“Quantulacumque lucretiana. Nuove piste di ricerca sulla fortuna di Lucrezio nel tardo Rinascimento” di Paolo Cherchi

Prof. Paolo Cherchi, Lei è autore di un libro intitolato Quantulacumque lucretiana. Nuove piste di ricerca sulla fortuna di Lucrezio nella letteratura italiana: come mai questo libro su Lucrezio e in questo momento?
Quantulacumque lucretiana. Nuove piste di ricerca sulla fortuna di Lucrezio nel tardo Rinascimento, Paolo CherchiI libri hanno a volte genesi difficili da ricostruire perché spesso crescono inconsciamente nella testa dell’autore e poi un’occasione imprevista li realizza in un volume o in uno scritto, e l’atto di nascita risulta quasi una sorpresa. Per me la materia che tratto cade un po’ fuori dai miei interessi generali, ma forse proprio per questo la sorpresa è più intensa del solito e ciò è vero anche per la sfida ad elaborarlo.

Intanto è noto che questo è il momento di Lucrezio. Il numero degli studi sul suo pensiero e sulla sua fortuna si sono intensificati in modo imprevisto, quasi fino a creare una moda. Il fatto che proprio in questi giorni sia uscita una nuova traduzione del De rerum natura fatta de Milo de Angelis ne offre una conferma. E in questo revival c’è addirittura una dimensione popolare. Il saggio di Steven Greenblatt, The Swerve, How the World Became Modern, (o La sterzata: come il mondo è diventato moderno), uscito nel 2012 ha reso Lucrezio popolare perché lo considera responsabile di una rivoluzione che sta alla base della modernità. La scoperta di Lucrezio nel primo Quattrocento da parte di Poggio Bracciolini, con la sua teoria degli atomi e della formazione della natura dovuta al clinamen degli atomi, avrebbe rappresentato una svolta decisiva verso una concezione naturalistica del mondo. Il libro ha avuto un successo di pubblico notevolissimo, e se non è stato il motivo primo del revival di cui parlavo, certo gli ha dato un forte impulso. Sono ormai apparsi vari studi e libri sulla fortuna di Lucrezio nell’Europa del Rinascimento e perfino del Settecento, e il mio libro si inserisce in questa moda, anche se la mia intenzione non era per niente quella di “essere alla moda”.

Capisco, ma potrebbe essere più preciso e dirci dell’occasione specifica che lo ha portato a questo studio?
Dagli studi recenti, risulta che l’Italia, la nazione che scoprì il testo che era stato dimenticato per secoli, fu anche la nazione che lo lesse in modo particolare o parziale. C’era la Chiesa che non poteva accettare il materialismo e l’ateismo di Lucrezio, pur riconoscendone la grandezza poetica. Per cui mentre in Francia si ebbe un Gassendi, e nei paesi Germanici uno Spinoza, in Italia nessun pensatore si dichiarò propenso a seguirlo, e anche Galileo, che a quanto pare lo conosceva benissimo, non osò mai nominarlo. Altri però lo citavano, tuttavia senza entrare mai nel discorso dell’atomismo o dell’ateismo. Si arrivò a dire, insomma, che Lucrezio negava la possibilità dell’eucarestia. Pertanto Lucrezio entrava in modo frammentario, con alcune splendide immagini e paragoni, ma mai come sistema di pensiero. Fra le opere che meglio illustrano questo fatto sono quelle di Ada Palmer e di Valentina Prosperi. La prima studia la fortuna di Lucrezio cogliendola soprattutto nei marginalia o commenti dei lettori umanisti; la Prosperi invece raccoglie un’ampia documentazione su opere a stampa, e la sua documentazione modifica seriamente il luogo comune del silenzio italiano su Lucrezio, ma ne sottolinea anche la modalità e i tempi: il silenzio su Lucrezio si fece profondo quando cominciò a diffondersi l’atteggiamento controriformista nei riguardi dell’arte. Io mi sono imbattuto — e uso la parola con il proposito di dare rilievo alla casualità con cui ciò avvenne — in un’opera di meteorologia di Giambattista della Porta, De aeris transmutationibus, dove ho trovato che abbondano di citazioni lucreziane fino al punto da poterne ricavare un opuscoletto. Ho scritto allora un saggio intitolato Quantulacumque lucretiana. Nuove piste sulla fortuna di Lucrezio in Italia, pubblicato sulla rivista veneziana Philosophical Reading. In quel saggio raccoglievo un cospicuo numero di citazioni di Lucrezio sparse in vari autori di opere di medicina, di ottica, di magnetismo, e di altri fenomeni su cui nessuno si era soffermato. Ho battuto sentieri spesso del tutto sconosciti agli studiosi di letteratura, e forse il tipo di trouvailles conferisce al mio opuscolo un carattere di raro ed erudito. Ho raccolto delle “quantulacumque”, ossia cose degne di nota benché piccole, e stabilivo l’anno 1650 come data limite entro cui condurre la ricerca. Quella data era suggerita da Vico, il quale nella sua Vita, ricorda che a partire da quell’anno Lucrezio fu molto letto a Napoli e nelle sue provincie perché vi entrava attraverso la versione di Gassendi che combinava il materialismo di Lucrezio con l’idea di Provvidenza.

