
Quale apporto forniscono a tale fenomeno, in special modo, le «seconde generazioni»?
Nelle comunità, partecipano di più i giovani ricongiunti in tempi relativamente recenti e meno integrati nella società italiana. In questo caso, la religione svolge per le seconde generazioni un ruolo per certi versi analogo a quello dei genitori. I luoghi di fede sono un contesto per sentirsi accolti e riconosciuti in un passaggio esistenziale molto delicato, uno spazio per allacciare nuove amicizie, incontrare pari che hanno affrontato una simile esperienza e un ambiente dove ricevere suggerimenti, consigli ed aiuti per i percorsi di inserimento. La partecipazione ha quindi la funzione precipua di accompagnamento e supporto.
Un altro versante riguarda i giovani che seguono un modello familiare. In questo caso troviamo la volontà di richiamare, per via religiosa, un tassello del mosaico identitario. Le comunità sono percepite come un contesto sociale per tenere vive e non disperdere tradizioni e memorie. In questo modello, la frequentazione incontra anche, per quanto possibile, le aspettative dei genitori, impegnati nella trasmissione del patrimonio culturale e religioso. La partecipazione tende quindi ad assumere un rilievo che possiamo definire identitario: il luogo di fede è uno spazio dove fare esperienza delle proprie radici.
È stato poi osservato come partecipino di più i giovani che trovano un gruppo di altri coetanei all’interno della comunità. La ricerca ha infatti individuato, all’interno di differenti realtà, esperienze associative promosse da ragazzi di seconda generazione; ambiti dove si organizzano attività, sia religiose sia sociali. Sono frequenti gli appuntamenti centrati sulla formazione, dove confrontarsi a partire dai testi, dagli insegnamenti e dai precetti tipici di un’area confessionale. In questo senso, uno dei dati più interessanti è la maggiore alfabetizzazione religiosa dei giovani rispetto ai loro genitori, che sono più coinvolti nel tramandare la tradizione, mentre i ragazzi sono più attenti a studiarne i contenuti.
Che ruolo e che funzioni svolgono le comunità di fede nei processi d’integrazione degli immigrati?
Nell’accezione che proponiamo, l’integrazione ha anzitutto una dimensione strutturale: riguarda la possibilità di condurre una vita dignitosa e indipendente, grazie a una condizione giuridica sicura, un’abitazione adeguata, un lavoro sufficientemente stabile e remunerativo. La partecipazione alle comunità religiose, grazie alla circolazione di risorse informative, reputazionali e di sostegno pratico, contribuisce a raggiungere questo obiettivo.
Una seconda dimensione dell’integrazione fa riferimento al benessere personale: anche da questo punto di vista il senso di appartenenza, il conforto morale, la conferma dell’identità personale, la partecipazione a reti di socialità comunitaria, inducono a vedere nella partecipazione religiosa un sostegno all’integrazione.
Più problematica può risultare una terza dimensione, quella delle relazioni con la società ricevente e dell’accettazione sociale. La partecipazione ad aggregazioni religiose formate da altri immigrati favorisce una socialità intra-comunitaria, ad apparente detrimento della coltivazione di legami con la popolazione autoctona. Tuttavia, è tutt’altro che scontato che un’apertura ai rapporti interetnici da parte degli immigrati riscuota un’accettazione sociale corrispondente da parte della componente maggioritaria della popolazione. L’alternativa alla partecipazione comunitaria può essere l’isolamento, anziché l’inserimento in reti sociali più ricche e variegate.
Non necessariamente poi la partecipazione religiosa implica chiusura e arroccamento identitario. Anzi, se la partecipazione religiosa favorisce l’integrazione sotto il profilo strutturale, anche l’immagine dell’immigrato tende a migliorare, così come l’accettazione sociale e la possibilità di ampliare la gamma dei rapporti sociali.
Quali dinamiche caratterizzano la presenza islamica in Italia?
