Proemio dell’Iliade: parafrasi

«L’Iliade si apre con un proemio, una sorta di ‘porta d’accesso”. I versi proemiali indicano in genere l’argomento del canto e il nome dei protagonisti, e costituiscono la ‘protasi’ del poema (la sua ‘premessa’: vv. 1-7).

Nel primo verso il poeta invoca la divinità (la Musa che ispira il canto) e nomina il furore di Achille (causa di tanti mali per gli Achei) prima di accennare al tema che svilupperà nel corso del primo libro: la contesa sorta fra Agamennone e Achille a seguito della peste inviata al campo greco da Apollo. Per farla cessare è necessaria la restituzione al padre Crise (che di Apollo è sacerdote) della prigioniera Criseide, schiava di Agamennone, il quale pretende in cambio la consegna di Briseide, schiava di Achille: questo è l’affronto che scatena l’ira dell’eroe, la μῆνις del v. 1.

In questi primi versi il poeta deve definire i confini della sua narrazione, sia pure in maniera generica. Siamo di fronte a un motivo-guida dell’ἔπος e della poesia arcaica: attraverso l’invocazione iniziale (ἄειδε θεὰ, v. 1) il poeta chiede fin da subito aiuto alla divinità (la Musa), essa stessa invitata a intonare e organizzare il canto. Il cantore si pone dunque sotto la protezione divina, perché le Muse sono figlie di Μνημοσύνη, la Memoria: l’ispirazione che viene dalle Muse si attiva attraverso la memoria e non attraverso un testo scritto, e garantisce la veridicità dei racconti (benché a volte le Muse possano anche mentire: Esiodo). Sono loro, inoltre, le Muse che conoscono tutto, che possono far ricordare le storie di un tempo e garantire la sopravvivenza futura del canto. All’inizio dell’Iliade manca però un’esplicita menzione del poeta e l’invito al canto suona quasi impersonale (a differenza di quanto accade nel prologo dell’Odissea): anche se, come sappiamo, nell’esecuzione reale era comunque il poeta a prestare la sua voce al canto.

Attraverso il primo esametro dell’Iliade lo spettatore è collocato fin da subito in una dimensione quasi magica:
– un’ira distruttrice (μῆνιν);
– un canto (l’idea è espressa dal verbo ἄειδε);
– un poeta che si rivolge con familiarità a una θεὰ, a una dea;
– il nome di un mitico eroe che occupa ‘pesantemente’ la seconda metà del verso (Πηληϊάδεω Ἀχιλῆος).

Dunque l’ira di cui cantare è quella di Achille, figlio di Peleo, e questa ira è οὐλομένην, ‘distruttrice’, come indicato dalla posizione dell’aggettivo che la accompagna, in forte enjambement all’inizio del v. 2.

La prima parola di un poema arcaico è l’espressione di ciò che il poeta intende celebrare nel canto. Il tema dell’Iliade è perciò la μῆνις del suo eroe principale. Il termine designa la speciale ira del figlio di Peleo e costituisce un doppione del più diffuso χόλος (cfr. χολωθεὶς al v. 9). Però μῆνις è anche l’ira divina e indica un sentimento che non si limita a una collera priva di conseguenze, ma che agisce e semina, intorno a chi lo prova, morte e distruzione. La prima parola dell’Odissea sarà ἄνδρα («l’uomo», vale a dire Odisseo); le due parole poste all’inizio della letteratura occidentale sono quindi ‘ira’ e ‘uomo’: la cupa potenza distruttrice di cui l’essere umano si dimostra capace e l’intelligenza attiva che pure lo caratterizza.

Insieme all’argomento principale vengono fornite anche altre informazioni: l’ira è scatenata da una contesa fra Achille e Agamennone, comandante in capo della spedizione. Ma sopra gli uomini operano il «piano di Zeus» (Διὸς… βουλή, v. 5) e l’ira divina di Apollo contro gli irrispettosi Achei. Il dio sta devastando il campo con una pestilenza perché l’Atride ha mancato di rispetto a Crise, suo sacerdote. Il vecchio viene alle tende achee per chiedere la restituzione della figlia Criseide, che nella divisione del bottino di guerra è stata consegnata proprio ad Agamennone; Agamennone prima rifiuta, maltrattandolo e facendo così scatenare la malattia, e poi nei versi che seguono — chiarite le ragioni del morbo — libera Criseide, ma chiede e ottiene in cambio la schiava di Achille, Briseide. Il figlio di Peleo, irato e offeso, decide quindi di astenersi dalla battaglia, privando l’esercito degli Achei dell’eroe più forte e favorendo quindi i Troiani. Quando poi Ettore ucciderà Patroclo, l’ira di Achille sarà invece diretta contro i Troiani, specialmente contro Ettore. Così dal libro 18 ritroveremo un Achille feroce e disposto a battersi.

Nei primi versi del poema l’aedo spiega come opera l’ira del protagonista e quali sono i suoi effetti: essa procura un’infinità di ἄλγεα (v. 2), ‘dolori’, e questi dolori coincidono con il peggiore dei destini, vale a dire la morte e la caduta verso l’Ade di molte anime, mentre i loro corpi rimangono sul campo come pasto di cani e uccelli. La μῆνις finisce così per essere personificata e per diventare un soggetto agente. Un altro sentimento affine viene evocato poco dopo dal participio χολωθεὶς al v. 9 (da χολόω): Apollo è adirato contro Agamennone per i maltrattamenti subiti da Crise e la sua ira è altrettanto devastante e diffonde morte tra le file dell’esercito.»

tratto da Con parole alate. Autori, testi e contesti della letteratura greca di Andrea Rodighiero, Sabina Mazzoldi, Dino Piovan, Zanichelli editore

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