“Pubblica amministrazione. Burocrazia o servizio al cittadino?” di Aldo Travi

Prof. Aldo Travi, Lei è autore del libro Pubblica amministrazione. Burocrazia o servizio al cittadino?, edito da Vita e Pensiero: quando nasce il cattivo rapporto fra i cittadini e le istituzioni nel nostro Paese?
Pubblica amministrazione. Burocrazia o servizio al cittadino?, Aldo TraviGià nei primi scritti sulla pubblica amministrazione pubblicati dopo l’Unità italiana si riscontravano già in modo evidente espressioni di insoddisfazione per l’operato dell’Amministrazione nel nostro Paese. Per esempio, uno degli uomini politici più autorevoli e significativi del periodo risorgimentale, Marco Minghetti, ultimo capo del Governo della c.d. Destra storica, nel 1881 pubblicò un volume che si legge ancora oggi con interesse, nel quale lamentava l’inadeguatezza dell’amministrazione nel nostro Paese. È però importante rilevare che in questo volume (come in altri scritti di diversi autori della stessa epoca) la critica fosse incentrata sul rapporto fra politica e amministrazione, come se l’amministrazione fosse di per sé in grado di esprimere meglio le proprie capacità, ma il potere politico ne distorcesse l’attività, per subordinarla ai propri obiettivi particolari.

Questo filone di interventi sul cattivo rapporto fra cittadini e istituzioni ha prodotto, alla fine dell’Ottocento, una reazione positiva, con la formazione nel nostro Paese di garanzie concrete della legalità che hanno attuato il modello – anche oggi giustamente proclamato – dello ‘Stato di diritto’: un modello in base al quale tutte le istituzioni devono operare sulla base della legge e nel rispetto dei diritti dei cittadini. Questo risultato ha però avuto anche l’effetto di porre in maggiore evidenza alcune lacune strutturali riscontrabili in ampi settori degli apparati pubblici. Ed è appunto su queste lacune che nel mio libro ho cercato di portare l’attenzione dei lettori.

Le distorsioni nel rapporto fra potere politico e apparati amministrativi non risultano comunque risolte: piuttosto, spesso si presentano oggi in termini nuovi. Per esempio, in seguito a una serie di riforme che sono state approvate nel nostro Paese negli ultimi trent’anni, la capacità degli organi politici di intervenire direttamente nelle situazioni concrete dovrebbe essere molto ridotta rispetto al passato, ma sul piano pratico risulta tutt’altro che ridimensionata.

Quali problemi di fondo affliggono la pubblica amministrazione italiana?
È difficile identificare singoli problemi di portata generale: la pubblica amministrazione nel nostro Paese ha caratteristiche e dimensioni molto articolate che rendono impossibile diagnosi di ordine generale. Ci sono amministrazioni piccole e amministrazioni grandi; anche fra amministrazioni dello stesso genere (si pensi ai Comuni) le dimensioni risultano molto differenziate e la diversità nelle dimensioni determina modi diversi di amministrare. Il rapporto con i cittadini è diverso in un piccolo Comune rispetto a un grande Comune e di conseguenza sono diversi anche i problemi che si presentano nell’uno e nell’altro caso.

Nel mio volume ho cercato di porre in rilievo soprattutto alcune problematiche di carattere ‘trasversale’, che sfuggono alla prospettiva più usuale (attenta soprattutto al profilo legale o al risultato statistico), ma che a mio parere non sono secondarie. Per esempio dovrebbe essere sempre considerata con attenzione la dimensione ‘personale’, o se vogliamo ‘umana’ nel rapporto fra l’amministrazione e il cittadino: il cittadino in un Paese democratico è ‘al centro’ e l’amministrazione nei suoi confronti è, e deve essere, sempre ‘servente’. Ciò non vuole significare in alcun modo che si debba sostenere un modello di amministrazione ‘debole’ e sottomessa: anzi, come ho cercato di spiegare, la mancanza di autorevolezza dell’amministrazione è un problema grave, che determina un indebolimento complessivo nella capacità delle nostre istituzioni di sottrarre il controllo del territorio alla criminalità organizzata e che richiede anche l’adozione di misure drastiche. Amministrazione autorevole non vuole significare, però, amministrazione autoritaria.