Le comunità islamiche sono fra loro diverse, largamente indipendenti. Alcuni aspetti convergenti sono il declino o addirittura la scomparsa delle figure degli imam “fai da te”, a favore di guide dotate di una preparazione teologica, solitamente provenienti dai paesi di origine: siamo ancora agli albori di una formazione in Italia di guide religiose mussulmane. Anche per mancanza di conoscenza e di legami con i contesti locali, i ruoli all’interno delle comunità si differenziano e le responsabilità si distribuiscono fra più persone, non di rado comprendendo anche le donne. I giovani istruiti, cresciuti in Italia, assumono responsabilità più incisive, soprattutto nelle relazioni con l’ambiente esterno e nelle delicate questioni della legalizzazione dei luoghi di culto. Si impegnano inoltre nel dialogo interreligioso e in forme di partecipazione civica, come è avvenuto in occasione della pandemia da COVID 19. Soprattutto i giovani si sforzano di configurare le sale di culto come luoghi polifunzionali, aperti alla città, capaci di fornire servizi (come i corsi di lingua) sia ai fedeli mussulmani, sia alla popolazione italiana.
Non mancano però le tensioni con le autorità locali e le vertenze giudiziarie per affermare il diritto a disporre di luoghi di culto. Nello stesso tempo i leader religiosi mussulmani sono molto impegnati a manifestare atteggiamenti di lealtà politica nei confronti del paese che li accoglie e ad allontanare ogni sospetto di contiguità con posizioni radicali ed estremiste.
Quali caratteristiche presenta il cattolicesimo degli immigrati?
Ha diversi aspetti in comune con altre comunità religiose, perché risponde a esigenze e dinamiche analoghe. La partecipazione comunitaria rafforza i legami, mantiene viva l’identità culturale e linguistica, offre una “casa” tra le asprezze dell’esperienza dell’emigrazione in terra straniera. Contribuisce quindi al benessere personale e alla tenuta emotiva dei fedeli. Colpisce inoltre l’attivismo interno, ossia la disponibilità a farsi carico delle funzioni che mandano avanti una comunità religiosa: responsabili amministrativi, caritativi, liturgici; poi lettori, cantori, catechisti, addetti alla gestione degli spazi… Queste forme d’impegno offrono autostima e riscatto individuale per coloro che spesso affrontano processi di svalutazione sociale nella quotidianità. In sintesi, le chiese sono fonte di relazioni, resilienza e riscatto. Sono inoltre protagoniste di forme di “welfare dal basso”, sforzandosi di offrire sostegno, ascolto ed assistenza ai fedeli, e anche ad altri immigrati, nonché servizi di aiuto formali o informali.
L’identificazione religiosa si è infatti evoluta in un mutualismo che risponde ai bisogni dei propri membri. I fedeli si organizzano quindi per rispondere agli svantaggi e alle necessità materiali che affrontano nel nuovo contesto; dove non riescono, le stesse comunità fungono da punti di orientamento versi altri servizi. In questo senso, le realtà religiose etniche rappresentano dei riferimenti comunitari che contrastano il rischio di marginalità sociale a cui gli immigrati sono esposti.
In queste attività, è emersa la centralità delle donne immigrate, che sono diventate le responsabili e le leader laiche di molte delle comunità individuate e delle numerose attività sociali promosse al loro interno.
Quali policy sono auspicabili per valorizzare le energie positive che derivano dal pluralismo religioso degli immigrati nella trama dei rapporti istituzionali?
Nelle conclusioni, grazie al contributo di un esperto riconosciuto come Paolo Naso, proponiamo dieci punti per la valorizzazione del pluralismo religioso in Italia, nei suoi significati anche sociali e culturali. Il primo e fondamentale aspetto è quello del riconoscimento giuridico, e possibilmente dell’intesa, di cui diverse confessioni minoritarie sono ancora prive. Un secondo aspetto riguarda il piano giuridico, e consiste nel superamento della normativa sui “culti ammessi”, risalente al ventennio fascista. Ricorderei ancora una terza proposta, riguardante la valorizzazione dei ministri di culto o guide religiose come mediatori tra le comunità e la società esterna.
Maurizio Ambrosini insegna Sociologia delle migrazioni all’Università di Milano. È membro del CNEL, dove presiede l’Organismo di Coordinamento delle Politiche d’Integrazione. Tra le pubblicazioni più recenti: Altri cittadini. Gli immigrati nei percorsi della cittadinanza (Vita e Pensiero, 2020), L’invasione immaginaria. L’immigrazione oltre i luoghi comuni (Laterza, 2020), Famiglie nonostante. Come gli affetti sfidano i confini (Il Mulino 2019).