“Psicologia del gusto” di Martine Vallarino e Mara Bellati

Prof.ssa Martine Vallarino, Lei è autrice con Mara Bellati del libro Psicologia del gusto edito da Carocci: in che modo i meccanismi psicofisiologici, i correlati cerebrali e i sistemi percettivi influenzano il senso del gusto?
Psicologia del gusto, Martine Vallarino, Mara BellatiPer rispondere a questa domanda è utile riflettere sul gusto pensando alle percezioni trasmesse non solo dai sensi chimici, quali gusto e olfatto, ma anche alle altre sensazioni che vengono coinvolte, come per esempio quelle che riguardano la consistenza, la sensibilità termica e quindi il tatto, che non è un senso chimico.
Con la parola gusto in italiano si intende la sensazione esperita unicamente dal palato; il sapore, invece, comprende anche la sensazione derivante dalle particelle volatili del cibo, quindi l’insieme di percezioni gustative, olfattive e tattili che rendono l’esperienza gustativa ricca di sfumature e dettagli.

Gli studi svolti con il supporto di risonanze magnetiche funzionali hanno indicato nell’uomo l’attivazione della corteccia orbitofrontale in caso di stimoli gustativi e olfattivi. Inoltre, la corteccia orbitofrontale riceve input da aree corticali che elaborano sensazioni visive relative alla forma, al colore e alle percezioni tattili degli stimoli gustativi. Sembra, dunque che la corteccia orbitofrontale sia un’area di convergenza multisensoriale, dove tutti i dati sensoriali derivanti dall’esperienza gustativa si integrano assumendo significato.
Esistono ancora, una serie di meccanismi che ci accomunano e che hanno una base psicofisiologica, giocando un ruolo centrale nell’esperienza alimentare regolano meccanismi quale fame e sazietà.

Come nascono le preferenze e le avversioni alimentari?
Il consolidamento di preferenze e avversioni alimentari deriva da un’articolata interazione tra esperienze prenatali, processi di apprendimento e adattamento, fattori biologici e ambientali, che possiedono una componente innata importante, ma sono modificabili attraverso l’esperienza nei primi anni di vita e, successivamente, attraverso gli stili di vita in età adulta. Tutte queste variabili di carattere individuale e macrosociale determinano un complesso, e non lineare, stile alimentare soggettivo e personale che si mantiene nel tempo come caratteristica identitaria dell’individuo, in grado di rivelare non solo le sue abitudini alimentari, ma anche tratti distintivi del suo organismo e delle sue peculiarità fisiche e genetiche. Esistono dei fattori prettamente individuali che influenzano i nostri gusti, quale la sensibilità a determinati sapori. Sembrerebbe per esempio che alcune persone siano più sensibili nell’esperire determinate sostanze a causa di un numero differente di papille gustative o per aspetti squisitamente genetici. Mangiare inoltre, è un’attività sociale che coinvolge una dimensione comunicativa e relazionale. Quando mangiamo trasmettiamo informazioni, significati ed emozioni; veicoliamo abitudini, usanze e riti. Decidere di mangiare o non mangiare qualcosa dice molto su di noi: chi siamo e di che gruppo facciamo parte. Ancora, ad esperienze differenti con gli alimenti conseguono aspettative diverse tra le culture: i sapori che una cultura preferisce possono essere percepiti come sgradevoli da un’altra. Basti pensare a come siano apprezzati dal punto di vista gastronomico gli insetti e le larve in alcune culture.

Come si sviluppa il gusto nel ciclo di vita?
I primi sensi a formarsi nell’embrione dell’uomo sono proprio il gusto e l’olfatto. Chiaramente, il gusto possiede una componente innata importante, ma le preferenze alimentari sono altrettanto modificabili dall’esposizione e dall’esperienza. Specie nei primissimi anni di vita, durante l’allattamento al seno e in particolare durante lo svezzamento si è influenzati del contesto di appartenenza: familiare, sociale e culturale. Benché il senso del gusto si modifichi nel corso di tutto il ciclo di vita, sembra che l’infanzia e l’invecchiamento siano i due momenti in cui avvengono i maggiori cambiamenti dovuti a modificazioni organiche, psicologiche e neurofisiologiche.