Questo è un saggio, ma come è nato il libro?
Entrò in ballo Il caso. Una casa editrice di cui non sapevo niente, mi propose di ripubblicare l’articolo a patto che lo ampliassi fino a portarlo al formato di un opuscolo. La casa si chiama Generis Publishing. Accettai, e seppi più tardi che l’editrice aveva sede in Moldavia, ed era molto ambiziosa, pubblicava in molte lingue, non chiedeva sussidi, e distribuiva via Internet-Amazon. Perché non aiutarla? Il libro è il risultato di questa situazione. Ho conservato il titolo del saggio per sottolinearne l’origine, e l’ho ampliato di almeno quattro volte.

Presenta molti materiali nuovi e ha raggiunto delle conclusioni nuove?
Il regesto delle testimonianze è notevolmente arricchito. Sono presenze di Lucrezio in testi di poetica, come quelli di Patrizi da Cherso, di medicina, di mitografia, di magnetismo, di meteorologia e perfino di fisica, cioè in aree che non avevo toccato prima o che avevo visto solo in modo corrivo. Ho reperito molti testi sfuggiti ai ricercatori che mi hanno preceduto, e ho allargato l’area di ricerca, nonché i limiti temporali in cui contenerla. Inoltre in questa versione ampliata ho aggiunto una seconda parte incentrata sulle imitazioni dell’inno a Venere con cui si apre il De rerum natura. Anche in questo caso le imitazioni hanno dei limiti perché, come aveva già notato Valentina Prosperi, quest’inno pagano deve competere con i frequentissimi inni alla Vergine Maria. Ora il saggio originario intendeva dimostrare che la lettura di Lucrezio fosse molto frequente prima del 1650, e questo accertamento sfatava la notizia di Vico, già ricordata, notizia che sosteneva che la classe dei dotti del Regno Napoletano si entusiasmò per Lucrezio grazie all’interpretazione gassendiana. Ma portando avanti la ricerca oltre l’anno 1650 ed entrando addirittura nel Settecento, si viene a capire un fatto che finalmente consente di cogliere il modo originale in cui l’Italia apprezzò l’opera di Lucrezio. Le allusioni frammentarie al De rerum natura anteriori al Settecento riguardano molti aspetti del mondo primitivo, con i suoi terrori per i fulmini, con la credenza negli oracoli, con i sacrifici cruenti, e tanti altri aspetti primitivi che Lucrezio condanna come superstiziosi. Vico, erede di questo modo italiano di leggere l’opera lucreziana, si ferma su questi punti ma non con il fine di condannarli, bensì per vedere come funziona la mentalità dell’uomo primitivo. Lucrezio, insomma, fa capire a Vico che la considerazione lucreziana del tantum religio potuit suadere malorum costituisce una fase o un’età della storia umana dominata dall’immaginazione e non dalla ragione. È una interpretazione di Lucrezio che è assolutamente nuova e che è alla base di una svolta epocale nel modo di concepire la storia dell’uomo.

Da quanto capisco la sua indagine è basata esclusivamente su testi in cui appare il nome di Lucrezio e non sulle altre forme di influenza, vere o supposte che siano.
Proprio così. Cercare la presenza di Lucrezio in opere che non lo citano direttamente richiede un tipo di indagine diversa. È quasi certo, ad esempio, che Campanella e Telesio lessero il De rerum natura, e lo capiamo dalla presenza di certi temi e immagini, e capiamo anche che il nome non venga ricordato per evitare problemi inquisitoriali. È esattamente quello che successe con Galileo. Insomma, il “sistema” epicureo basato sull’atomismo era troppo scottante, e la cultura italiana si tenne lontana proprio da quel nucleo su cui s’impernia l’opera di Lucrezio. Fu suggestionata, invece, dalle sue straordinarie descrizioni e immagini, sia che toccassero il mondo dei sogni o della mostruosità, sia dei terremoti o della lavorazione primitiva dei metalli e dalla conseguente invenzioni delle armi da guerra. E questo si può documentare senza interpretare e/o forzare testi che “dialogano” con Lucrezio, ma i loro autori preferiscono non fare il nome del loro interlocutore.

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