
Come si diventa reporter?
Reporter si diventa per vocazione. È un lavoro che implica curiosità, duttilità nelle relazioni, talento per l’indagine, senso dell’avventura, capacità di adattamento, rinuncia alle comodità quotidiane. Esistono molteplici mansioni nel giornalismo. Dalla scala gerarchica del comando che disegna la linea di un progetto editoriale al lavoro oscuro ma indispensabile di cucina che cura la fattura del prodotto. Dall’impaginazione alla titolazione che ne tratteggiano la cifra stilistica ed estetica. Ma il fulcro dell’informazione rimane ovviamente la ricerca delle notizie, la loro verifica, la loro elaborazione, l’autorevolezza e l’incisività nel proporle: in sintesi è questa la missione di un buon reporter.
Come è cambiato nell’era di Internet il mestiere di giornalista?
Nell’era dell’Internet il mestiere del giornalista è radicalmente cambiato. Oggi un flusso incessante di notizie ti piomba direttamente sullo schermo del computer o dal display dl cellulare senza bisogno di attivarsi. Il compito del redattore è quello di filtrare, contestualizzare, presentare il prodotto in una cornice accattivante. Ma, al di là della routine, le praterie del giornalismo rimangono sconfinate. Se punti all’esclusiva devi ancora consumare le suole delle scarpe. Se vuoi narrare situazioni complesse devi recarti personalmente sul posto e affrontare l’evento con un approccio che scavalchi le news probabilmente già divulgate ma sappia portare alla luce anche le cause che le hanno determinate, le atmosfere, le emozioni. Per scovare una buona storia e raccontarla al meglio devi continuare a investire sulla professionalità.
Lei ha intervistato personaggi del calibro di Nelson Mandela, Yasser Arafat e Lech Walesa: quali ricordi accompagnano il loro incontro?
Ho sempre pensato che il valore aggiunto del giornalismo è la possibilità di fare incontri straordinari. Dal punto di vista umano prima ancora che professionale. Ricordo ovviamente l’emozione e anche un senso inevitabile di orgoglio per l’opportunità di confrontarsi con personaggi che hanno lasciato un segno nella storia. Ma rammento anche la bussola che ho sempre seguito nell’approccio. Nessun riguardo reverenziale, nessuna indulgenza nelle domande. Quando intervisti un uomo di potere sei un contropotere. Devi metterti alla sua altezza.
Quanto è importante per un cronista lo scoop?
Lo scoop per un cronista è l’equivalente di un pallone d’oro per un calciatore. Ti porta alla ribalta, ti rende protagonista. Un fiore all’occhiello nell’ambito di una carriera. Ma, salvo rari casi, è frutto della casualità e della fortuna più che di un meticoloso lavoro di scavo. Anche quando hai i mezzi e i tempi per ricostruire fino in fondo i retroscena di una storia, non è detto che si approdi a conclusioni clamorose. Lo scoop arriva molte volte all’improvviso. Quasi ci inciampi. E ha un effetto inebriante. Ma la cifra professionale di un giornalista è fissata da altri fattori: l’autorevolezza, la credibilità, lo stile.
Quale tra le numerose esperienze che ha vissuto l’ha segnata particolarmente?
L’esperienza che mi ha segnato di più è la corrispondenza dagli Stati Uniti. Dove hai la sensazione fisica di essere al centro del mondo, di affrontare tematiche che oltrepassano le dinamiche della grande potenza e hanno ricaschi su tutto il pianeta. È la possibilità di accesso alle fonti globali che permette di estendere la visuale praticamente senza confini. Non è un caso che a un corrispondente dagli Usa vengano richiesti interventi anche sull’America Latina, o addirittura sulla Cina e sulla Russia se riguardano i rapporti bilaterali con Washington. Senza contare la supremazia che gli Stati Uniti esercitano anche nei settori della cultura, dello spettacolo, del costume.
Quale consiglio darebbe a chi sogna di fare il giornalista?
Non mi riconosco una vocazione di maestro. Sarei molto impacciato a svolgere una lezione di giornalismo. Mi è cara l’idea, riconosco un po’ superata, che il mestiere si impari tuffandosi nella mischia. Non mi sfugge l’importanza di apprendere i principi deontologici e le regole per la verifica delle fonti e per la costruzione di un articolo o di una pagina. Ma se dovessi ritrovarmi su una cattedra, un po’ per celia ma un po’ anche per convinzione, mi limiterei a coniugare quattro verbi: “Va, guarda, ascolta, scrivi”. Con al massimo una postilla. “Tratta la materia con un sforzo massimo di obiettività e di onestà”. Dare consigli ai giovani che sognano di fare i giornalisti non è facile in un’epoca di difficoltà cosi prolungata per l’industria editoriale. Farsi largo nella professione oggi è molto più arduo che in passato. Ma il segreto del successo è quello di tutte le sfide: la perseveranza, la fiducia in se stessi, il rifiuto di arretrare di fronte agli ostacoli, il coraggio e forse anche quel pizzico di follia che servono per realizzare un sogno.
Gianni Perrelli, giornalista e scrittore, intraprende la carriera giornalistica a Bari nelle redazioni de Il Tempo e La Gazzetta del Mezzogiorno, per poi passare a Roma, da professionista. Si occupa di ciclismo e calcio per Il Corriere dello Sport, prima di diventare inviato speciale per L’Europeo. Nominato corrispondente dagli Stati Uniti negli anni ’80, al suo ritorno in Italia si trasferisce a L’Espresso, come responsabile degli esteri e dei servizi speciali. Ha collaborato tra gli altri a Il Fatto Quotidiano, Il Venerdì, Il Mattino e ha diretto il settimanale Special. Autore di saggi e romanzi, con Di Renzo Editore ha pubblicato Habana libre (2004), Il tunnel (2012) e 16 metri quadri (2014).