Un altro profilo importante, a mio parere, è quello della responsabilità come criterio generale che deve reggere qualsiasi disegno sull’amministrazione nel nostro Paese. Parlare di responsabilità non significa (come purtroppo spesso è accaduto in passato e accade tuttora) identificare ‘capri espiatori’ che debbano assumere a proprio carico le conseguenze della cattiva gestione degli apparati: le responsabilità personali non vanno dimenticate, ma non sono tutto, e quando si ha a che fare con apparati complessi come gli apparati pubblici distinguere il ruolo di una singola persona dal contesto dell’apparato è spesso un comodo artificio. Per esempio, a mio parere è molto grave che la maggior parte delle amministrazioni pubbliche nel nostro Paese non dispongano al loro interno di risorse e personale in grado di operare in modo qualificato dal punto di vista tecnico (e il punto di vista ‘tecnico’ è ben diverso da quello ‘amministrativo-legale’). Ogni volta che un’amministrazione deve rivolgersi ad esperti esterni per affrontare pratiche o per elaborare progetti che non è in grado di realizzare al proprio interno, ci si deve interrogare se non si sia in presenza di una sconfitta per le ragioni dell’amministrazione e dei cittadini.

Naturalmente, però, non basta una diagnosi dei problemi: è necessario, per superarli, avere la volontà di affrontarli ‘col piede giusto’. Questo, a mio parere, è il problema dei problemi, perché in genere rispetto alle carenze dell’amministrazione non si riscontra una volontà chiara di affrontarle.

L’indifferenza, anche a livello politico, rispetto ai problemi reali dell’amministrazione rappresenta un nodo fondamentale della questione: da cosa nasce tale deficit culturale?
A me sembra che l’incapacità di affrontare, a livello politico, i problemi reali dell’amministrazione sia riconducibile a un deficit culturale cui contribuiscono almeno tre fattori.

Il primo fattore è rappresentato da un rapporto stretto fra politica e amministrazione che sfugge a qualsiasi legge: la politica considera l’amministrazione come un bacino di consensi, o come uno strumento per conseguire consensi, e l’amministrazione vede nella politica il fondamento del proprio potere e nello stesso tempo sa di poter condizionare qualsiasi risultato anche sul piano politico. Questo rapporto stretto dovrebbe riguardare tutt’al più il confronto fra il livello politico ed il livello più alto dell’amministrazione, quello della dirigenza pubblica; in molte realtà è però ben più capillare. Ciò spiega il fallimento di alcuni progetti di riforma e spiega perché le riforme più ambiziose (anche in termini di ridimensionamento di certi apparati, ecc.) siano fallite.

Il secondo fattore è rappresentato da una convinzione diffusa in generale, ma dominante soprattutto a livello politico, quella della onnipotenza delle leggi. Questa convinzione conduce a ritenere che, cambiando una legge, si possa cambiare l’amministrazione. È la retorica delle c.d. riforme, di cui molti uomini politici sembrano inebriati. In realtà, come ho cercato di dimostrare nel volume, i problemi di fondo dell’amministrazione, nel nostro Paese, non dipendono dalle leggi, ma dipendono da una cattiva gestione degli apparati. Invece di sostituire chi è responsabile di una cattiva gestione di un apparato pubblico, è molto più comodo imputare le responsabilità alla legge. Infatti nessuno risponde per una legge sbagliata.

Il terzo fattore, strettamente legato ai due profili precedenti, è rappresentato dalla cattiva gestione del personale, le c.d. risorse umane. Ne abbiamo esempi tutti i giorni, sotto gli occhi. Eppure si preferisce accettare una cattiva gestione del personale (penso alle violazioni sistematiche del principio del pubblico concorso per l’assunzione di personale, alle frequenti immissioni in ruolo del personale precario, alla mancata indizione dei concorsi con la periodicità prescritta dalla legge, alla stessa gestione di certe procedure concorsuali), piuttosto che accettare il rischio di una impopolarità.

