“Protagonisti controvoglia. Governi e militari durante le indagini sulla strage di Ustica (1980-1992)” di Mario De Prospo

Prof. Mario De Prospo, Lei è autore del libro Protagonisti controvoglia. Governi e militari durante le indagini sulla strage di Ustica (1980-1992), edito da Le Monnier Università: quali erano i rapporti tra politici e militari negli anni antecedenti al disastro aereo e quale atteggiamento mantennero i militari negli anni immediatamente successivi alla strage?
Protagonisti controvoglia. Governi e militari durante le indagini sulla strage di Ustica (1980-1992), Mario De ProspoI rapporti erano in una fase sicuramente positiva. Le forze armate stavano ritrovando una centralità maggiore e sicuramente inedita rispetto ai decenni precedenti dell’età repubblicana, frutto di un cresciuto protagonismo del paese nell’area mediterranea. Un protagonismo in cui l’amministrazione militare era uno strumento chiave. Un clima che si traduce in maggiori risorse a disposizione del comparto Difesa, che deve essere sostanzialmente ripensato in quegli anni, soprattutto sul piano tecnologico. Ma il cambio di ruolo di questa istituzione ha delle forti ripercussioni anche sul piano operativo. Si pensi solo all’impegno nelle missioni di peacekeeping in Libano dei primissimi anni ’80, in cui per la prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale, dei reparti militari italiani vengono dislocati fuori dai confini del Paese.

In una situazione del genere a nessuno conviene rompere l’idillio.

L’atteggiamento dei vertici militari immediatamente dopo la tragedia del DC-9 è di circostanziare le proprie responsabilità e fugare ogni dubbio su un loro diretto coinvolgimento, mantenendo un profilo basso e rispondendo nel merito solo se sollecitati, sia dai politici, che da inquirenti e opinione pubblica. Almeno nell’immediato questo comportamento non crea tensioni con gli esponenti del governo italiano, che sembrano fidarsi di quanto viene riferito loro dagli uomini in diviso.

Come si manifestò il clima di elevata tensione tra istituzioni militari e classe politica negli anni successivi all’incidente?
Dopo anni in cui le indagini sostanzialmente languiscono, a partire dal 1986, la vicenda torna sotto i riflettori con la nascita di un comitato, composto da personalità di rilievo del mondo politico e intellettuale italiano, a sostegno dei familiari delle vittime della strage, che chiedono che sia fatta luce sulla strage, che altrimenti rischia di cadere nell’oblio.

Un impegno che genera una forte spinta mediatica e ha anche conseguenze sul piano politico, prova di un innegabile e sempre più forte ruolo di una società civile italiana, pienamente sganciata dal sistema dei partiti.

L’allora governo Craxi e il Presidente della Repubblica Cossiga ne tengono conto, impegnandosi nel trovare le risorse per il recupero del relitto inabissatosi nel Tirreno, operazione chiave per il prosieguo delle indagini.

In che modo, alla fine degli Ottanta, emersero le responsabilità degli uomini in divisa italiani?
In un clima di ritrovata attenzione sulla vicenda, a partire dall’estate del 1988 emergono prima alcune rivelazioni apparse sulla stampa relative ad alcune omissioni compiute da alcuni responsabili di centri radar nei momenti immediati alla tragedia, poi, nei primi mesi del 1989, sono rese note le prime risultanze dell’analisi collegio di periti nominati dal giudice istruttore che rilanciano con forza l’ipotesi che l’aeromobile Itavia sarebbe stato abbattuto da un missile. Si tratta di eventi che creano forti pressioni sulle forze armate, in particolare sull’Aeronautica militare. I membri del governo, in particolare l’allora ministro della Difesa, il liberale Zanone, devono barcamenarsi in una situazione complessa, tra pressioni opposte.

Come si articolò la ricerca di un modus vivendi nel corso dei primi anni Novanta?
I vertici militari esprimono sia pubblicamente, che in privato il loro fastidio, percependosi come vittime di una campagna di delegittimazione. Ma la pressione sui governi ha un effetto e, volenti o nolenti, i militari sono chiamati a fornire una crescente mole di chiarimenti sia in sede giudiziaria, che in Parlamento, sotto l’impulso del parallelo lavoro di indagine compiuto anche dalla Commissione stragi, che da metà 1989 si occupa anche della vicenda Ustica.

A tal proposito va sottolineato un aspetto: indipendentemente dalle responsabilità che vanno emergendo nel corso delle indagini, sono le forze armate l’istituzione che possiede bagaglio di conoscenze tecniche decisive per l’avanzamento di un’indagine in cui la chiave di volta passa attraverso la capacità di maneggiare informazioni non solo spesso non facilmente accessibili perché confidenziali, ma di difficile comprensione per chi non ha specifici expertise.

Con la nomina del nuovo giudice istruttore Priore l’inchiesta conosce un nuovo slancio, con una decisa svolta in chiave internazionale, con uno sguardo soprattutto ai rapporti con i paesi più strettamente legati militarmente all’Italia, e con la formulazione di accuse circostanziate e penalmente gravi nei confronti di alcuni militari. Il governo non può non tenerne conto, arrivando alla fine 1992 a costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario.

A quali fonti ha attinto per la Sua ricerca?
Principalmente dalle carte desegregate a seguito della Direttiva Renzi depositate presso l’Archivio centrale dello Stato, principalmente documentazione di provenienza militare e dei servizi di intelligence e le carte del gabinetto del ministro della Difesa. Un’opera di scavo non semplice, tra una documentazione di mole considerevole, ma spessissimo qualitativamente non rilevante.

Il lavoro è stato integrato dall’analisi di ulteriore documentazione, quali le carte dell’istruttoria giudiziaria sulla strage custodite presso l’archivio di deposito della Corte d’assise del Tribunale di Roma, la Commissione bicamerale stragi e gli archivi di alcune personalità politiche di rilievo, principalmente alcuni ex-ministri della Difesa, quali Lelio Lagorio e Valerio Zanone.

Mario De Prospo è attualmente professore a contratto in Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna e borsista di ricerca presso l’Istituto Storico Germanico di Roma. Già borsista presso altri atenei italiani, con ricerche relative alla storia del Novecento italiano incentrate sul rapporto tra elités tecniche, intellettuali e politiche, recentemente allargate nell’ambito di organizzazioni multilaterali e le reti transnazionali di trasmissione della conoscenza. Negli anni passati ha sviluppato competenze nel settore archivistico in organizzazioni internazionali. I suoi interessi di ricerca riguardano la storia e l’agency dei gruppi dirigenti nel ventesimo secolo, incrociando storia sociale e storia delle istituzioni politiche.

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