali e adattative a più o meno gravi disabilità nel controllo delle emozioni.
Emozioni e regolazione emotiva sono permeate dalla valutazione e dall’attribuzione di significato, quindi dall’intervento di fattori linguistici e cognitivi che si arricchiscono nel tempo di previsioni e di anticipazioni mentali. Ne è un esempio il fatto che i primi segnali emotivi del neonato, come il pianto o il sorriso endogeno, non abbiano alcun significato sociale ma, venendo interpretati come tali dai genitori e dagli altri adulti che si prendono cura del bimbo, indirizzano quest’ultimo verso l’attribuzione del senso che riconosciamo a tali espressioni, alle sensazioni, alle situazioni ad esse correlate e alla loro relativa rappresentazione linguistica. Questo tipo di apprendimento peraltro è in generale una delle basi fondamentali dello sviluppo delle emozioni sociali. Da questo esempio già si nota come la complessità delle variabili in gioco presupponga inevitabilmente che lo sviluppo emotivo si articoli su più fronti e con diverse correlazioni. Oltre all’evoluzione sociale, infatti, lo sviluppo emotivo del bambino è influenzato dall’ampliamento e dalla diversificazione della gamma di esperienze vissute, dalla ricchezza e dalle sfumature del dizionario emotivo e dall’aumentata consapevolezza di sé e degli altri.
Quali meccanismi cerebrali e cognitivi presiedono al controllo volontario del comportamento e delle emozioni?
La ricerca sperimentale ha individuato alcuni centri e strutture cerebrali che sembrano maggiormente coinvolti, come l’amigdala o la corteccia prefrontale, l’insula e altre parti. Ma, come abbiamo visto, ogni singola esperienza emotiva è una manifestazione multidimensionale e per questo coinvolge in modo diretto e indiretto tutto l’insieme dei meccanismi cerebrali e cognitivi. Non solo. Una componente fondamentale delle emozioni sta nel complesso delle sensazioni viscerali, muscolari, somatiche; vale a dire nella vasta e multiforme totalità dei processi e delle sensazioni, pur vaghi e talora inconsci, che occorrono nel nostro corpo momento per momento e parallelamente agli stati emotivi. Le emozioni, il significato che diamo loro, il tipo di motivazioni e di azioni cui possono dare innesco dipendono largamente dagli stati e dalle dinamiche del nostro corpo. Per questo è fondamentale sviluppare l’attenzione e la sensibilità verso queste informazioni “interocettive”, la capacità di riconoscerle, dar loro un nome. Esistono training specifici, come la semplice pratica del body scan mediata dalle tecniche di meditazione buddhista, che permettono di potenziare la consapevolezza delle dimensioni viscerali e somatiche delle emozioni e quindi gestirle e regolarle più efficacemente.
Di quale utilità è la mindfulness per la regolazione delle emozioni?
La pratica Mindfulness si caratterizza principalmente per l’addestramento di cinque tratti psicologici, ognuno dei quali svolge un ruolo fondamentale nella regolazione delle emozioni:
- Osservare (prestare attenzione e notare tutti gli stimoli interni ed esterni che si presentano alla coscienza, come sensazioni, emozioni, elementi cognitivi – memorie, ragionamenti, monologo interiore, ecc.). Questa parte della pratica addestra la consapevolezza delle emozioni, soprattutto la capacità di notare consapevolmente il loro insorgere. Questo garantisce il necessario distanziamento dall’emozione e permette di non farsi invadere, trascinare e travolgere dall’impulso emotivo. Ed è solo nel distanziamento dall’emozione, nella consapevole osservazione dell’emozione come processo e come oggetto che l’emozione può essere modulata e controllata.
- Descrivere (prendere nota cognitivamente, etichettare mentalmente questi stimoli con parole). In questa parte della pratica Mindfulness l’osservazione consapevole viene arricchita dall’etichettamento linguistico. Esso permette un’identificazione precisa dello stato emotivo e in tal modo fa diventare il vissuto emotivo meglio afferrabile e gestibile. Allo stesso tempo l’etichettamento linguistico facilita la riattivazione di processi di regolazione di tipo cognitivo e metacognitivo mediati dal linguaggio, come la rivalutazione; e agevola la defusione, il distanziamento dalle emozioni in quanto “oggettivate”, rese altre da sé nella rappresentazione linguistica.
- Agire con consapevolezza (prestare attenzione all’azione in corso, in maniera opposta all’azione automatica e inconsapevole che accomuna gran parte dei nostri comportamenti). Questa parte dell’addestramento potenzia la capacità di restare consapevoli di come agiamo. L’espressione emotiva spesso invece tende a realizzarsi in modo impulsivo e automatico, in buona parte inconsapevolmente. Senza consapevolezza delle proprie azioni e dei loro effetti è impossibile controllare l’espressione comportamentale delle emozioni.
