“Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto” di Leonardo G. Luccone

Dott. Leonardo G. Luccone, Lei è autore del libro Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto edito da Laterza: qual è il valore della punteggiatura?
Questione di virgole. Punteggiare rapido e accorto, Leonardo G. LucconeLa punteggiatura ha un ruolo semplicissimo: dirige il flusso di parole, frasi, capoversi, paragrafi. Dà i tempi e gli spazi. È un articolato sistema di operatori prima di tutto logici. Alla punteggiatura, poi, possono essere attribuite funzioni di altro tipo. A me interessa particolarmente la sfera espressiva.
Per troppo tempo si è ridotta la punteggiatura all’equivalente delle pause nelle partiture musicali (virgola pausa breve, punto fermo pausa lunga, punto e virgola pausa intermedia e corbellerie simili). Il paragone è affascinante ma è errato e soprattutto fuorviante.

La virgola: perché è importante?
Perché è il più semplice dei segni non «fermi». È un segno molto duttile e potente, ma queste due prerogative stanno determinando un uso non sempre condivisibile. Ci sono due fenomeni preoccupanti: da una parte il diffondersi, specie sui giornali, di una scrittura in cui il punto fermo è quasi il solo segno presente. Di solito la scrittura si manifesta con frasi brevi o molto brevi, piuttosto icastiche e assertive. L’ho chiamata «scrittura a mitraglietta», proprio per questa sua natura spezzata e battente. Si sta diffondendo anche nella narrativa: assistiamo a un prevalere di scritture ultraparatattiche ed è normale con sintassi così impoverite che il primo a rimetterci sia lo stile. Non nego che queste scritture possano esercitare un certo fascino (penso a quanto continuano a entusiasmarmi Dürrenmatt o certi passaggi di Sarah Kane) ma sono piuttosto facili da riprodurre in modo grossolano e tanti ormai scrivono così. Lo vedo soprattutto nei manoscritti che riceviamo ogni giorno da Oblique. Ormai le scritture sono sovrapponibili.

Passiamo agli incisi: si possono creare incisi con virgole, con trattini e con parentesi: perché usare un segno o un altro?
L’inciso è un intarsio all’interno della frase: la creazione di una pista parallela in cui viene detto qualcosa per poi ritornare sul binario principale. Rappresentano una tecnica molto interessante per specificare una questione o per entrare più nel dettaglio o per creare un diversivo nel flusso di riferimento.

Tradizionalmente le nostre grammatiche non dedicano molto spazio a come servirsi di virgole, trattini e parentesi. Il trattino è arrivato da noi relativamente tardi e non ha avuto grande successo. Grandi prosatori come Gadda, Piovene, Berto, che amavano infarcire i lori scritti di incisi, non lo usano; preferiscono annidare incisi di virgole dentro incisi di virgole, a volte a scapito della comprensibilità immediata. Faccio questo ragionamento per dire che uno degli aspetti importanti dell’inciso è che sia chiaro cosa è dentro e cosa è fuori. In questo senso una gerarchia nell’uso dei segni può essere utile. Faccio un’ipotesi: potremmo usare le virgole per gli incisi di primo livello, i trattini per gli incisi negli incisi e le parentesi per il terzo livello. Questo è un criterio chiaro e logico – direi matematicamente determinato. Naturalmente, i grandi scrittori – grazie alle innumerevoli sfumature che la scrittura ci offre – hanno elaborato usi speciali e caratteristici degli incisi con trattini e parentesi. Molti scrittori anglosassoni, per esempio, stabiliscono di dare all’inciso con trattini un ruolo emotivo. Li usano quando l’inciso, per così dire, ha un ruolo più intimo.

Guardate questo esempio tratto da John Cheever:

Non appena salirono sul pullman cominciarono a schiamazzare – un po’ come faremo tutti quando diventeremo vecchi e a fare gli arzigogolati preparativi tipici delle persone anziane, e mentre la guida decantava le bellezze dell’antica Napoli il pullman partì.
Cheever, «The Bella Lingua», in Il rumore della pioggia a Roma, Fandango, trad. it. di L.G. Luccone

 
Le parentesi, invece, contengono tutto ciò che non è immediatamente indispensabile; segnano una gerarchia molto precisa. È quasi un invito a proseguire oltre quando il contenuto non è di interesse immediato.

Voglio chiudere con un esempio di uso interessante dei tre tipi di inciso a stretto giro.

