
Il titolo è da intendersi come interrogativo sui caratteri che la poesia ha assunto nel corso degli ultimi cinquant’anni, e insieme su quali di questi caratteri siano da considerare pertinenti e vitali per un genere di scrittura che troppo spesso è rimasto confinato in ambito scolastico anche se ambisce ad essere considerato – secondo quanto ne diceva Leopardi – vertice del discorso umano. Ho cercato di dare al discorso un taglio che non fosse accademico, ma piuttosto ‘dialogico’ e che presentasse degli esempi utili a indicare quale sia stato il percorso della ricerca poetica e quali posizioni siano state via via assunte e superate. L’avvio è dato dalla pubblicazione, negli anni Cinquanta, delle Ceneri di Gramsci di Pasolini e di Laborintus di Sanguineti, e si parte da lì per mostrare le tendenze e le tensioni che hanno portato a un progressivo differenziarsi delle modalità del fare poetico e a proposte sempre più inclusive da un lato, con uno smisurato allargarsi del campo del ‘poetabile’, e eversive dall’altro, con il ricorso a forme linguistiche e compositive incuranti di una normale comunicazione e sempre più lontane dalla dimensione ritmica e musicale caratteristica del ‘verso’.
L’interrogativo resta, naturalmente, aperto, ma l’intento è quello di promuovere una riflessione su una pratica di scrittura che si vorrebbe meno condizionata dall’obiettivo di distinguersi per la presunta novità del proprio fare, quale che sia, e più consapevole invece della qualità del ‘mezzo’ cui fa ricorso e del piacere che può ancora dare.
Come si è sviluppata la ricerca poetica nel corso degli ultimi cinquant’anni?
Possiamo partire dal ’56, quando inizia le sue pubblicazioni la rivista di Luciano Anceschi “Il verri”. Anceschi descriveva la ricerca poetica dei giovani come un bisogno di aria nuova e di “accrescimento della vitalità”, che si andava sostituendo ai modi dell’ “arte anacoreta” affermati a suo tempo da Gottfried Benn e in cui la lirica era andata sempre più riconoscendosi. Pensiamo infatti che la poesia della prima metà del secolo era andata via via riducendosi alle forme stilizzate e contratte che, inaugurate dai ‘versicoli’ di Ungaretti, avevano dato luogo alla stagione dell’ermetismo e al suo simbolismo astratto, che specie in alcuni testi di Quasimodo dava luogo a un linguaggio di difficile decifrazione, in cui ogni riferimento alla realtà concreta appariva evitato.
Non erano mancate esperienze di tutt’altro tipo, dalle poesie di Saba alle movenze ‘narrative’ di certo Montale alla ‘poesia-racconto’ di Cesare Pavese, ma era stato soprattutto l’ermetismo a imporsi e a qualificarsi come una sorta di imprescindibile ‘scuola’ ai cui canoni tutti erano tentati di rifarsi; e a questo aveva collaborato l’atmosfera oppressiva del regime fascista e la sua retorica della romanità e dell’italianità, in un momento in cui ci si sentiva attratti piuttosto dagli esempi del modernismo europeo e in cui, come scrisse Montale, si era spinti semmai a dichiarare «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».
Con il dopoguerra, con l’aprirsi delle frontiere e la libera circolazione delle idee e dei prodotti dell’arte, si sente il bisogno di una nuova concretezza, di una maggiore aderenza alla realtà (è la stagione, soprattutto nella narrativa e nel cinema, del ‘neorealismo’), e anche in poesia si affermano nuovi modi di forme e di linguaggio, più vicini a quelli dell’espressione comune e che riflettano non solo i sentimenti dell’interiorità, ma anche le manifestazioni di un mondo che cambia. Pasolini e Sanguineti, che abbiamo citato sopra, possono rappresentare due delle principali tendenze del ‘cambiamento’: quella raziocinante e narrativa da una parte, che attraverso la riflessione si confronta con la realtà circostante e con la sua rappresentazione, e quella ‘informale’ dall’altra, che nettamente rifiuta la tradizione e vuole dare espressione all’inconscio e al caos che sente dominante intorno. Ci sono però molti autori che, pur consapevoli delle nuove necessità, sentono comunque importanti i valori della tradizione e attuano il necessario rinnovamento senza brusche rotture, convinti che vada mantenuta la specificità espressiva e formale della poesia, sia nei suoi aspetti comunicativi, sia nei caratteri che la legano al discorso musicale.
Quali caratteri ha assunto la poesia oggi?
Non si può parlare di una tendenza ‘generalizzata’, ma di modalità del tutto individuali di dare corpo a ciò che continuiamo a chiamare ‘poesia’ e alla forma del ‘verso’ che ne ha costituito la specificità. Si continua sulle strade già tracciate, e spesso con risultati interessanti; molti autori mostrano come si possa conciliare felicemente l’uso di un linguaggio ‘quotidiano’ con l’espressione di convinzioni e sentimenti tutt’altro che banali e scontati, ma altri sentono il bisogno di differenziarsi in maniera netta dalle abitudini di un tempo e di ricorrere alla commistione con altri linguaggi, soffermandosi su esperienze come quella della poesia ‘visuale’ o ‘concreta’, o di esasperare certe manifestazioni che possiamo considerare ‘di rottura’. Si sono diffuse anche modalità che alla parola aggiungono il gesto e la vera e propria ‘rappresentazione’ di tipo scenico o di tipo ‘installativo’: modalità che, pur nell’interesse che indubbiamente presentano, hanno sempre più allontanato la poesia dal suo campo più specifico di ‘arte della parola’ e finiscono per perseguire fini (certamente interessanti, in alcuni casi) che non sono più gli stessi. L’“accrescimento della vitalità” di cui parlava Anceschi si è certamente realizzato, ma resta da vedere se si tratti di un approfondimento o di una dispersione.
Edoardo Esposito, già docente di Letterature comparate e di Teoria della letteratura presso l’Università di Milano, ha lavorato sulla letteratura contemporanea occupandosi di narratori come G. Verga, F. Tozzi, E. Vittorini (Elio Vittorini, scrittura e utopia, Donzelli, 2011) e di poeti come G. Gozzano, E. Montale (Eugenio Montale, Le Monnier, 2011), V. Sereni (Lettura della poesia di Vittorio Sereni (Mimesis, 2015), G. Giudici. Alla poesia e al linguaggio poetico ha dedicato l’antologia Poesia del Novecento in Italia e in Europa (Feltrinelli, 2000) e i volumi Metrica e poesia del Novecento (F. Angeli, 1992) e Il verso. Forme e teoria (Carocci, 2003).