“Reading Shakespeare and the Classics” a cura di Chiara Lombardi, Luigi Marfè e Cristiano Ragni

Prof.ssa Chiara Lombardi, Lei ha curato con Luigi Marfè e Cristiano Ragni l’edizione del libro Reading Shakespeare and the Classics, pubblicato dalle Edizioni dell’Orso: che relazione esiste tra William Shakespeare e i classici greci e latini?
Reading Shakespeare and the Classics, Chiara Lombardi, Luigi Marfè, Cristiano RagniIn linea generale, la relazione tra Shakespeare e i classici greci e latini è intensa, da leggersi nel segno dell’originalità e della reinvenzione più che dell’erudizione o della filiazione diretta. Shakespeare compone e rappresenta i suoi drammi all’interno di un campo di forze intertestuale molto dinamico che doveva risuonare efficacemente nella mente e dell’immaginario degli spettatori, a tutti i livelli. John Dryden parla del genio di migliorare un’invenzione. Non necessariamente Shakespeare migliora i classici, ma senz’altro li adatta al suo tempo, alla condizione umana e storica della prima età moderna, precorrendo in modo illuminante i nostri tempi. Cerca archetipi, risposte, modelli rappresentativi e interpretativi per il teatro, ma anche per i Sonetti, che hanno un’evidente matrice platonica legata al Simposio (tradotto in latino da Marsilio Ficino), e per i poemi, questi ultimi costruiti esplicitamente su soggetti classici (Venere e Adone, Lucrezia violata). Più nello specifico, bisogna però fare qualche distinzione tra testi greci, ancora meno diffusi e tradotti in Inghilterra (ma più di quanto non si pensi, e nelle forme più svariate, come spieghiamo nell’Introduzione), e testi latini, di più ampia circolazione e fruizione. Le Metamorfosi di Ovidio, ad esempio, erano state tradotte da Arthur Golding tra il 1565 e il 1567, e tanto erano piaciute che nel 1612 si contavano già cinque ristampe; dell’Eneide esce la traduzione completa nel 1573. Buona parte delle tragedie di Seneca vede la luce in inglese tra il 1559 e il 1581. Oltre a essere studiati a scuola, Plauto e Terenzio erano oggetto di rappresentazioni itineranti in Europa. I cosiddetti romanzi greci circolavano già, tradotti, in Inghilterra, e così le Vite di Plutarco, opera di Thomas North, ampiamente presenti alla costruzione dei personaggi storici e tragici di Shakespeare. Iliade e Odissea erano in cantiere, via via tradotte da George Chapman tra la fine del Cinquecento e il primo quindicennio del Seicento. Le tragedie greche arrivavano spesso riunite e antologizzate. Un tramite importante, a mio avviso, è la Germania, e il centro di Wittenberg in particolare, dove le tragedie venivano lette pubblicamente, commentate e filtrate dal pensiero protestante. Di qui l’importanza di personaggi come Edipo, ma anche di Elettra e Antigone, nella genesi di Amleto o Lear. Ci è piaciuto pensare che Shakespeare si volgesse ai classici come gli antichi si mettevano in viaggio per consultare gli oracoli, aspettandosi una risposta enigmatica, ma intuitiva nel profondo e diffusamente rivelatrice. Come Faust, nell’opera di Goethe, a un certo punto discende simbolicamente alle madri per trovare gli archetipi, così Shakespeare scende ai padri, agli antichi, per cercare modelli interpretativi per molte domande e situazioni (soprattutto le più traumatiche) del suo tempo, per dare sostanza e forma al tragico.

