Proemio dell’Orlando furioso (I, 1-4) di Ludovico Ariosto
Le prime quattro ottave costituiscono il proemio all’intera opera. Esso è suddiviso in argomento (prima ottava e vv. 1-4 della seconda), invocazione (vv. 5-8 della seconda ottava) e dedica (ottave terza e quarta).
Parafrasi
1 Io racconto in versi (io canto) le donne, i cavalieri, le battaglie (arme), gli amori, [gli atti di] cortesia e le imprese coraggiose che [ci] furono nel tempo in cui i Mori dell’Africa attraversarono il mare [Mediterraneo: per giungere in Europa]; e fecero gravi danni in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, il quale si vantò di [poter] vendicare la morte di Troiano contro (sopra) re Carlo, imperatore del Sacro Romano Impero.
2 1-4 Nello stesso tempo (in un medesmo tratto) dirò, [a proposito] di Orlando, cose [che] non [sono] mai [state] dette [né] in prosa né in versi: [e cioè] che, per amore, divenne completamente folle (venne in furore e matto), lui che prima era considerato uomo così saggio.
5-8 [dirò queste cose] se da [parte di] colei che mi ha quasi reso tale [quale Orlando: cioè pazzo per amore) e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno, me ne sarà concesso tanto [: di ingegno] che mi basti a finire quello che ho promesso [: il presente poema].
3 1-4 [O] Ippolito, nobile (generosa) figlio (prole) del [duca] Ercole (Erculea), [voi che siete come un] ornamento e splendore del nostro tempo, abbiate la gentilezza (Piacciavi – ‘Vi piaccia’) di gradire questo [poema] che il vostro umile servitore [: Ariosto] vuole darvi e che può [darvi] come sola cosa [: e che è la sola cosa che possa darvi).
5-8 Il mio debito nei vostri confronti, [lo] posso pagare [solamente] in parte con le mie parole e la mia opera letteraria (d’inchiostro); né mi si deve accusare di darvi poco, perché io vi dono tutto quanto posso [donarvi].
4 1-4 Tra i più valorosi eroi, che mi appresto a citare lodandoli, voi [: Ippolito] sentirete ricordare quel Ruggiero che fu il capostipite (ceppo vecchio) vostro e dei vostri nobili avi.
5-8 Vi farò udire il suo [: di Ruggiero] grande valore e le sue famose imprese (chiari gesti), se voi mi prestate ascolto; e i vostri importanti (alti) pensieri si ritirino (cedino = ‘cedano’) un po’, in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio (abbiano loco).
Riassunto
Le prime quattro ottave del poema costituiscono il proemio: l’esposizione dell’argomento occupa la prima ottava e i vv. 1-4 della seconda; l’invocazione, i vv. 5-8 della seconda ottava; la dedica, le ottave 3 e 4. Rispetto alla tradizione, ci sono numerosi tratti originali: 1) l’argomento non è costituito da un unico motivo, ma da più temi; 2) l’invocazione non è rivolta alle Muse, ad Apollo o a Dio, ma all’amata; 3) attraverso la dedica, il poeta stabilisce un legame con il suo pubblico, ovvero la corte estense che ruota attorno a Ippolito, dedicatario dell’opera.
Il proemio dell’opera descrive la varietà di temi che la caratterizza, ordinandoli in due filoni distinti: il primo è quello del racconto d’armi e quindi deriva dall’epica; mentre il secondo è quello delle vicende d’amore e quindi proviene dal romanzo. Alla tradizione epica rimandano i «cavallier», le «armi», le «audaci imprese» risalenti all’epoca di Carlo Magno, quando Agramante cercò di vendicare la morte del padre. I fatti ricordati nella prima ottava non sono storici, ma si ricollegano proprio alla tradizione carolingia. Al romanzo rimandano invece le «donne», gli «amori», le «cortesie», la follia amorosa di Orlando. I due filoni spesso si sovrappongono. Orlando, paladino dell’epica cristiana, qui appare come un tormentato cavaliere romanzesco, in preda alla follia d’amore, uno dei nuovi temi introdotti da Ariosto rispetto alla tradizione epica. L’ambientazione storica e mitica dell’epica lascia il posto a un passato ricco di elementi favolosi e mai avvenuti (se Carlo Magno è stato un personaggio storico, Agramante non è mai esistito). Inoltre, i poemi epici presentano un racconto chiuso, stabile e tragico, mentre il Furioso ha una struttura aperta e dinamica, tipica del romanzo.
Il proemio offre numerosi spunti biografici, che riconducono alla vita di Ariosto. Nella seconda ottava ai vv. 5-8 Ariosto si riferisce all’amata Alessandra Benucci: proprio come il saggio Orlando è diventato pazzo per amore, così il poeta, innamorato di questa donna, si augura di non fare la stessa fine del suo eroe. L’io del poeta emerge così come amante e personaggio con una sua storia, diversamente da quello che accade nella tradizione epica, dove il narratore è tradizionalmente figura lontana e impersonale. I cenni alla storia personale di Ariosto proseguono con il riferimento, nella terza ottava, al cardinale Ippolito d’Este, suo signore e dedicatario dell’opera, di cui egli intende celebrare l’antenato Ruggiero (4, vv. 3-4).
Quando Ariosto scrive l’Orlando furioso, i valori cavallereschi sono ormai tramontati. Da una parte il poeta guarda con nostalgia a quella cultura; dall’altra la rinnova profondamente. Nonostante non arrivi mai alla presa in giro della narrazione epica, Ariosto opera un abbassamento di registro e di temi: lo stesso eroe protagonista non è più un modello esemplare come i cavalieri medievali, ma è diventato folle, agendo così in maniera del tutto inspiegabile. Inoltre, c’è un coinvolgimento in prima persona del narratore, che fa addirittura un confronto tra la propria follia amorosa e quella di Orlando. Infine, le imprese eroiche non interessano tanto per la capacità di fondare una società sul mito, quanto per la possibilità di rappresentare le contraddizioni e i conflitti che muovono le azioni degli uomini.
La terza e la quarta ottava sono occupate dalla dedica al cardinale Ippolito d’Este. Esse introducono perciò il tema del rapporto tra intellettuale e signore. Si tratta di un rapporto di scambio: la corte offre protezione; il poeta, in cambio, si mette al servizio del signore e lo onora con i suoi versi. Ariosto si pone però al di là del modello di intellettuale-cortigiano tipico dell’epoca: egli, infatti, non ha con il potere politico né un rapporto di fiducia, né un rapporto di diffidenza. Ariosto è consapevole del ruolo marginale e contraddittorio dell’intellettuale nella civiltà delle corti, ma sa anche che non può dedicarsi a una vita di studi senza l’appoggio di un signore, cui, molto spesso, sacrifica l’attività poetica. A numerosi lettori, infatti, è parso che qui Ariosto faccia dell’ironia circa gli «alti pensier» (4, v. 7) del proprio interlocutore, e magari anche riguardo al suo essere «ornamento e splendor del secol nostro» (3, v. 2). Sappiamo infatti dalla prima satira di Ariosto che Ippolito non apprezzava troppo la poesia. Tuttavia, ad altri studiosi appare improbabile che il poeta si permetta di ironizzare pubblicamente contro il proprio protettore. Egli vuole piuttosto sottolineare il valore dei propri meriti e ricordare al signore ciò che si attende in cambio da lui.