
Come si articola la ricerca contemporanea sul Gesù storico?
Gli studiosi distinguono abitualmente tre fasi principali della ricerca storica su Gesù: quella cosiddetta liberale del XIX secolo, che dette origine a una grande fioritura di vite di Gesù; quella posteriore, e in gran parte dipendente dal grande esegeta neotestamentario R. Bultmann, di carattere schiettamente teologico; e quella attuale, a volte appunto definita la «terza ricerca». La ricerca contemporanea è in realtà molto diversificata, e quindi non facilmente definibile. Alcune caratteristiche fondamentali si possono tuttavia indicare. Anzitutto il centro della ricerca non è più la Germania, con la sua gloriosa tradizione di studi filologici e storici del Nuovo Testamento, ma sono i paesi anglosassoni, e soprattutto l’America del Nord, con la loro apertura dello studio dei vangeli alle scienze sociali, in particolare la sociologia religiosa e l’antropologia culturale. La ricerca non ha più inoltre carattere prevalentemente teologico, ma è animata da intenti schiettamente storiografici. Non ha più quindi natura strettamente confessionale, ma sostanzialmente laica. E soprattutto la ricerca contemporanea ha riscoperto un dato assolutamente centrale della figura di Gesù: la sua totale appartenenza al popolo ebraico, per cui se non lo si interpreta entro le tradizioni del giudaismo è impossibile comprenderlo veramente. Questi tre elementi danno realmente alla ricerca contemporanea un carattere di forte originalità rispetto alle ricerche precedenti.
Quale rilevanza assume l’ebraicità di Gesù nella ricerca storica su di lui?
Non si tratta ovviamente di riconoscere che Gesù era ebreo, benché anche questo a volte sia stato negato. Già un grande studioso della scuola liberale, J. Wellhausen, aveva coniato il famoso, ed efficacissimo, slogan: «Gesù non era un cristiano, ma un giudeo». Si tratta di riconoscere quello che è assolutamente certo, e cioè che Gesù appartiene, come ho detto, al popolo giudaico, nel senso che vive interamente dentro la sua storia e le sue tradizioni e solo a partire da queste può essere realmente compreso. Si pensi che la «nuova ricerca» post-bultmanniana tendeva a riconoscere come autentico di Gesù soltanto quello che lo differenziava dal giudaismo del tempo, mentre la ricerca contemporanea riconosce come autentico soprattutto ciò che lo lega al giudaismo. La ricerca passata, sia la prima, sia soprattutto la seconda, è stata giustamente accusata di essere antigiudaica. Quella contemporanea è caratterizzata invece dal riconoscimento esplicito della «ebraicità» di Gesù. Si tratta di quello che è stato molto efficacemente definito il «rientro di Gesù nel popolo giudaico».
Quali critiche è possibile muovere alle opere dei maggiori esponenti della biblistica contemporanea, come Gesù e il giudaismo di E.P. Sanders, Un ebreo marginale di J.P. Meier e La memoria di Gesù di J.D.G. Dunn?
Le critiche le ho esposte in maniera ampia e dettagliata nel libro citato sopra. E sono molto severe. I tre autori sono grandi studiosi. I loro libri su Gesù hanno avuto notevole successo e sono stati subito tradotti in italiano. Ma io sono convinto che l’immagine complessiva di Gesù che essi offrono sia profondamente sbagliata. E.P. Sanders ha avuto il grande merito di essere tra i primi a riaffermare il carattere schiettamente giudaico dell’insegnamento di Gesù. Ma, dovendo cercare allora qualcosa che fosse in grado di spiegare la sua morte e il nascere del cristianesimo, ha sostenuto che lo si dovesse individuare nella cosiddetta purificazione del tempio, o cacciata dei mercanti dal tempio. Ma è una ipotesi priva di fondamento. L’episodio ha avuto una entità molto limitata, è stato essenzialmente simbolico. Non sono intervenute né le autorità giudaiche presenti nel santuario né i soldati romani che in occasione delle feste erano schierati sui portici del tempio. E non si vede proprio perché il prefetto romano Pilato avrebbe dovuto convincersi a condannare a morte un fanatico che disturbava nel santuario. J.P. Meier ha scritto un’opera imponente (cinque volumi finora, che diventeranno sette), che resterà a lungo alla base degli studi successivi. Ma ha fatto di Gesù non soltanto il discepolo di Giovanni, il che è giusto, ma anche colui che è rimasto per tutta la vita fedele al suo maestro, finanche nel continuare a battezzare, il che non ha alcun fondamento nelle nostre fonti. E ha visto in Gesù sostanzialmente un rabbi impegnato a discutere continuamente con i suoi avversari sulla osservanza della legge. Il che mi pare in evidente contraddizione con l’urgenza profetica ed escatologica della predicazione di Gesù. E J.D.G. Dunn ha fatto un serio, e suggestivo, tentativo di fondare l’attendibilità della tradizione di Gesù sulla idea del ricordo, che garantirebbe a suo parere la continuità e la fedeltà di quella tradizione. Un tentativo tuttavia che si rivela, in ultima analisi, sostanzialmente apologetico, perché finisce col negare qualunque effettiva rilevanza alla ricerca del Gesù storico, nella convinzione che, come si esprime egli stesso, «non esiste nessun Gesù storico dietro i vangeli».
Quali dovrebbero essere i requisiti imprescindibili di una ricerca su Gesù che miri a dirsi effettivamente storica?
Ci sono due presupposti fondamentali senza i quali, a mio parere, nessuna ricerca su Gesù può apparire solidamente fondata. Il primo è la cosiddetta ipotesi delle due fonti: la convinzione cioè che alla base della tradizione dei vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca ci siano due testi: il Vangelo di Marco, che Matteo e Luca hanno preso come base e modello fondamentale del proprio racconto; e la cosiddetta fonte Q, una raccolta di parole di Gesù che Matteo e Luca hanno utilizzato per completare il racconto di Marco e che noi possiamo in parte ricostruire dai loro vangeli. Questi due testi sono a mio parere forniti di quella sostanziale attendibilità che consente allo studioso di adoperarli per ricostruire l’azione e la predicazione di Gesù. Il secondo elemento è fornito dal metodo della storia delle forme e consiste nella convinzione che la tradizione più antica che è alla base dei racconti dei vangeli sinottici, fino al racconto della passione, non conteneva in origine indicazioni di tempo e di luogo, sicché quelle degli evangelisti sono quasi sempre artificiose. Il che vuol dire che lo studioso che vuole ricostruire la vicenda e le parole di Gesù non può partire dal contesto attuale, ma deve tentare di ritrovare quello originario. È l’uso corretto di questi due presupposti che consente a mio parere di fare quel tentativo di scrivere una storia (non una vita!) di Gesù che io ho fatto col mio Voi chi dite che io sia?
Giorgio Jossa ha insegnato Storia della Chiesa antica nella Università di Napoli Federico II. Da quaranta anni si dedica alla ricerca storica su Gesù. Sue opere principali sono: Gesù e i movimenti di liberazione della Palestina, Il processo di Gesù, Voi chi dite che io sia?, editi dalla casa editrice Paideia.