
Nella seconda metà del XX secolo, la Chiesa si pose all’inverso il problema suscitato da Tommaseo, cercando di attenuare la centralità di questa parola, il cui significato si era sempre più delineato negativamente: con Paolo VI nel 1967 si fece ricorso alla traduzione italiana pur mantenendo anche la vecchia espressione latina: Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli o de Propaganda Fide. È poi notizia recentissima il cambiamento, certo non solo nominale, che ha investito questo organismo con la riforma della Curia di papa Francesco (Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, 19 marzo 2022). Gli effetti di questo cambiamento, che sembra collocare la congregazione missionaria al primo posto della gerarchia curiale e sotto la diretta presidenza del pontefice, toccano anche il nome, ora semplificato in Dicastero per l’Evangelizzazione, anche se certamente non sarà facile né rapido dimenticare quell’espressione così radicata nella terminologia curiale.
Nel 1622 Gregorio XV non aveva certo queste preoccupazioni nominalistiche. Il suo obiettivo era quello di sottoporre l’attività missionaria cattolica, ormai diventata un fenomeno globale, alla diretta giurisdizione di un unico organismo centrale romano, interno alla Curia, per realizzare un nuovo universalismo spirituale del pontefice fondato su un’effettiva giurisdizione sui missionari. Il mantenimento nei secoli successivi di questa istituzione ha permesso alla Chiesa di sviluppare una dimensione globale della sua attività che, dopo un inizio incerto e contrastato, si è poi affermata soprattutto tra Otto e Novecento quando il concetto di missione si è evoluto concentrandosi sul tema dell’evangelizzazione diretta soprattutto verso Africa e l’Asia dove la struttura ecclesiastica non era ancora consolidata e non si poteva applicare la legislazione ordinaria della Chiesa. Questa continuità dell’attività della Congregazione nei secoli ha assicurato, pur nella necessità di compromessi con i poteri coloniali (ma anche al di là di questi), una presenza istituzionalizzata della Chiesa che le consente oggi di essere collegata con queste realtà (nel frattempo divenute stati indipendenti dopo la decolonizzazione) caratterizzate dallo sviluppo di un clero e un episcopato locali e da una connessione tra cattolicesimo e culture locali.
Quali ragioni portarono alla creazione di questa istituzione e quali problemi geopolitici ne derivarono?
Come detto, il punto centrale di questa fase è legato al rilancio dell’intervento pontificio nel governo spirituale universale della Chiesa che doveva comprendere anche l’attività missionaria nel frattempo diventata sempre più complessa. All’epoca il concetto di “missione” aveva acquistato un significato molto largo che cumulava la conversione degli “eretici” (protestanti) e “scismatici” (ortodossi) in Europa con quella degli “infedeli” (islam) e dei “pagani” sparsi nei vari continenti. Ma ci sono delle motivazioni specifiche che contribuiscono a spiegare perché si arrivò a questa decisione. Fuori dall’Europa negli spazi controllati dalle potenze iberiche il cattolicesimo e le istituzioni ecclesiastiche erano sotto il controllo degli stati. Tra Quattro e Cinquecento i papi avevano delegato alle monarchie la conversione dei popoli e lo sviluppo della Chiesa concedendo loro i diritti del Patronato regio. L’intervento del re aveva favorito lo sviluppo della religione, soprattutto per quanto riguardava il finanziamento (anche perché la monarchia tratteneva le decime ecclesiastiche), ma aveva esautorato per molti versi la giurisdizione diretta di Roma, non tanto nelle materie più spirituali, quanto nella strategia missionaria che i papi volevano recuperare. Inoltre, l’attività missionaria sostenuta dalle monarchie rispondeva quasi sempre a un’idea “nazionale”, ad esempio i missionari nelle colonie della Spagna erano in gran parte spagnoli con qualche integrazione dai possedimenti italiani e fiamminghi. A ciò si aggiunga che il mondo stava cambiando: non c’erano più solo le cattolicissime monarchie di Spagna e Portogallo a contendersi gli oceani e il mondo. Iniziava l’espansione di potenze protestanti come l’Inghilterra e le Province Unite, che facevano temere un’espansione dell’anglicanesimo e del calvinismo presso i popoli “pagani”. Ma non bisogna dimenticare l’Europa del Centro e del Nord dove la guerra dei Trent’anni era in corso con esiti favorevoli al fronte cattolico e si meditava una riconquista dei territori protestanti basata sulla predicazione di cui Propaganda avrebbe dovuto essere l’organismo centrale propulsore. Proprio questa congiuntura favorevole nel 1622 avrebbe deciso Gregorio XV a prendere la decisione di fondare la Congregazione, mettendo insieme tutte le motivazioni sopra enunciate. Insomma, il mondo missionario era sempre più ampio, si era da poco aperto anche ai territori non colonizzati come Giappone e Cina, e l’esigenza di un organismo centrale per controllare questo vasto movimento era sempre più sentita.
