“Psicologia del personal branding” di Sofia Scatena

Prof.ssa Sofia Scatena, Lei è autrice del libro Psicologia del personal branding, edito da Vita e Pensiero: cos’è e quale importanza assume il personal branding?
Psicologia del personal branding, Sofia ScatenaPersonal branding è, insieme a Storytelling, una delle locuzioni più abusate degli ultimi anni. L’accezione corrente che definisce il personal branding è l’applicazione delle tecniche del marketing di prodotto alla persona, al fine di renderla più “appetibile” e quindi ricercata. Ma io aborro questa definizione poiché, da docente di Psicologia, detesto l’omologazione dell’individuo e trovo inaccettabile paragonare la massificazione della produzione alla straordinaria unicità che caratterizza ognuno di noi. Nessuno vuole sentirsi “massa indifferenziata” o, peggio, prodotto da banco uguale a milioni di altri. Per questo l’approccio che io propongo e sposo è quello di un percorso, un processo che mette al centro l’Uomo con i suoi valori, le sue caratteristiche di unicità, le sue qualità e, perché no, anche le sue criticità. Infatti, incamminarsi in un percorso di personal branding significa anche intraprendere un viaggio alla scoperta di noi stessi, dei nostri desideri, dei nostri sogni. Si tratta di fermare le bocce delle nostre vite frenetiche e complicate per capire se stiamo davvero bene, se siamo davvero più vicini a quel benessere che tutti desideriamo per noi stessi, se ci sentiamo compresi, riconosciuti, apprezzati, validati. Capiamo quindi che il personal branding non può essere solo una tecnica per promuovere noi stessi e renderci appetibili agli altri ma diventa un’esperienza trasformativa, durante la quale apprendiamo, legittimiamo, consolidiamo quelle caratteristiche e valori che ci definiscono e che ci contraddistinguono. A quel punto, imparare le tecniche di come comunicarle in modo onesto, autentico efficace non è poi così difficile. Come dico sempre, non è necessario andare in psicoterapia per intraprendere questo percorso; ciò che però è imprescindibile è trovare il tempo, oggi la nostra risorsa più rara e per questo preziosa. Tuttavia non riesco a immaginare un tempo migliore di quello speso per migliorare la percezione di noi stessi e la qualità della nostra vita.

In che modo il personal branding rappresenta anche un processo di consapevolezza e valore?
Il personal branding è un processo, non è un’azione ma una serie di assunzioni di consapevolezza e decisioni che riguardano chi siamo, l’autopercezione del nostro valore (che cosa desideriamo, che cosa sappiamo davvero fare, come ci percepiscono gli altri, che cosa pensano di noi ecc.). Inoltre non esiste un metodo one-size-fits-all perché – al di là di alcune linee guida generali durante il processo di comprensione di chi siamo – tutti noi siamo diversi. Ciò per che me è fondamentale per un altro è irrilevante, come so fare io una cosa (anche qualcosa di “standard” come un business plan) è diverso da come la sa fare un altro. Tutti noi abbiamo un background fatto di esperienze, emozioni, vissuti, relazioni tutti diversi e noi siamo il prodotto, sempre in mutazione, di questi fattori. Ecco perché è importante ragionare su noi stessi. Certo, il nostro sistema educativo occidentale non ci abitua per nulla a tali riflessioni. Le scuole occidentali (non tutte, beninteso, ma purtroppo la grande maggioranza) sono tarate sulla performance, non sul valore e certamente non sui desideri o le emozioni. E allora accade che ci si ritrovi a un punto della nostra vita dove ci si rende conto che qualcosa non va. O che qualcosa è andato storto. Ecco quel momento di “crisi” va visto come un’occasione nuova e straordinaria per mettere in atto un processo di cambiamento. Proviamo a vedere la crisi – parola che secondo l’etimologia greca significa “punta, cuspide” – non come il punto più basso di un abisso ma come la cima di una montagna. Fermiamoci, guardiamoci intorno e poi decidiamo che cosa vogliamo fare. Solo noi possiamo sapere che cosa ci dà gioia, solo noi possiamo conoscere il nostro passato, solo noi possiamo sapere in quale direzione desideriamo andare. Possiamo certamente farci aiutare, chiedere informazioni, accogliere spunti e consigli ma, alla fine del giorno, solo noi possiamo decidere per noi stessi e il futuro che vogliamo.