In che modo i classici hanno influenzato lo stile e l’immaginario shakespeariano?
Come fa notare Charles Martindale in Shakespeare and the Uses of Antiquity, un terzo dei drammi shakespeariani sono ambientati nel mondo antico greco e romano. Eppure, Shakespeare non era uno scholar come Christopher Marlowe, non vantava una preparazione specialistica. Ben Jonson, drammaturgo contemporaneo all’autore, sosteneva che conoscesse “poco latino e greco meno ancora” (“small Latine and lesse Greeke”). Aveva però frequentato la grammar school dove sui classici greci e latini ci si esercitava molto. Ma sono soprattutto la curiosità e la passione per la letteratura, per le storie antiche specialmente, che portano Shakespeare a cercare ispirazione, come già dicevo, anche al di là del Rinascimento e del Medioevo inglese. Pensiamo all’influenza della novella italiana su drammi come Romeo e Giulietta, Il Mercante di Venezia e Otello. I testi antichi, in particolare, innervano tutta l’opera shakespeariana: alimentano gli intrecci, costruiscono i personaggi su matrici forti, persistenti e perciò evocative, presiedono alla trasformazione dei generi in forme più complesse e articolate, moderne e autoriflessive. Nondimeno, lo stile e l’immaginario in Shakespeare sono ricchissimi di spunti classici, prevalentemente ovidiani e senecani. Se però intendiamo propriamente lo stile, secondo Leo Spitzer, come uno scarto rispetto alla norma, e – possiamo aggiungere – rispetto alla tradizione, allora dobbiamo considerare l’ampio margine di originalità e di innovazione che sono propri delle forme e dei linguaggi di Shakespeare. E parlo di linguaggi in senso plurale perché, a differenza che nei generi letterari antichi abbastanza rigidamente definiti, i testi shakespeariani sono più inclini a mescolare lo stile alto e basso, la cultura popolare e quella erudita o cortigiana. Così si costruisce la parola dei fool e dei clown, entrambi presenti anche nelle tragedie, gli uni più rivolti a scardinare le certezze e i luoghi comuni del pensiero, gli altri a intaccare i significanti con pun o giochi di parole per rimuovere i sedimenti linguistici più inerti e scontati, i facili automatismi.

Per quanto riguarda l’immaginario in senso più ampio, il ricorso all’antico serviva anche alla simulazione della Storia e del potere in un orizzonte non contemporaneo al tempo di Shakespeare, la cui rappresentazione poteva essere pericolosa e addirittura vietata, perché i sovrani erano i primi fruitori del teatro, in posizione privilegiata, centrale, anche nello spazio fisico del teatro. Pressoché tutte le tragedie e i drammi storici sono ambientati nel passato. Antonio e Cleopatra, Giulio Cesare eTroilo e Cressida si collocano in momenti cruciali della Storia romana e greca, archetipico nell’ultimo caso, ma presentano evidentissimi legami simbolici con il mondo inglese contemporaneo a Shakespeare. La commedia Sogno di una notte di mezza estate è ambientata ad Atene, ma è in realtà collocata fuori dal tempo, perché il tempo umano, come il desiderio, è messo alla prova nel bosco, dove le forme classiche del mito si fondono con quelle nordiche: ci sono amazzoni, asini, fate e folletti. La metamorfosi diventa magia. La storia ovidiana di Piramo e Tisbe si presta qui al teatro, alla comicità e alla parodia, mentre in Romeo e Giulietta costituisce il sottotesto tragico. Le potenzialità rappresentative di queste storie le rende perciò universali, interpreti di messaggi validi anche per il nostro presente. È per questo che i saggi qui raccolti hanno seguito alcune tendenze interpretative contemporanee, come il neostoricismo e gli studi culturali, per analizzare snodi critici importanti, e da certi punti di vista inediti, pur basandosi sulla filologia e sull’analisi ravvicinata del testo o close reading. Il travestimento e la fluidità dei generi sessuali, ad esempio, hanno costituito un punto di vista privilegiato nel fare incontrare le fonti classiche con le strategie della performance shakespeariana e moderna.