Quale attenzione andrebbe posta, all’interno della pubblica amministrazione, a Suo avviso, nella gestione e valorizzazione delle risorse umane?
Il punto di partenza (o, come oggi si usa dire spesso, di ‘ripartenza’) dovrebbe essere proprio quello delle risorse umane. L’amministrazione pubblica rappresenta il tessuto connettivo di ogni società: a questi fini, però, è necessario che gli apparati pubblici siano formati da persona competenti, di elevata qualificazione, consapevoli del proprio ruolo e dei propri doveri nei confronti dei cittadini.

In questo contesto le procedure di selezione devono essere fondamentali ed ogni selezione deve avvenire con caratteristiche di imparzialità, ad opera di soggetti terzi, su una scala territoriale sufficientemente ampia da evitare qualsiasi condizionamento delle politiche locali. Certi poteri impropri vanno sottratti con decisione al livello politico e non possono essere giustificati col richiamo a principi di autonomia, perché l’autonomia voluta anche dalla nostra Costituzione è tutt’altra cosa. Nell’amministrazione pubblica devono essere reclutati i migliori.

Inoltre è necessario che il merito individuale sia considerato e premiato, anche ai fini economici. Ciò significa che vanno evitati incentivi ‘a pioggia’ o valutazioni di tipo consociativo. Può essere fastidioso dirlo, ma non vi è spazio, se si ricerca una buona amministrazione, per un egualitarismo sistematico, che ponga tutti sullo stesso piano.

Quali sfide pone, alla nostra pubblica amministrazione, il processo di digitalizzazione e in che modo essa le sta affrontando?
La digitalizzazione può certamente contribuire allo sviluppo dell’amministrazione ed è molto importante: si pensi, per esempio, all’agevolazione che comporta sul piano dei rapporti fra amministrazione diversa. Mi sembra però che vi siano due punti importanti da non dimenticare.

Oggi nel nostro Paese vi sono generazioni di persone che sono ancora analfabete dal punto di vista ‘digitale’: eppure l’amministrazione deve dialogare anche con loro. E deve dialogare in modo efficiente e fattivo: non aiuta la prenotazione ‘on-line’ di prestazioni sanitarie, se poi i tempi d’attesa per ottenere la prestazione sono incompatibili con lo stato di salute del paziente. Non dobbiamo farci illudere dalle formule; ciò che conta è sempre la sostanza.

Inoltre spesso la digitalizzazione è stata interpretata come istituzione di modelli rigidi. Penso al caso di alcuni moduli che vanno compilati on-line per accedere a determinati servizi e che non lasciano spazio a tutte le alternative possibili. Rappresentano una forma di ‘semplificazione’ per la burocrazia, un tormento per i cittadini.

Quali prospettive, a Suo avviso, per la pubblica amministrazione?
È difficile fare previsioni. Nel mio volume ho espresso perplessità anche sulle prospettive che vengono quotidianamente ricondotte al PNRR o alla transizione ecologica: mi sembra, infatti, che anche in questi casi non siano stati colti molti problemi reali. Tutt’al più le risposte sono state parziali e contingenti.

Nello stesso tempo si deve avere la consapevolezza che solo attraverso un’amministrazione diversa il nostro Paese potrà fare realmente passi avanti. Ne abbiamo tutti bisogno.

Aldo Travi è professore ordinario di Diritto amministrativo nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano. Ha insegnato nelle Università di Bergamo, di Cagliari, di Pavia, nell’Università Bocconi e nell’Università statale di Milano. È membro di alcune associazioni internazionali di studiosi di diritto amministrativo (EGPL in Europa, IIDA in Europa e Sudamerica) e socio dell’Association Henry Capitant. È stato componente di varie Commissioni ministeriali su temi di riforma della Pubblica amministrazione. È autore di alcune monografie e alcune centinaia di altri contributi su temi di diritto amministrativo. È autore di un testo di giustizia amministrativa (Lezione di giustizia amministrativa, ed. Giappichelli) giunto alla XIV edizione.

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