Quali fattori influenzano le scelte alimentari?
La scelta alimentare è un comportamento complesso che viene influenzato da molte variabili:

  • Le proprietà sensoriali dei cibi: sapore, apparenza, aspetto, odore e consistenza.
  • I fattori fisiologici: meccanismi sensoriali specifici, numero di recettori e risposta soggettiva di questi ultimi alle molecole presenti nei cibi.
  • La variabilità individuale: determinata da emozioni, cognizioni ed esperienze pregresse.
  • I fattori sociali: antropologici, socioculturali, religione, istruzione, cultura d’appartenenza, disponibilità degli alimenti, visibilità e prezzi dei prodotti.

Come avviene la costruzione delle scelte alimentari?
Le influenze dell’alimentazione nei primissimi anni di vita sono importantissime per creare degli apprendimenti, cioè per associare le caratteristiche olfattive e gustative ai rispettivi alimenti, e sono alla base della costruzione delle preferenze alimentari. Esistono evidenze a sostegno della presenza di una base genetica ed innata nel riconoscimento dei gusti primari, ma al tempo stesso, il consumo di un dato cibo è uno stretto intreccio tra variabilità individuale e dimensione sociale.

L’adolescenza si presenta come una fase caratterizzata da cruciali cambiamenti fisici e psicologici e porta con sé il consolidamento di stili alimentari che tenderanno a mantenersi in età adulta. Una recente revisione di letteratura ha analizzato diversi studi condotti sull’argomento e ha identificato alcune variabili che modellano il comportamento alimentare e influenzano la transizione all’età adulta in termini di abitudini alimentari. Sembrano assumere una rilevanza centrale fattori individuali come le convinzioni alimentari e le preferenze di gusto; secondariamente la dimensione interpersonale gioca un ruolo importante (ad esempio, la presenza di supporto sociale e di modelli familiari positivi), e infine le caratteristiche ambientali (ad esempio, le particolarità del prodotto) e politiche (ad esempio, le normative di mercato, l’accessibilità al prodotto). Possiamo quindi affermare che, a partire dall’adolescenza, lo stile alimentare comincia a consolidarsi assumendo forti valenze identitarie e comunicative, espressione di un tratto di personalità che tenderà a rimanere stabile in età adulta.

Quanto sono importanti il colore e la consistenza di un cibo?
Il sapore è una percezione complessa, esito di più modalità sensoriali in cui la vista e il tatto giocano un ruolo centrale. L’importanza del colore di un cibo era nota già nell’Antico Egitto: per preparare i dolci venivano aggiunti estratti naturali e vino in modo da renderli di un colore più intenso, così da aumentarne l’appetibilità. Comunemente le sfumature del rosso suggeriscono un buono stato di maturazione del cibo o possono far pensare che il cibo sia particolarmente dolce, come la frutta matura, invece il verde è associato al gusto aspro, come quello di un frutto acerbo e il blu ad alimenti deteriorati, in quanto è poco presente in natura e la muffa varia per le sfumature di questo colore.

Ciò è ben dimostrato da uno studio inglese che attraverso numerosi esperimenti, ha verificato che se si aggiungesse del colorante alimentare rosso a una bevanda alla ciliegia, a parità di zuccheri presenti, quella con un colore più intenso risulterebbe più dolce a confronto di quella non tinta. Possiamo quindi affermare che colore dei cibi è in grado di creare delle vere e proprie “illusioni” alimentari e ingannare le nostre papille intensificando e, a volte, alterando la nostra percezione gustativa.

Importanti sensazioni fisiche provengono inoltre dal senso del tatto, il quale si occupa principalmente della valutazione di consistenza e di texture di un alimento. Si provi a pensare al piacere nel gustare la cremosità di una mousse, la croccantezza di una sfogliatella o la viscidità di un’insalata di mare. Oppure, una bevanda frizzante appena aperta non sarebbe piacevole senza la sensazione leggermente irritante dell’effervescenza delle bollicine esercitata su tutta la lingua. Le sensazioni tattili che si possono percepire nella bocca determinano il senso di viscosità, l’untuosità e la mollezza, la sensazione di astringenza, secchezza e ruvidità che compartecipano in modo determinante all’esperienza di piacere o di repulsione legata all’assunzione di determinati cibi.