Come avviene la costruzione della propria personalità online?
Inutile nascondersi dietro a un dito o negarlo. Negli ultimi vent’anni internet e le nuove piattaforme di condivisione hanno radicalmente modificato tutte le nostre relazioni. Da quelle personali a quelle con le istituzioni, i servizi, il datore di lavoro e ora pure la scuola. L’età di primo approccio a device come tablet e smartphone si è drammaticamente abbassata a 8 mesi. Capiamo quindi come le nuove tecnologie inizino ad avere un impatto sullo sviluppo e la costruzione della nostra personalità a partire davvero dai primi passi, letteralmente. Anche se i primi studi sulla relazione tra personalità e attività online risalgono solo a poco più di 20 anni fa, è ormai acclarata la connessione (non uso a caso questo termine) fra la strutturazione della nostra personalità e le sue modifiche/assestamenti in relazione all’uso o meno che facciamo delle piattaforme di condivisione, ad esempio i social media come Instagram, Facebook, TikTok e tante tante altre. Il punto è che oggi non ci relazioniamo più solo con la nostra rete sociale fisica che, seppur negli anni mutevole e integrabile, si limita a un numero più o meno finito. L’antropologo inglese Robin Dunbar lo definì in 150. Oggi ci confrontiamo con un potenziale di 6 miliardi di persone, connesse 24/7 senza limiti di spazio né di tempo. Come si dice in accademia, la personalità è “un’organizzazione dinamica di sistemi psicofisici che determinano comportamenti, pensieri ed emozioni”. Il confronto con lo spazio circostante, sia esso analogico o digitale, è parte integrante di questo processo di strutturazione. È quindi ovvio che l’utilizzo o meno delle piattaforme digitali abbia un impatto in tal senso. Quale esso sia, ancora una volta, dipende da moltissimi fattori ed è diverso per ognuno di noi.

Che ruolo svolgono le emozioni nel personal branding?
Il tema delle emozioni e del loro ruolo nella nostra vita mi è molto caro. Trovo estremamente affascinante come individui apparentemente simili reagiscano in modo totalmente diverso di fronte allo stesso stimolo emotigeno. Le emozioni determinano la qualità della nostra vita e che ci rendono unici e speciali proprio perché di fronte a uno stesso evento, ognuno di noi reagisce in modo diverso. È vero che Paul Ekman ci dice che le emozioni principali sono solo 7 ma sono le loro sfaccettature e combinazioni che rendono il panorama umano tanto interessante e variegato. Il dato importante che però desidero sottolineare è che sono le emozioni a suscitare e determinare l’azione. E quindi se riusciamo a suscitare in chi entra in relazione con noi un’emozione positiva (gioia, sorpresa, curiosità) è certo che quella persona vorrà entrare e rimanere in relazione con noi. Esattamente come se suscitiamo un’emozione negativa con quello che diciamo, facciamo, pubblichiamo, ci saranno persone che non vorranno relazionarsi con noi. E va bene così. Di fatto a noi non interessa suscitare l’interesse del mondo intero ma solo delle persone che interessano a noi, che condividono i nostri valori ed emozioni.

Come si declina il personal branding sui social media?
La risposta a questa complessa domanda, si trova nel libro, nelle sezioni dedicate alle attività pratiche e quindi invito i lettori ad approfondire in quella sede. Qui però desidero sottolineare alcuni concetti.

