“Quasicristalli. L’avventura di una scoperta” di Luca Bindi

Prof. Luca Bindi, Lei è autore del libro Quasicristalli. L’avventura di una scoperta pubblicato da Tab Edizioni: quali caratteristiche rendono straordinari i cristalli aperiodici?
Quasicristalli. L'avventura di una scoperta, Luca BindiSono passati molti anni da quando l’uomo ha iniziato ad interessarsi di materiali geologici, ed i minerali, i costituenti naturali del nostro mondo solido, sono sempre stati descritti come materiali cristallini, ossia dotati di strutture in cui gli atomi si ripetono ad intervalli regolari. Qualche minerale però sfuggiva dalla sua natura cristallina, presentando strutture con atomi disposti senza alcun ordine a lungo raggio, come accade nello stato vetroso, formando i cosiddetti minerali amorfi. Circa una trentina di anni fa Dov Levine e Paul J. Steinhardt ipotizzarono l’esistenza di un terzo ‘tipo’ di materiale, una via di mezzo tra lo stato cristallino e lo stato vetroso, un materiale con caratteristiche impossibili che infatti i due autori chiamarono prima impossible crystals e poi quasicrystals (quasicristalli), abbreviativo per ‘cristallo quasiperiodico’. Lo stesso anno, 1984, Dan Shechtman, Ilan Blech, Denis Gratias e John Cahn, studiando al microscopio elettronico a trasmissione delle leghe di allumino e manganese sovra-raffreddate, trovarono l’evidenza sperimentale che si andava cercando e pubblicarono i loro dati sulla prestigiosa Physical Review Letters. Tale pubblicazione ha rappresentato e rappresenta ancor oggi una vera e propria pietra miliare della cristallografia strutturale. Nonostante Dan Shechtman abbia incontrato molto scetticismo negli anni seguenti la pubblicazione del 1984, nel dicembre 2011 è stato ampiamente ripagato con l’assegnazione del Premio Nobel per la Chimica proprio per la sua scoperta dei quasicristalli. Oggigiorno questi importanti materiali sono accettati dalla comunità scientifica e ne sono stati sintetizzati in laboratorio oltre un centinaio di tipi diversi con metodi altamente sofisticati.

Ma cosa sono i quasicristalli? In questo tipo di materiali lo schema di ripetizione è quasiperiodico. Ciò significa che la disposizione locale degli atomi è fissa e regolare, ma non è periodica in tutto il materiale: ogni cella ha una configurazione differente rispetto a quella delle celle che la circondano. Tutto questo implica che i quasicristalli sono materiali caratterizzati da un ordine aperiodico a lungo raggio (proprio in contrapposizione agli oggetti periodici definiti come oggetti periodici a lungo raggio). Il fatto che essi abbiano un perfetto ordine a lungo raggio implica che se vengono studiati in diffrazione-X (la tecnica usualmente utilizzata nelle scienze mineralogiche e nelle scienze dei materiali per studiare e caratterizzare minerali e composti inorganici) si otterrà un segnale identico a quello ottenibile analizzando il migliore dei cristalli ordinati. Ma la caratteristica di non presentare periodicità di traslazione nelle tre dimensioni fa sì che si possono essere assi di simmetria non cristallografici. Ma quali sono gli assi di simmetria “non cristallografici”? Secondo le leggi della matematica scoperte nel XIX secolo si può avere periodicità solo in presenza di alcune simmetrie di rotazione, in particolare quelle di ordine uno, due, tre, quattro e sei; le simmetrie di rotazione di ordine cinque, sette, otto o di grado più alto sono incompatibili con la traslazione, ovvero rappresentano assi di simmetria “non cristallografica”. In altre parole nei quasicristalli due o più gruppi atomici si ripetono ad intervalli diversi ed il rapporto fra tali periodi di traslazione è irrazionale cioè non esprimibile come frazione; in altre parole, presentano una sorta di dissonanza nello spazio.