Certo non mancavano problemi geopolitici: prima di tutto con le potenze del Patronato, Spagna e Portogallo, che tuttavia non furono in grado di ostacolare la fondazione della Congregazione come era avvenuto in passato. Tuttavia, soprattutto rispetto a Madrid, Propaganda poté solo inserirsi negli interstizi che il potere spagnolo lasciava aperti, mentre invece con il Portogallo lo scontro fu più aperto, anche perché nel mondo asiatico l’attuazione del Patronato era molto più difficile. L’entrata della Francia nello slancio coloniale costituì un’occasione per Propaganda. Soprattutto nei decenni iniziali vi fu certamente un’intesa per una comune affermazione nel mondo missionario, anche se poi con l’avanzata della presenza missionaria francese legata alla spinta coloniale si consolidò la concezione gallicana della Chiesa e quindi anche qui l’intervento della corona nell’azione missionaria.
Certamente in Europa del Nord e nelle colonie delle potenze protestanti la presenza di missionari fu difficile, anche se non mancò, pur in termini ridotti. Vi erano spazi cattolici, in condizioni non facili, anche in quel mondo, come in Irlanda. Poi vi erano le comunità di rito orientale legate al papa nel mondo ortodosso e islamico dove i missionari si occupavano più di difendere la fede presso i piccoli nuclei di convertiti che non di fare proselitismo. Bisogna tener conto di un aspetto importante: l’obiettivo di Propaganda non era soltanto organizzare l’apostolato, quanto espandere la sua giurisdizione sulle missioni esistenti e soprattutto quello di avere delle informazioni sulla diffusione del cattolicesimo nel mondo e sulle possibilità di allargare tale presenza. Anche laddove i missionari non arrivavano a stabilirsi essi riuscivano a inviare informazioni a Roma che diventò sempre più un centro di conoscenze di carattere globale sulla diffusione della fede, ma anche sui popoli e sugli spazi geografici.
Quali erano la struttura burocratica interna e il funzionamento della Congregazione?
La struttura burocratica di Propaganda era quella comune a tutte le congregazioni curiali. Un numero variabile di cardinali (di cui uno fungeva da prefetto) in grande maggioranza italiani, non tutti residenti stabilmente a Roma e presenti nelle riunioni. Queste erano di vario tipo da quelle generali, a volte in presenza del papa, a quelle più ristrette o addirittura limitate al prefetto e al segretario, Quest’ultimo era il vero perno su cui ruotava il funzionamento dell’intera congregazione. In collaborazione con consultori e minutanti, egli gestiva anche l’enorme flusso di corrispondenze e scritture in entrata e uscita che costituiva il collegamento tra gli uffici romani e il mondo missionario. Bisogna segnalare anche due istituzioni “satelliti” della Congregazione, molto importanti per la sua dimensione globale: il Collegio Urbano, un seminario di formazione missionaria per il clero originario dei popoli da evangelizzare e la Tipografia poliglotta che pubblicava libri scritti nelle varie lingue del mondo (soprattutto orientali) in trascrizione latina o nei ricercatissimi caratteri originali. Questo ha fatto di Propaganda uno dei maggiori centri europei per lo studio delle lingue del mondo, frequentato in particolare da figure di primo piano dell’orientalismo come Abraham Ecchellensis o Ludovico Marracci, motivo per cui la storiografia recente ne riconosce l’importanza di luogo culturale.
In cosa consisteva la sua giurisdizione sui missionari?
La giurisdizione sui missionari si esercitava soprattutto con la concessione delle facoltà apostoliche, cioè i poteri spirituali di cui essi erano investiti e tramite i quali esercitavano il loro impegno missionario. Queste facoltà, che esistevano anche prima della Congregazione missionaria, furono riscritte subito dopo la fondazione per adattarle meglio alle varie figure di ecclesiastici e ai vari tipi di missione. Inoltre, Propaganda aveva il potere di stabilire missioni nei luoghi dove ce n’era bisogno e inviarvi missionari, così come poteva rimuoverli. Tra i missionari uno svolgeva il ruolo di prefetto ed era lui che generalmente corrispondeva con Roma inviando relazioni generali, anche se ogni missionario poteva scrivere direttamente a Propaganda. Il contatto con Roma avveniva per il rinnovo delle facoltà, ma anche quando il missionario chiedeva spiegazioni su come dovesse comportarsi in situazioni nelle quali la differenza tra l’ortodossia tridentina e la realtà e la cultura locali determinavano un’incertezza sulle questioni più varie, dall’amministrazione dei sacramenti alla tolleranza verso comportamenti propri delle popolazioni da convertire. Questi dubbi venivano trasmessi a Propaganda che rispondeva (anche se non sempre) consultandosi presso le altre congregazioni romane, soprattutto con il Sant’Uffizio con il quale ha un rapporto di collaborazione molto stretto stante il primato nella definizione dell’ortodossia dottrinale di tale congregazione. È vero però che spesso la situazione specifica della missione portava il missionario a uno sforzo di adattamento dell’ortodossia tridentina alla realtà locale e questo poteva anche essere, entro certi limiti, accettato da Propaganda e dagli altri uffici di Curia.