  1. Non è indispensabile essere presenti e attivi sui social media per fare un buon personal branding di se stessi. I social media sono una cassa di risonanza e una grande opportunità che, ben usata, può accelerare grandemente il raggiungimento dei nostri obiettivi. Sono un grande facilitatore ma, ripeto, sono un’opportunità. Il personal branding è sempre esistito, anche prima di internet. Esistono mille modi per renderci conosciuti, appetibili, riconoscibili anche extra web. Certo il web facilita tutto, soprattutto la possibilità di entrare immediatamente in relazione con le persone/aziende/istituzioni che riteniamo rilevanti per noi, presso le quali desideriamo essere riconosciuti, avere una voce, creare una relazione. Quindi non è obbligatorio esserci e certamente non è obbligatorio essere ovunque. L’importante però è essere consapevoli dell’opportunità che rappresentano e decidere quindi consapevolmente, valutandone pro e contro, se esserci o no. E, se esserci, dove e con che frequenza e con quale apporto.
  2. Non è importante la quantità o la frequenza di pubblicazione quanto la costanza e la qualità. Coerenza, autenticità, congruenza ai propri valori sono indispensabili. Oggi è velocissimo essere sbugiardati dall’hater di turno perché non abbiamo davvero completato quel certo corso, non parliamo così bene l’inglese come invece dichiariamo o non siamo così tanto animal-friendly come sbandieriamo.
  3. Un processo di personal branding digitale prevede la pubblicazione di contenuti originali o di commenti originali su contributi pubblicati da altri. Facciamo attenzione che anche i like, i cuoricini, le condivisioni, i commenti costituiscono tracce digitali che lasciamo di noi e che, prese nel loro insieme, costituiscono la storia della nostra persona. Un buon consiglio è quello di “googlarsi” ogni tanto. Perché se abbiamo il controllo (ed è importante averlo) di ciò che pubblichiamo noi, non possiamo averlo su quello che pubblicano di altri di noi. Quindi, ancora una volta, la keyword è “consapevolezza”.

Quale importanza riveste lo storytelling per il personal branding?
Lo storytelling è di fatto il racconto che progressivamente costruiamo di noi stessi. Sia nella vita reale che in quella digitale. L’applicazione delle tecniche della narrazione (cioè la costruzione di storie) costituiscono un linguaggio universale, comprensibile a tutti, indipendentemente da sesso, razza, status, collocazione geografica ecc. Di fronte al racconto di un papà che attraversa mari e monti per portare un regalo alla sua bambina, il set di emozioni che ognuno di noi prova è lo stesso. Lo storytelling emerge dallo sforzo intenzionale coordinato fra chi narra e chi ascolta, cioè fra me stesso e miei pubblici (plurale) di riferimento, cioè gli interlocutori che voglio interessare. Nella comunicazione del mio brand personale, lo storytelling applica le strutture universali della narrazione il racconto di me stessa, di quello che faccio, di come lo faccio. Va tuttavia osservato che di fronte a schemi comuni e trasversali (pensiamo all’esempio citato all’inizio) le persone possono reagire in modo diverso. Per questo è importante definire il tono e le modalità del racconto di noi stessi. Ad esempio, se riteniamo che l’ironia sia un un nostro valore e un tratto distintivo che definisce la nostra cifra relazionale, valutiamo l’impatto che può avere sui nostri pubblici. Potrebbe non essere condivisa da tutti anzi per alcuni risultare addirittura offensiva. Ma qui torniamo al punto di prima: a noi non interessa piacere a tutto il mondo ma suscitare l’interesse solo di chi vogliamo noi, cioè di chi condivide i nostri stessi valori perché sono quelli a regolare le nostre scelte di vita forever.

Sofia Scatena, giornalista, web writer e traduttrice, ha lavorato a lungo con realtà come Giunti, RCS e Repubblica nella produzione di opere multimediali, progettazione web e usabilità. Ha insegnato presso la SDA Bocconi ed è ora docente di Psicologia del marketing (area Comunicazione) presso la Facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano dove è anche Vice Direttore del Master Internazionale in User Experience Psychology.

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