Perché i quasicristalli sono così importanti?
Le loro caratteristiche fanno sì che si abbiano, ovviamente, conseguenze sulle proprietà fisiche. Poiché gli elettroni nei quasicristalli non incontrano un potenziale periodico, tali materiali mostrano infatti insolite proprietà fisiche (specialmente resistività e alcune proprietà elastiche), principalmente relazionabili a comportamenti “anomali” dei metalli che li costituiscono. Per esempio, riscaldando un metallo in un composto cristallino si introduce disordine nel reticolo, interrompendo il movimento altrimenti regolare degli elettroni. Al contrario, in un quasicristallo, un aumento di temperatura diminuisce la conducibilità elettrica, aumentando incredibilmente la resistenza elettrica. Altrettanto importante è il fatto che a differenza dei metalli presi singolarmente (molto teneri nei composti cristallini), i quasicristalli sono molto rigidi con un alto grado di “scivolosità” della superficie, motivando la prima applicazione commerciale di questi materiali come alternativa al rivestimento di pentole in teflon.

Qual è la loro origine?
Poiché la formazione dei quasicristalli e delle altre leghe metalliche contenenti alluminio in natura non può essere spiegata da alcun processo geologico convenzionale, determinare come si siano formati è risultato un compito estremamente ambizioso e, al contempo, molto importante. La presenza di particolari minerali ritrovati nel campione del Museo fiorentino in cui è stato trovato il primo quasicristallo naturale ha indicato pressioni di formazioni altissime che possono verificarsi solo in particolari condizioni naturali, come in zone ben al di sotto la superficie terrestre (confine mantello-nucleo), o nello spazio, tramite collisioni tra meteoriti/asteroidi. Per distinguere tra queste possibilità, in collaborazione con scienziati di Princeton, dello Smithsonian Institution di Washington DC e del Caltech, sono stati effettuati una serie di esperimenti per misurare il rapporto tra gli isotopi dell’ossigeno. I risultati sono stati inequivocabili: gli isotopi dell’ossigeno sono risultati del tutto simili a quelli osservati in una categoria di meteoriti conosciute come “condriti carbonacee”. La roccia contenente il quasicristallo è una meteorite vecchia quanto il nostro sistema solare: 4,57 miliardi di anni!

Come si è svolta l’avventurosa ricerca di un cristallo aperiodico naturale?
Nonostante i quasicristalli siano ormai accettati non c’è comunque ancora un consenso generale riguardo al rango di questi materiali come stati fondamentali della materia. C’è chi pensa che i quasicristalli, essendo sintetizzati in condizioni altamente controllate, siano materiali molto delicati, metastabili e quindi troppo complicati per essere fasi stabili della materia e c’è chi invece crede che i quasicristalli siano fasi robuste ed energeticamente stabili esattamente come i cristalli ordinari. Chi ha ragione? Rispondere a questa domanda significherebbe trovare la soluzione ad un enigma fondamentale per la fisica dello stato solido. Può la natura venirci in aiuto? Se è vera la prima teoria sembrerebbe di no, ma se fosse vera la seconda allora potrebbe essere possibile pensare che questi materiali si formino anche in natura, proprio come gli altri materiali cristallini ordinari.

Pensando a questo, la ricerca di quasicristalli nel regno minerale ebbe inizio alla fine degli anni ’90, inizialmente sotto la guida di Paul J. Steinhardt, e qualche anno più tardi di Steinhardt e del sottoscritto, non solo per rispondere all’enigma appena visto, ma anche guidata da numerosi fattori stimolanti per le diverse discipline. Per le scienze geologiche, per esempio, scoprire un quasicristallo naturale avrebbe aperto un nuovo capitolo nello studio della mineralogia, modificando drasticamente la classificazione tradizionale dei minerali. Nella fisica della materia condensata, tale scoperta avrebbe spinto indietro di diversi ordini di grandezza l’età del più vecchio quasicristallo dando così un’idea di quanto sia difficile formare tali materiali. Trovare un quasicristallo naturale avrebbe inoltre rappresentato un modo per studiarne la stabilità in condizioni non riproducibili in laboratorio. Infine, tale scoperta avrebbe potuto suggerire nuove condizioni chimico-fisiche per la formazione dei quasicristalli, legate a processi naturali terrestri o extraterrestri.

Purtroppo, dopo la selezione di centinaia di campioni, il loro studio con metodi altamente sofisticati, la creazione di parametri statistici che potevano portare all’individuazione di candidati promettenti, e mille altri esperimenti, il responso fu univoco: un completo fallimento.

La nostra migliore caratteristica era però la tenacia, così nel 2008 decidemmo di procedere in un altro modo: vedere se in natura esisteva qualcosa di simile (dal punto di vista composizionale) a qualche quasicristallo prodotto in laboratorio. Ci mettemmo di fronte la lista di tutti i quasicristalli sintetici conosciuti e tentammo di vedere se questi presentavano qualcosa in comune, se esistesse un qualche parametro in grado di legarli tutti.