Una musica di sottofondo può rendere più piacevole un sapore?
Nell’ambito della psicologia del gusto, un filone di studi in costante crescita si interessa sempre più della relazione tra ambiente acustico e comportamento alimentare. In modo particolare, le melodie o semplicemente i suoni sembrano poter influenzare:

  • la velocità dell’assunzione di un pasto;
  • il senso di sazietà;
  • il ricordo;
  • l’esperienza di piacevolezza.

In questo ambito, sembra che giochi un ruolo determinante, il cosiddetto meccanismo di “potenziamento crossmodale”, comune alla maggior parte della popolazione, con basi neurologiche strutturali, che favorisce un vero e proprio trasferimento sensoriale: uno stimolo percepito da un canale sensoriale (es. una musica dolce) viene trasferito a un altro stimolo, come ad esempio ad un cioccolatino al latte. Sembrerebbe, infatti, che melodie dalle note più arrotondate siano associate a cibi più dolci e che siano addirittura in grado di aumentarne la percezione di dolcezza. Numerosi sono gli esperimenti a conferma di tale meccanismo; ad esempio, a un gruppo sperimentale è stato chiesto, mentre ascoltava differenti musiche di sottofondo, di assaggiare dei cioccolatini, allo scopo di stimare il livello di dolcezza di ognuno. Nonostante i cioccolatini fossero identici, quelli abbinati alla melodia con note arrotondate sono stati valutati come più cremosi e dolci rispetto a quelli abbinati ad una musica dai toni più acuti. Possiamo concludere che le sensazioni suscitate dalla musica sembrano poter essere trasferite ai cibi attraverso melodie in grado di depistare parzialmente il cervello e le papille gustative.

Che cos’è l’umami?
Sin dai tempi dei filosofi greci sono stati considerati come gusti primari: il dolce, il salato, l’acido (o aspro) e l’amaro. Kikunae Ikeda, professore di chimica dell’Università Imperiale di Tokyo, a partire dal secolo scorso svolse numerose ricerche sul forte sapore di un piatto tipico giapponese: il brodo di alghe, e ne identificò il responsabile nel glutammato monosodico (msg), un sale dell’acido glutammico, un amminoacido presente in tutte le proteine vegetali ed animali (come per esempio pomodori maturi, salsa di soia, miso, brodo e parmigiano).

A partire da questi studi, è stato individuato un quinto gusto fondamentale: l’umami, che in giapponese significa saporito e nel 2000 venne riconosciuto come il legittimo quinto gusto primario, grazie al lavoro di alcuni ricercatori che scoprirono i recettori cerebrali collegati al suo riconoscimento. Le risposte di apprezzamento del gusto umami sono innate per l’uomo: infatti, aggiungendo msg al brodo, i neonati manifestano il loro piacere leccandosi le labbra, succhiando e muovendo la bocca. Fino a una decina di anni fa, all’uso di msg negli alimenti è stata imputata una serie di reazioni allergiche, fenomeno celebre anche con il nome di “sindrome del ristorante cinese”; il suo uso è stato demonizzato al punto che ancora oggi molte industrie optano per etichettare i propri prodotti, soprattutto gli insaporitori alimentari, con slogan come “senza glutammato monosodico aggiunto!”, radicando l’idea che l’msg sia dannoso per la salute, senza alcuna prova scientifica a supporto. Questo amminoacido non è solamente un interessante ingrediente da usare in cucina, ma è anche un neurotrasmettitore, per questo dispone di numerosi recettori. Per i più curiosi: in vari stati americani esiste addirittura una catena di ristoranti che tra i menu propone l’Umami Burger a base di chips di parmigiano, funghi shitake, pomodori cotti al forno, cipolle caramellate e salsa ketchup.

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