Qual era il rapporto tra la Congregazione e gli ordini regolari protagonisti delle missioni, in particolare cappuccini e gesuiti?
Il rapporto con gli ordini regolari era un impegno imprescindibile per Propaganda. Essi costituivano l’ampio bacino di reclutamento del personale missionario di cui in età moderna rappresentavano quasi la totalità. L’apporto del clero secolare fu molto limitato malgrado gli sforzi di Propaganda per incentivarlo. Certamente gli ordini regolari erano istituzioni multinazionali che, però, erano anche molto legati agli stati. Infatti, erano suddivisi in province e normalmente uno stato voleva che nei propri territori d’influenza vi fossero religiosi che erano anche suoi sudditi, mentre gli stranieri erano visti con sospetto anche come spie. Propaganda, nei collegi nazionali sotto la sua giurisdizione (compreso il Collegio Urbano, di cui si diceva dianzi), voleva invece i secolari in quanto clero più “tridentino” e ritenuto più sottomesso al papa, specialmente quando era italiano. Ma la percentuale di missionari che usciva da queste istituzioni era comparativamente una minoranza. Era necessario quindi il rapporto con gli ordini regolari che erano da secoli i protagonisti dell’apostolato. I missionari restavano sotto la giurisdizione dell’ordine per tutte le questioni afferenti alla vita religiosa e alla regola. Dipendevano da Propaganda per la fondazione delle missioni, la concessione di facoltà, la nomina a prefetto apostolico, le risposte ai dubbi derivati dalla loro attività. Un problema di fondo stava nel fatto che Propaganda venne fondata quando molti ordini avevano già da tempo le loro missioni accordate direttamente dal papa e, di conseguenza, la Congregazione dovette fare uno sforzo iniziale per imporre la sua giurisdizione. All’inizio del XVII secolo il numero delle famiglie di religiosi impegnate nelle missioni era molto alto, dagli ordini mendicanti di origine medievale (domenicani, francescani) ai nuovi ordini cinquecenteschi (cappuccini, teatini, gesuiti e molti altri anche piccoli e impegnati in misura modesta nell’apostolato). I cappuccini, insieme a agostiniani, carmelitani scalzi e domenicani, furono un ordine che si dedicò molto alle missioni dopo quasi un secolo di attività interna alla penisola italiana e che ritroviamo in moltissime missioni dirette da Propaganda in tutti i continenti. I gesuiti stanno all’estremo opposto. Con la loro organizzazione e con il quarto voto di dipendenza diretta dal papa per le missioni essi si consideravano il corpo apostolico del pontefice che non doveva dipendere di alcun ufficio di Curia. Questo significò una freddezza di lunga durata tra essi e Propaganda, con i gesuiti che raramente mandavano informazioni alla Congregazione missionaria sulle proprie missioni per le quali non chiedevano le facoltà apostoliche al dicastero missionario provocando reazioni antigesuite da parte di alcuni membri della Congregazione almeno fino all’Ottocento. Il caso dei gesuiti resta però abbastanza un’eccezione, pur nella varietà del quadro complessivo, e il rapporto tra Propaganda e l’ordine ignaziano resta uno dei temi più rilevanti nella storia istituzionale e culturale della Congregazione.
Giovanni Pizzorusso insegna Storia moderna e Storia delle Americhe in età moderna nell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara. È autore di numerosi studi tra i quali i volumi Roma nei Caraibi. L’organizzazione delle missioni cattoliche nelle Antille francesi e in Guyana (1635-1675), Roma, 1995; Dagli indiani agli emigranti. L’attenzione della Chiesa romana al Nuovo Mondo, 1492-1908, (con Matteo Sanfilippo) Viterbo, 2005; Governare le missioni, conoscere il mondo nel XVII secolo. La Congregazione pontificia de Propaganda Fide, Viterbo, 2018 e la curatela di Chiese e nationes a Roma: dalla Scandinavia ai Balcani (secoli XV-XVIII), (con Antal Molnar e Matteo Sanfilippo) Roma, 2017.