La risposta era lì davanti ai nostri occhi, semplice ed immediata: quasi tutti i quasicristalli artificiali hanno alluminio nella loro struttura e molto spesso alluminio legato al rame.

La cosa più intelligente sarebbe stata quindi quella di andare a vedere se esistevano già minerali descritti con questa composizione. Se c’erano, dovevamo sicuramente partire da quelli. Le nostre ricerche nei vari database mineralogici furono rapidissime: sì, in natura esistevano due minerali con composizione simile a quella che noi stavamo cercando, la khatyrkite (CuAl2) e la cupalite (CuAl), due leghe cristalline descritte per la prima volta nel 1985 da degli scienziati russi guidati da un certo Razin e ritrovate setacciando concentrati pesanti alla ricerca di platino nei torrenti delle montagne del Koryak, regione della Chukotka, la parte nord-orientale della Kamchatka. Verificammo immediatamente se uno di questi campioni era presente nelle collezioni mineralogiche del Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Firenze. La fortuna era dalla nostra parte: nonostante la rarità di queste specie mineralogiche, un campione etichettato come “khatyrkite” era presente davvero nelle collezioni del Museo fiorentino. Il campione era stato venduto al Museo di Firenze da un commerciante olandese di minerali nel 1990 ed era stato catalogato come proveniente da Khatyrka (montagne del Koryak, Chukotka, Russia), vale a dire la stessa località del “materiale tipo” descritto da Razin e collaboratori nel 1985. Tuttavia, al momento della catalogazione non vi era alcuna prova diretta che il campione acquistato provenisse effettivamente da quella località. Attraverso un’indagine investigativa degna del miglior film poliziesco ed un colloquio diretto con Valery V. Kryachko, la persona che rinvenne il campione, è stato però possibile ricostruirne la storia e stabilire con certezza che il campione fu trovato in un letto di argilla verde-blu lungo il torrente Listventovyi, vicino all’affluente Iomrautvaam del fiume Khatryka. Tracciare l’origine del campione fiorentino si sarebbe rivelato molto importante se un giorno avessimo deciso di organizzare una spedizione scientifica sul posto.

Iniziammo a studiare il campione fiorentino, la sua composizione interna ed esterna, tramite la classica metodologia usata per la caratterizzazione di campioni geologici. L’interno del campione consisteva prevalentemente di khatyrkite e cupalite, associate ad altri minerali silicatici comunemente ritrovati nelle rocce. C’erano però due piccoli frammenti (di circa 0.06 mm) che avevano un composizione chimica diversa, mostrando la combinazione di alluminio, rame e ferro. La proporzione dei tre elementi osservata, Al63Cu24Fe13 (quando riportata a 100), ci lasciò senza fiato: essa corrispondeva esattamente a quella di un quasicristallo artificiale prodotto in laboratorio nel 1987 e provato essere con simmetria proibita.

Dopo la caratterizzazione chimica decidemmo di effettuare una caratterizzazione diffrattometrica con i raggi X (metodologia tipica per ottenere “l’impronta digitale” di un minerale). Anche stavolta, il match con il termine sintetico era quasi perfetto. Eravamo sicuri ed eccitati: forse dopo trent’anni dalla scoperta del primo quasicristallo sintetico stavamo per trovare il primo termine naturale. Mancava però la prova definitiva per poter rendere pubblica la scoperta, la cosiddetta smoking gun come dicono gli americani. Visto lo scetticismo che c’era stato dopo l’annuncio di Shechtman nel 1984 volevamo fare il meglio possibile per rendere la notizia inattaccabile. Per questo motivo, nel novembre 2008, i due piccoli frammenti estratti dal campione fiorentino furono portati a Princeton per tentare di ottenere la prova definitiva: un’immagine dell’asse di ordine cinque tramite diffrazione di elettroni con microscopia elettronica in trasmissione.

Era il primo giorno dell’anno 2009 quando l’esperimento ebbe inizio. Dopo qualche ora, l’immagine dell’asse cinque testimoniante la simmetria proibita era lì davanti a noi. La fissammo a lungo e in silenzio. In un mix di commozione ed emozione ci abbracciammo, felici e consci dell’importanza di ciò che avevamo scoperto.

