Uscito dai «pelaghi» della passione che l’avevano portato quasi alla morte, l’autore intende dare conforto e sollievo a chi è nelle pene d’amore, e in particolare a coloro che più ne hanno bisogno: le donne. Dietro queste parole si nasconde oltre l’affermazione della superiore serenità, offerta dalla padronanza di sé in contrapposizione agli sconvolgimenti della passione, l’idea che la letteratura può consolare e contribuire a lenire i mali d’amore, a riconquistare il controllo dei propri sentimenti.
La dedica alle donne va poi letta come metaforica definizione del pubblico del Decameron: un pubblico, a prescindere dalle distinzioni di sesso, non necessariamente colto, che cerca nella letteratura innanzitutto il «diletto» e, in via subordinata, un ammaestramento di vita. In chiusura del Proemio Boccaccio sottolinea bene che le sue lettrici potranno trarre «diletto dalle sollazzevoli cose» narrate nelle novelle del Decameron e, in pari tempo, «utile consiglio» di condotta: è, in forma sfumata, la denuncia dell’abbandono di ogni intento pesantemente didascalico e moralistico, a favore di una concezione della letteratura narrativa che si propone come strumento di intrattenimento e di pacata riflessione. Per Boccaccio «la letteratura, il racconto hanno il compito di far superare la sofferenza che deriva dal sentimento amoroso, nella concezione, dunque, di una letteratura volta a promuovere non la coscienza del peccato e il pentimento, come in Dante, ma le facoltà dell’intelligenza e della lucida razionalità, ai fini non della repressione, ma del controllo delle passioni» (R. Mercuri).
Come in ogni proemio v’è anche l’indicazione della materia, in questo caso sotto forma della varietà di temi e di modi di raccontare; a ciò allude l’elenco che promette «novelle, o favole o parabole o istorie» con riferimento alla molteplice tradizione narrativa delle novelle, dei fabliaux, degli exempla (o comunque delle narrazioni che dimostrano una tesi), dei racconti a sfondo storico.