
Non bastassero questi motivi di ordine storico la Regola Pastorale resta un libro utile in somma misura anche per i nostri giorni. Anche in questo caso ci limitiamo a indicare solo alcuni motivi, senza un ordine gerarchico. In primo luogo la Regola Pastorale è un testo sull’esercizio della parola in uno spazio comune […]. Praticare la disciplina indicata in questo volume forma al riconoscimento dell’intrico di relazioni che inevitabilmente e provvidenzialmente costituiscono la vita e, in particolare, la parte che in essa occupano le nostre parole, tessuto connettivo tra interiorità e prossimità, tra esortazione e consolazione, tra memoria e promessa, tra meraviglia e timore. In secondo luogo, la Regola Pastorale è uno strano «manuale d’uso»: privilegia infatti l’arte alla tecnica, l’andamento caracollante e lento della sapienza alla rigidità fulminea della norma applicativa; da questo punto di vista, è un modo di guardare alle cose prezioso per la nostra epoca, attratta invece dalla rapidità e dalla misurabilità dell’esecuzione a scapito del tempo necessario ad acquisire uno stile, con risultati nel migliore dei casi effimeri. […]
In terzo luogo la Regola Pastorale nasce da una questione pratica, la predicazione, ma offre molti materiali alla riflessione teorica; si presenta esplicitamente come una «regola», ma è solo la sua messa in atto che la realizza, a partire dai tanti esempi e casi particolari citati al suo interno. Assomiglia molto, e non è ovviamente un caso, a un’altra Regola, attribuita a quel san Benedetto, di cui quasi tutto ciò che sappiamo è giunto a noi proprio grazie a Gregorio Magno. L’una e l’altra Regola, in particolare, addestrano a rimettere continuamente in un circolo virtuoso esattezze concettuali e saperi pratici, due ambiti che nella vita credente degli ultimi decenni hanno spesso conosciuto vite parallele, con esiti rovinosi. In quarto luogo la Regola Pastorale è stata scritta mentre un intero mondo stava mutando, con tutto quello che i cambiamenti d’epoca comportano in termini di spaesamento e sorpresa, di fatica e di opportunità, di dovere e di dono. Noi oggi siamo in un cambiamento d’epoca della stessa entità del tempo di Gregorio Magno. […]
L’opportunità e la necessità dell’opera hanno una loro esplicitazione nella lettera di dedica che introduce il testo dell’opera vera e propria. Questa Lettera dedicatoria è indirizzata a «Giovanni, reverendissimo e santo confratello nell’episcopato». Gli storici discutono se si tratti del patriarca di Costantinopoli o del vescovo di Ravenna, ma è per causa sua e principalmente per lui che la Regola Pastorale viene redatta. […] La Regola Pastorale è quindi redatta in primo luogo per difendere la buona reputazione del suo autore. Secondo alcune fonti, infatti, Gregorio avrebbe accettato l’episcopato solo dopo varie ritrosie: per difendersi dalle dicerie che ne scaturirono, redasse la Regola Pastorale. […]
La Regola Pastorale è composta di quattro parti di lunghezza diseguale, precedute, come abbiamo già evidenziato, da una Lettera dedicatoria. L’indice generale recita:
I. A quali condizioni si possono assumere i più alti impegni pastorali (11 capitoli)
II. La vita del pastore (11 capitoli)
III. Come il pastore di vita retta deve istruire ed esortare i sudditi (40 capitoli)
IV. Il predicatore, dopo aver atteso tutto nel modo dovuto, rientri in se stesso perché né la vita né il ministero lo inducano all’orgoglio (1 capitolo)
A colpire immediatamente è la sproporzione tra le parti. La terza occupa da sola quasi i due terzi dell’opera, mentre la quarta è tanto breve quanto densa, quasi un sunto dell’intero percorso, presentato con tecnica retorica raffinata, tanto da suggerire che l’ultimo paragrafo sia in realtà il finale della stessa Lettera dedicatoria, all’interno della quale sono incluse le quattro parti di cui sopra. La prima parte è un sommario dei pericoli in cui può incorrere chi assumesse il culmen regiminis, ossia il vertice del potere: si elencano inconsapevolezze da smascherare e fragilità da curare preventivamente, accanto a tentazioni, debolezze e malattie spirituali in cui può incorrere il malcapitato, anche al di là della sua retta fede e buona intenzione. La seconda parte, di lunghezza speculare alla prima, quasi fosse la seconda tavola di un dittico, presenta i doveri del pastore in cui, tra i molti termini che ritornano con frequenza, spicca quella discretio su cui torneremo spesso nella nostra trattazione: alla lettera «discrezione», ma non tanto e non solo nel senso di delicatezza umana ed evangelica prudenza, quanto e soprattutto nel senso della misura e del giudizio sapiente. La terza parte, la più lunga, si occupa dell’attività principale di colui che riceve il compito della cura d’anime: la predicazione, da non identificare troppo precipitosamente con l’omelia, ma da intendere in senso molto ampio, come vedremo. Lo spazio che occupa spiega comunque il motivo per cui la Regola Pastorale è stata considerata anche semplicemente un manuale per predicatori, ma la nostra ipotesi è che non vada mai separata dalle parti che la precedono. La quarta, consistente in un solo capitolo, può essere considerata una summa dell’opera stessa o, forse più felicemente detto nel linguaggio contemporaneo, lo snodo indispensabile perché la Regola Pastorale non rischi l’autoreferenzialità e resti un’opera aperta.»
tratto da Regola Pastorale di Gregorio Magno, di Marco Ronconi