Continuammo poi lo studio e caratterizzammo i frammenti “fotografando” anche l’asse di ordine tre e l’asse di ordine due, ovvero descrivendo l’intera simmetria icosaedrica. Avevamo la smoking gun adesso. La scrittura del manoscritto per la rivista Science fu un puro divertimento, le revisioni dei colleghi entusiaste.

Visto che il quasicristallo naturale presentava una composizione chimica ed un struttura mai riscontrata in natura, è stato sottomesso all’organo competente, ovvero la International Mineralogical Association, per l’approvazione come nuova specie mineralogica. Il nome che abbiamo scelto è icosahedrite, a testimonianza della simmetria icosaedrica della sua struttura. Il minerale e il suo nome sono stati approvati nel 2010 ed il materiale tipo è oggi depositato nelle collezioni mineralogiche del Museo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Firenze.

Quali prospettive per la ricerca sui quasicristalli?
L’ultimo capitolo della saga dei quasicristalli si è sviluppato studiando il materiale formatosi all’alba del 16 luglio 1945, quando gli Stati Uniti dettero il via al test Trinity, il primo esperimento atomico condotto nel deserto del New Mexico. Il primo fungo atomico causò anche la creazione del primo quasicristallo prodotto, del tutto involontariamente, dall’uomo. Il quasicristallo è stato identificato nei detriti depositatisi quel giorno di oltre ottanta anni fa nell’enorme cratere creato dalla bomba.

Il nuovo materiale si è formato accidentalmente durante il primo test atomico che gli americani effettuarono nell’ambito del Progetto Manhattan. La detonazione causò la fusione della sabbia circostante, della torre di prova e delle linee di trasmissione in rame, andando a formare un materiale vetroso noto come trinitite. Ed è proprio studiando i frammenti di trinitite che è stato scoperto il più antico quasicristallo creato dall’uomo, che ha una composizione chimica finora sconosciuta, Si61Cu30Ca7Fe2, legata alle condizioni in cui si è formato, e una caratteristica peculiare: la sua data di creazione è indelebilmente impressa nella storia.

Fino a oggi sapevamo che i quasicristalli in natura si formano a condizioni estreme di temperatura e pressione: gli unici due documentati, l’icosaedrite e la decagonite, erano stati infatti ritrovati, proprio grazie alle mie precedenti ricerche, nei frammenti di una meteorite caduta sulle montagne del Koryak, nell’estremo oriente della Russia, circa 15mila anni fa. Le condizioni in cui i due quasicristalli si erano formati, probabilmente in collisioni tra asteroidi nello spazio agli albori del sistema solare, sono paragonabili a quelle prodotte in esplosioni atomiche. Per questo era stato deciso di studiare attentamente il materiale del test Trinity.

Uno dei risvolti della scoperta ha a che fare con le azioni di contrasto alla proliferazione nucleare. Perché, diversamente da quella degli altri detriti che si formano in seguito a esplosioni nucleari, la composizione dei quasicristalli rimane stabile nel tempo e potrebbe quindi testimoniare lo svolgimento delle esplosioni stesse.

Oltre a dare informazioni sulle conseguenze di un’esplosione atomica, la nostra scoperta apre nuovi orizzonti di ricerca legati alle condizioni straordinarie in cui i quasicristalli possono essere creati.

Luca Bindi è professore ordinario di mineralogia e cristallografia all’Università di Firenze, dove è direttore del Dipartimento di Scienze della Terra. Ricercatore all’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR, la sua intensa attività di ricerca, condensata in oltre 300 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali, è rivolta principalmente a studi cristallografico-strutturali che integrano la mineralogia con i settori più avanzati della cristallografia. La sua scoperta dei quasicristalli naturali (pubblicata su «Science» nel 2009) ha avuto un’incredibile risonanza nella comunità scientifica internazionale. La sua attività di ricerca lo ha portato a ricevere numerosi premi e riconoscimenti scientifici internazionali, tra cui il Premio Presidente della Repubblica 2015 per le Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali dell’Accademia Nazionale dei Lincei e il Premio Aspen 2018. Ha numerose collaborazioni internazionali, tra cui Princeton University, Harvard University e California Institute of Technology. È fellow di prestigiose associazioni internazionali, tra cui la Mineralogical Society of America, e socio dell’Accademia dei Lincei.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link