
Alessia Gazzola, la «Patricia Cornwell italiana», a differenza però della collega statunitense creatrice del personaggio di Kay Scarpetta, un medico legale lo è davvero. Originaria di Messina, la scrittrice nega però che Alice sia il suo alter ego. In Costanza è difficile invece non ravvisare molte analogie: come l’autrice, anche lei emigra da Messina a Verona, nonostante la laurea in medicina, per un assegno di ricerca in Paleopatologia mentre serba la segreta speranza di andare a lavorare a Londra. E per stessa ammissione di Alessia, «il 90 per cento delle sparate di Flora» le ha rubate alla figlia Bianca.
Accompagnata dalla figlia Flora, frutto di una fugace relazione con un ragazzo, Marco, conosciuto in aeroporto a Roma alla vigilia di un viaggio a Malta, Costanza si trasferisce quindi a vivere nella città scaligera con la sorella Antonietta. L’impatto con il clima del «Grande Nord» non è dei migliori, l’integrazione nella nuova città non facile e il nuovo lavoro non l’entusiasma affatto.
Il cruccio di non aver potuto dare un papà a Flora rattrista Costanza ma si interroga se fare la mamma single sia stata in fondo la scelta migliore: «Non so se rintracciare Marco sia giusto. Sono anni che non faccio che pensarci, ma, purtroppo, non lo conosco a sufficienza per stabilire se sarebbe un bene per Flora. […] Non ho idea di come la prenderebbe lui, non so nemmeno se sarebbe d’accordo a riallacciare i rapporti. […] So soltanto che è stata la sbandata più forte della mia vita. Se avessimo avuto anche solo un po’ di tempo in più, sarebbero potute accadere due cose: o mi sarei innamorata senza speranza e le conseguenze sarebbero state ancora più devastanti di quelle di una generosa dose di sesso occasionale seguita da gravidanza indesiderata, oppure mi sarebbe passata del tutto, perché conoscendolo più a fondo mi si sarebbe rivelato come una persona diversa, assai meno entusiasmante.»
All’Istituto di Paleopatologia fa la conoscenza dei suoi colleghi e del direttore, il professor Edoardo Melchiorre. Si sente fuori posto in quel luogo e per quell’incarico di archeologia dei resti umani rinvenuti nella chiesetta medievale del castello di Montorio. Qui si imbattono nel sepolcro di un giovane cavaliere, morto per una profonda ferita di lancia, il cui scheletro giace accanto a una lunga treccia di capelli rossi. Il cavaliere si scopre essere un nobile, ma il mistero sulla sua sepoltura si infittisce.
Le analisi sulla treccia confermano essere capelli di una donna, una ragazza per la precisione. E così la storia dell’amore sfortunato tra Biancofiore di Hohenstaufen, figlia dell’imperatore Federico II di Svevia e Anaïs de Brienne, e Aldegar von Dannenberg, aristocratico guelfo, fa da contrappunto al racconto di Costanza, con numerosi richiami alla storia medievale, tanto che l’autrice inserisce in chiusura una chiosa «Cosa è vero e cosa non lo è» per giustificare quella che definisce «una timida incursione nel territorio del romanzo storico».
Costanza decide nel frattempo di ingaggiare un detective privato che le rivela finalmente l’identità del padre di Flora: si chiama Marco Erdély de Verre e fa l’architetto a Milano. Il desiderio di rivelargli la verità non impedisce a Costanza di incontrarlo e dopo vari incontri decide di dargli la notizia. Marco non si sottrae ai suoi doveri: «Io non intendo prendere sotto gamba questa cosa. Farò tutto quello che devo. Certo, ho molto da imparare.»
Il papà si affeziona a Flora ma la sua vita ha ormai preso un’altra direzione: sta per sposarsi con Federica, la sua fidanzata storica. E così Costanza archivia ogni sogno di ricongiungersi alla vecchia fiamma.
Lo stile sobrio di Alessia Gazzola ma ricco di rimandi alla medicina affascina e tiene incollati alle pagine. Il gustoso intercalare da mamma – «Montessori, flagellami» – e la sottile ironia che accompagna tutto il testo rendono piacevole la lettura. Il romanzo scorre così velocemente e ci porta sino all’ultima pagina, in attesa di leggerne ancora, di nuove.