- Atteggiamento non giudicante rispetto agli stimoli, ai pensieri, ai contenuti di coscienza, all’esperienza interna (astenersi da ogni forma di valutazione delle sensazioni, cognizioni ed emozioni esperite). L’esercizio dell’atteggiamento non giudicante presente nella pratica Mindfulness permette di disattivare il carico affettivo dell’emozione, che talora può essere doloroso e disturbante. Allo stesso tempo allenarsi a questo atteggiamento favorisce una più sottile esplorazione e consapevolezza delle emozioni, processi cruciali nella regolazione emotiva. Per queste ragioni l’addestramento a questo tratto Mindfulness può dare un formidabile contributo al miglioramento della regolazione delle emozioni.
- Non-reattività all’esperienza interna (permettere ai pensieri e alle emozioni di manifestarsi e di passare via senza venir catturati, senza reagire, lasciandoli andare). Allenarsi alla non reattività verso pensiero e vissuto personale è chiaramente funzionale allo sviluppo di una migliore capacità di dominare gli impulsi emotivi e non reagire in modo riflesso ma riflessivo. Allo stesso modo la non reattività all’esperienza interna può contribuire a disinnescare le emozioni negative e penose associate a certi pensieri, ricordi o al rimuginio: tutti fattori che amplificano a dismisura lo stress percepito, il disagio e quindi favoriscono anche il discontrollo comportamentale e alla lunga anche l’insorgenza di malattie somatiche o psicologiche.
Quali pratiche ed esercizi consentono il miglioramento dell’autoregolazione?
La pratica Mindfulness allena anche una componente critica dell’autoregolazione che è l’attenzione. Essere attenti a ciò che succede momento per momento è la condizione necessaria per regolare il comportamento, in particolare non essere agiti da stimoli che innescano comportamenti riflessi o automatismi. Purtroppo gran parte dei nostri comportamenti sono avviati da stimoli e segnali interni o esterni senza l’intervento della consapevolezza, spesso in maniera inappropriata, perché non siamo attenti. Si pensi ad esempio al modo in cui molti tabagisti fumano in modo automatico, sbadatamente, perché stimolati da un odore, dalla fine di un pasto o perché iniziano un lavoro che richiede concentrazione. Si pensi anche a come spesso consumiamo cibo o interagiamo con lo smartphone in modo sregolato perché non facciamo attenzione a come reagiamo alle cose che innescano quei comportamenti, nel caso del cibo ad esempio la noia o l’ansia e per lo smartphone l’arrivo di una notifica.
Oltre alla Mindfulness molti altri tipi di esercizi cognitivi e comportamentali possono migliorare l’autoregolazione. Abbiamo visto l’importanza del linguaggio nella costruzione dello spazio emotivo, il modo in cui i codici linguistici contribuiscono a staccare dal continuum confuso del vissuto, creandole, le singole, concrete, occorrenze dei diversi tipi di emozione. Per questo la regolazione delle emozioni e in generale l’autoregolazione possono essere migliorate con esercizi che sviluppano il lessico emotivo e aumentano la risoluzione e la granularità delle etichette linguistiche che contribuiscono alla consapevolezza delle emozioni, alla loro comprensione soggettiva e sociale. Più esteso, fine e articolato è il lessico emotivo, più chiara e distinta risulta la rappresentazione, la consapevolezza e la comprensione delle emozioni e di conseguenza più efficiente sarà la loro regolazione.
Questo per quanto riguarda il versante cognitivo. Sulla dimensione somatica invece il potenziamento dell’autoregolazione si può ottenere anche attraverso l’esercizio fisico. La pratica sportiva attiva una cascata di eventi neuroplastici estremamente importanti per il miglioramento delle funzioni in strutture del cervello al centro dei processi di autocontrollo, come le aree della corteccia frontale. Soprattutto in queste aree cerebrali, infatti, l’esercizio fisico innesca la produzione di fattori di crescita nervosa che favoriscono la proliferazione di fibre neuronali e sinapsi. Ciò aumenta l’efficienza e la resistenza di queste strutture e delle loro relative funzioni, in particolare proprio l’autocontrollo.
Ci sono poi molti altri esercizi cognitivi e comportamentali per il potenziamento dell’autocontrollo e di efficacia comprovata scientificamente. Non c’è qui lo spazio per discuterli e anche solo di elencarli. Per questo rimando alla scheda del mio libro sul mio blog scientifico: http://www.psicoattivo.com/regolare-le-emozioni-teorie-e-tecniche-per-lo-sviluppo-e-il-potenziamento-dellautocontrollo/
Stefano Canali dirige il settore Neuroetica della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati – SISSA – Trieste. Responsabile di numerosi progetti nazionali e internazionali per il trasferimento in ambito educativo, sociosanitario della ricerca nelle scienze cognitive. Coordinatore del comitato scientifico della Società Italiana Tossicodipendenze. Sul tema delle emozioni ha pubblicato tra gli altri Emozioni e malattia con Luca Pani. Cura il blog di informazione scientifica www.psicoattivo.com