Le prime due macchine della polizia arrivarono mentre la figura – a quel punto piccolissima, anche vista da un telescopio di ultima generazione, che scompariva quasi completamente dalla vista quando superava i parapetti – pendeva attaccata alla ventosa centrale sulla fronte dalla finestra del quindicesimo piano (o forse il sedicesimo, a seconda che l’edificio avesse il tredicesimo piano; certi non ce l’hanno) e dava l’impressione di estrarre altri pezzi dallo zaino di nylon, incastrandoli l’uno nell’altro in lunghezza servendosi di tutt’e due le mani e poi attaccandoci sopra vari altri piccoli oggetti.
Foster Wallace, «Mister Squishy», in Oblio, Einaudi, trad. it. di G. Granato

 
Il punto e virgola è un po’ la cenerentola dei segni di punteggiatura: perché se ne è perso l’uso e cosa si può dire invece in sua difesa?
Che è un segno eccezionale e che abbiamo bisogno di lui! Sì, il punto e virgola è stato cannibalizzato da quei pirañacci del punto fermo e del punto e virgola. Ho conosciuto persone che operano nel mondo della cultura che mi hanno confessato di non averlo mai usato. Oppure persone che dicono di odiarlo; oppure persone che affermano: «In saggistica sì, ma in narrativa… giammai». Ma siamo pazzi?! Vogliamo buttare all’aria cinque secoli di storia della lingua e di scrittura eccezionale?

Pensate al lavoro di Aldo Manuzio e Pietro Bembo, agli scritti di Manzoni, Tozzi, Gadda, Berto, Parise, Ottieri, Savinio, Calvino, Pavese, Tobino, Ginzburg, Ortese, Banti, Landolfi, Morselli, Morante, Bufalino, …, ecco, tutti questi hanno usato con garbo e stile il più vituperato dei segni. Impariamo da loro; ma non bisogna tornare tanto lontano.

Dobbiamo ricominciare a insegnare la scrittura (e quindi la punteggiatura) a scuola; dobbiamo introdurre un aspetto basilare nell’insegnamento di qualsiasi disciplina: la creatività, sia degli insegnanti sia degli allievi (che devono essere continuamente stimolati a «buttarsi», a tentare nuove strade senza paura di sbagliare).
Voglio concludere con un brano esemplare tratto da Marcovaldo di Calvino. Qui tutti i segni (il punto e virgola in particolare) vengono usati in modo equilibrato e potente.

Casa Marcovaldo sembrava il magazzino d’una drogheria, piena com’era di prodotti Candofior, Limpialin, Lavolux; ma tutta questa quantità di merce non c’era da tirar fuori neanche un soldo; era roba che si regala, come l’acqua delle fontane.
Naturalmente, tra gli incaricati delle ditte non tardò a spargersi la voce che certi ragazzi stavano facendo il loro stesso giro porta per porta, vendendo gli stessi prodotti che loro pregavano d’accettare gratis. Nel mondo del commercio sono frequenti le ondate di pessimismo: si cominciò a dire che mentre a loro che li regalavano la gente rispondeva che non sapeva cosa farsene di detersivi, da quelli che li facevano pagare, invece, li compravano. Si riunirono gli uffici-studi delle varie ditte, furono consultati specialisti dì «ricerca di mercato»: la conclusione cui si giunse fu che una concorrenza così sleale poteva esser fatta solo da ricettatori di merce rubata. La polizia, dietro regolare denuncia contro ignoti, cominciò a battere il quartiere in cerca dei ladri e del nascondiglio della refurtiva.
Da un momento all’altro il detersivo diventò pericoloso come dinamite. Marcovaldo si spaventò: – Non voglio più neanche un grammo di queste polverine in casa mia! –. Ma non si sapeva dove metterlo, in casa non lo voleva nessuno. Fu deciso che i bambini andassero a buttarlo tutto in fiume.
Era prima dell’alba; sul ponte arrivò un carretto tirato da Pietruccio e spinto dai suoi fratelli, carico di scatole di Saponalba e Lavolux, poi un altro carretto uguale tirato da Uguccione, il figlio della portinaia di fronte, e altri, altri ancora. In mezzo al ponte si fermarono, lasciarono passare un ciclista che si voltava a curiosare, poi, – Via! – Michelino cominciò il lancio delle scatole nel fiume.

– Stupido! Non vedi che galleggiano? – gridò Filippetto. – Bisogna rovesciare nel fiume la polvere, non la scatola!

E dalle scatole aperte una per una, calava soffice una nuvola bianca, si posava sulla corrente che pareva l’assorbisse, ricompariva in un pullulare di minute bollicine, poi sembrava andare a fondo. – Così va bene! – e i ragazzi continuavano a scaricarne miriagrammi e miriagrammi.

– Attenzione, laggiù! – gridò Michelino, e indicò a valle.

Dopo il ponte c’era la rapida. Dove la corrente imboccava la discesa, le bollicine non si vedevano più; tornavano a saltar fuori più sotto, ma adesso erano diventate grosse bolle che si gonfiavano spingendosi l’un l’altra dal basso, un’onda di saponata che s’alzava, s’ingigantiva, già era alta quanto la rapida, una schiuma biancheggiante come la ciotola d’un barbiere rimestata dal pennello. Pareva che tutte quelle polverine di marche concorrenti si fossero messe di puntiglio a dar prova della loro effervescenza: il fiume traboccava di saponata nelle banchine, e i pescatori, che alle prime luci erano già con gli stivali a mollo, tiravano su le lenze e scappavano.

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