Quali echi classici è possibile rinvenire nei personaggi delle opere shakespeariane?
Come le ambientazioni, anche i personaggi si collocano spesso in un mondo lontano, extralocalizzato, antico, e su di esso si formano. Le loro matrici risultano così riconoscibili e nuove al tempo stesso. Harold Bloom ha scritto un saggio tradotto in italiano con il titolo Shakespeare. L’invenzione dell’uomo, in cui ha dimostrato che nell’opera del drammaturgo ciascun personaggio esprime la propria individualità svincolandosi sia da ogni tipizzazione letteraria astratta sia dal pensiero dell’autore, e trovando così una più moderna autonomia. Sono “voci diverse, ma coerenti”. Le risonanze classiche che molti personaggi, in questo sviluppo verso il moderno, portano con sé non pesano ma, anzi, contribuiscono allo spessore, talvolta felicemente conflittuale, di cui sono interpreti. Tutti gli ‘eroi’ del Troilo e Cressida, ad esempio, portano con sé i valori dell’epica classica per contestarli o rovesciarli: ne fanno parodia o tragedia. Aiace, come si vuole dimostrare in uno di questi saggi, si presta a una diversa decifrazione dei tratti di Antonio o di Coriolano nei drammi ad essi dedicati, in relazione a una nuova definizione del concetto di virtus. Così abbiamo individuato una sorta di Antigone rovesciata dietro la figura femminile di Joan of Arc nell’Enrico V, utile a interpretare più ampiamente i conflitti tra maschile e femminile nel contesto sociale rappresentato. E vediamo i personaggi di Riccardo II e Riccardo III parlare alla Storia contemporanea (a Shakespeare e a noi) attraverso una ben leggibile retorica del corpo che rimanda ancora una volta alle Metamorfosi di Ovidio e che trova speciale valorizzazione sulla scena. Insomma, alla questione di Jonathan Bate, Come i classici hanno fatto Shakespeare, intorno a cui è stato impostato il seminario da cui hanno preso vita questi lavori, abbiamo cercato di rispondere da nuove prospettive di lettura dei testi, che speriamo possano essere utili anche alle odierne messe in scena. Senz’altro la premessa teorica fondamentale di questi saggi è stata ancora la posizione di Charles Martindale, principale esponente dei Classical reception studies, secondo cui il significato di un testo si manifesta pienamente nel momento della sua ricezione e quindi all’atto della lettura e della ricreazione in altre forme, un significato che poi necessariamente si riflette tra passato e presente.

In che modo la ricezione dei classici da parte del drammaturgo inglese ha contribuito all’immortalità delle sue opere?
Per rispondere a questa domanda verrebbe anche da chiedersi se l’opera di Shakespeare sarebbe diventata immortale senza la ricezione dei classici. Forse no, o forse non è lecito chiederselo. Certo è che, al di là del talento e dell’originalità dell’autore, il rilievo culturale è un aspetto che caratterizza tutte le opere antiche e moderne che definiamo classici. Pensiamo alla Divina Commedia, dove convivono in nuovissime forme passato e presente, occidente e oriente.

Quando un’opera, come quella di Dante e di Shakespeare, si colloca nel tempo grande della letteratura e dell’arte, per usare un’espressione del critico russo Michail Bachtin, non vive soltanto nel suo periodo storico, ma dialoga con il passato e con il futuro cambiando potenzialmente il nostro sguardo su entrambi. Per questo la tutela della nostra eredità culturale deve passare attraverso la filologia e la critica letteraria, nei cui ambiti è necessario un continuo aggiornamento.

Chiara Lombardi è Professoressa associata di Critica letteraria e letterature comparate all’Università degli studi di Torino e giornalista. Ha tradotto Shakespeare (Il mercante di Venezia) e Wilde (Il fantasma di Canterville) per le edizioni di Einaudi, Troilo e Cressida e Tutto è bene quel che finisce bene per il volume William Shakespeare. Tutte le opere (ed. Franco Marenco, Bompiani, 2019). Tra le sue pubblicazioni: La passione e l’assenza. Forme del mito in poesia da Shakespeare a Rilke (2018); Davanti all’enigma. Edipo e Amleto (2018); Mondi nuovi a teatro. L’immagine del mondo sulle scene europee del Cinquecento e Seicento: spazi, economia, società (2011), Troilo e Criseida nella letteratura occidentale (2005); “La sacra isola sotto il sole”. Il mito di Atlantide in Platone, Casti, Foscolo, Leopardi (2006); Tra allegoria e intertestualità: l’eroe stupido di J. M. Coetzee (2006).

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