
di Costantino D’Orazio
Skira
«Raffaello è l’unico artista del suo tempo a fare un uso chiaramente politico della pittura. Ogni dipinto, olio o affresco che sia, risponde ad una strategia precisa che mira ad aumentare il suo prestigio e la sua influenza nel mondo della cultura, nel mercato dell’arte e nelle questioni di potere, in qualsiasi città si trovi a lavorare. In questo preciso disegno, i ritratti assumono un ruolo fondamentale. Non sono semplicemente prove della sua abilità nel rappresentare i lineamenti e i caratteri dei personaggi: diventano da subito strumenti di relazione. Sanzio riesce a cogliere le debolezze dei suoi modelli, scava nella loro storia personale e produce per ciascuno un’effigie che non è mai celebrativa, bensì mostra le loro fragilità. I committenti sembrano quasi spogliarsi della loro uniforme ufficiale e mettersi a disposizione del suo sguardo sottile e indagatore.
Baldassar Castiglione ci osserva mostrando un pudore che illustra bene il senso della sprezzatura, quell’atteggiamento discreto e distaccato nei confronti della realtà, auspicabile in ogni cortigiano. Grazie a Raffaello, Fedra Inghirami può spacciare il proprio strabismo per uno sguardo intellettuale, sempre in preda all’ispirazione. La malinconia di Giulio II serve a redimere la sua reputazione, mortificata dalle sconfitte militari appena subite.
Dietro ogni ritratto del Sanzio c’è una storia che non riguarda soltanto la vita e le esperienze dei personaggi, ma le loro aspirazioni. Sembra che ciascuno di loro abbia trovato ascolto presso Raffaello, che ha fatto tesoro delle loro confessioni nell’elaborazione dei dipinti.
In assenza di documenti che possano dare informazioni certe sui rapporti tra l’artista e la maggior parte dei suoi clienti, queste immagini posso diventare uno strumento utile per comprendere la personalità del Sanzio e analizzare il suo metodo di lavoro. A differenza di Michelangelo, di cui restano centinaia di lettere, o Leonardo, che ha appuntato testi sia teorici sia privati su migliaia di fogli, di Raffaello sono rimasti pochissimi scritti di suo pugno. A noi rimane soltanto l’analisi dei dipinti per carpire qualche informazione in più sulla sua vita e sui rapporti che hanno determinato la sua carriera. In mancanza delle parole dell’artista, dobbiamo far parlare i suoi quadri.
Questa è la sfida che ho raccolto in questo libro, a metà tra il saggio e il memoir. I ritratti dipinti dal Sanzio che la tradizione ci ha restituito, diventano finestre che si aprono sulle vicende dei soggetti rappresentati, sulle vite rocambolesche di duchi e contesse, cardinali e papi, umanisti e condottieri.
L’opera di Raffaello costituisce un eccezionale punto di vista per ricostruire i fatti di un’epoca formidabile, a cavallo tra il XV e il XVI secolo, dove la cultura e la politica sono animate da accese controversie. Sanzio debutta sulla scena poco dopo la scomparsa di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nel 1492, e si muove con grande disinvoltura tra le corti del centro Italia, legate da rapporti intensi, continuamente sull’orlo della crisi. Sono guidate da personaggi come Guidobaldo di Montefeltro, uomo d’arme colto quanto sfortunato, Cesare Borgia, imprevedibile e ambizioso rampollo pontificio, Eleonora Gonzaga, saggia e fedele duchessa, che diventa uno dei personaggi fondamentali del Cortegiano di Baldassar Castiglione. Sovrintendono a queste peripezie le scelte politiche e culturali di papa Giulio II e papa Leone X, assistiti da artisti e cardinali tuttofare, che si immergono negli studi dei classici, ma amano anche sporcarsi le mani entrando in contatto diretto con gli artisti contemporanei. Raffaello ha osservato da bambino come suo padre, l’illustre Giovanni Santi, si muoveva tra le stanze del Palazzo Ducale di Urbino e affrontava i cambi d’umore repentini di Federico di Montefeltro. Ha capito da Castiglione e Bembo che l’attitudine migliore per acquisire il consenso e la fiducia dei clienti sia la dissimulazione della propria ambizione e la simulazione di un’umiltà mai affettata e servile. Ogni ritratto è un passo avanti nella sua favolosa carriera, condotta con un talento che non si limita a una pittura senza pari, ma può contare su una sensibilità eccezionale.
Di volto in volto, brucia le tappe di un percorso che a soli venticinque anni lo conduce a occupare i cantieri più prestigiosi della corte vaticana, sbaragliando la concorrenza di giganti come Perugino e Signorelli. Tesse una trama indistruttibile, che non teme nemmeno il livore di Michelangelo o l’invidia di Sebastiano del Piombo. Il consenso che si coagula intorno a lui, il fascino della sua pittura che i collaboratori sapranno perpetuare anche dopo la sua morte, uniti all’intimità che riusciva a raggiungere con i suoi committenti, hanno prodotto un corpus di opere così solido ed efficace, da aver influenzato il progresso dell’arte per almeno tre secoli.
Bisognerebbe domandarsi come mai un gruppo di pittori a metà Ottocento abbia deciso di fondare l’associazione dei Preraffaelliti: sarebbe interessante capire perché non abbiano pensato di chiamarsi Premichelangioleschi, Precaravaggeschi o Preleonardiani. È una prova del giro di boa che l’arte ha compiuto grazie a Raffaello, tanto che dopo trecento anni si è sentita l’esigenza di tornare ai primordi della pittura, individuati prima del suo intervento, di cui ancora oggi non possiamo fare a meno.»