
Per quanto riguarda il campo delle invenzioni questo era molto vasto e coinvolgeva varie attività e oggetti di produzione ma che potremmo idealmente inserire in tre macro categorie, come ha giustamente individuato Luca Molà: procedimenti tecnici, macchinari o impianti di varia dimensione e prodotti di consumo. Solo per stilare una breve e simbolica lista, cito i privilegi concessi per diversi tipi di mulini (da grano e altri cereali, da seta e filatoi in genere, frantoi per semi oleosi, per macinare polvere da sparo e pigmenti, per tagliare e levigare il marmo), per tecniche di arginatura e di difesa del mare, per la produzione del vetro o di nuovi coloranti, per attrezzi e telai con i quali migliorare la qualità dei tessuti di lana, di cotone, di seta e di lino. E poi ancora ricordo i privilegi rilasciati a protezione di nuove sperimentazioni per coltivazioni agrarie e ittiche, per la produzione di alimenti, delle cere e del sapone, per la realizzazione di orologi e strumenti musicali e naturalmente per la stampa tipografica.
Quali erano le procedure e le condizioni per la concessione di privilegi?
Le procedure e le condizioni per la concessione di privilegi nell’Europa della prima età moderna presentavano delle similitudini, anche se il sistema poteva presentare caratteristiche proprie da Paese a Paese. Il denominatore comune era comunque il fatto che in tutti gli Stati i privilegi erano dei doni, non dei diritti, infatti per averli si supplicava l’autorità statale. Per ottenere un privilegio il primo atto era dunque quello di presentare domanda all’ufficio dell’amministrazione competente in materia. La supplica conteneva la descrizione delle caratteristiche fondamentali della nuova tecnica o del procedimento, spesso enfatizzando i benefici che tale invenzione avrebbe procurato allo Stato, il periodo di validità e l’ambito geografico di applicazione. Se l’ufficio a cui veniva proposta la supplica era dotato di conoscenze specifiche in ambito tecnico il privilegio veniva concesso direttamente, in caso contrario l’istanza veniva inoltrata ad altri organismi specializzati per ottenere un parere in merito. L’invenzione veniva esaminata per accertare la presenza di alcuni requisiti di base che solo se presenti consentivano la concessione del privilegio. Uno di questi requisiti era quello della novità o originalità, anche se risulta complesso dare un’interpretazione univoca del concetto di novità in quanto strettamente connesso alle conoscenze tecniche disponibili all’interno di ogni singolo Paese. Per questo motivo una tecnologia non nota o non posseduta in un certo luogo, ma conosciuta altrove, era considerata non solo una innovazione, ma anche uno strumento per raggiungere il livello tecnologico di altre realtà territoriali e ribilanciare così gli equilibri di potere. Il progresso tecnologico infatti, dava maggiore forza agli Stati perché creava le condizioni per incrementare la ricchezza nazionale, e quindi la potenza militare da cui dipendeva la sicurezza statale in un periodo contrassegnato da frequenti e profonde instabilità politiche.
Certamente, in relazione con il requisito della novità, una seconda condizione indispensabile affinché un privilegio venisse accordato era quella della pubblica utilità, quasi sempre richiamata dagli stessi inventori nella formulazione delle loro suppliche. L’invenzione per la quale si faceva richiesta di privilegio doveva dunque essere in grado di contribuire a migliorare il benessere dello Stato o più specificatamente apportare benefici all’economia e alle entrate statali tramite l’accrescimento dell’occupazione, la riduzione delle importazioni e l’incremento delle esportazioni. Gli Stati che godevano di più alte concentrazioni di industrie potevano produrre maggiori e più variegati beni di consumo, destinati sia alla distribuzione interna che esterna, con la conseguenza che le importazioni potevano essere ridotte, mentre le esportazioni, al contrario, potevano essere incrementate. In sintesi dunque, il privilegio costituiva una forma di accordo fra l’inventore (o l’importatore) e l’autorità statale dove il primo otteneva la facoltà di sfruttare commercialmente l’invenzione, mentre il secondo, con la concessione del privilegio, incentivava le attività di ricerca e sviluppo che garantivano prosperità economica e sociale allo Stato.
L’accertamento dell’utilità di un’invenzione chiama in causa un terzo requisito, quello dell’idoneità. Una condizione difficile da accertare nelle fasi preliminari perché in molti casi la nuova tecnica non era ancora stata prodotta e utilizzata al momento della richiesta del privilegio. L’indagine preventiva poteva dunque essere sostituita o completata da un’indagine successiva alla messa in opera dell’invenzione, cioè dopo che l’inventore aveva dato dimostrazione del potenziale funzionamento della propria invenzione attraverso la cosiddetta experientia, per confermare il privilegio concesso oppure per annullarlo se non soddisfacente.
Quali politiche adottò la Repubblica di Venezia in materia di brevetti e di commercio librario?
La Repubblica di Venezia fu certamente uno degli Stati che fece maggiore ricorso al sistema dei privilegi per incoraggiare la creazione o l’importazione di nuove tecnologie e attività e per proteggere le diverse industrie attive nel suo dominio (con particolare attenzione per quelle che operavano nella capitale). In materia di brevetti alla Serenissima si deve il merito di aver cercato di inquadrare il sistema in un complesso normativo generale. Il 19 marzo del 1474 infatti, il Senato veneziano emanò un decreto nel quale stabiliva che chiunque avrebbe potuto presentare un’innovazione all’ufficio dei Provveditori di Comun e richiedere una patente che gli avrebbe garantito lo sfruttamento del ritrovato per dieci anni, proteggendolo da chi fosse stato intenzionato a copiarlo. Cercare di regolamentare un sistema basato su consuetudini radicatesi nel tempo costituì una svolta poiché, sebbene sempre avanzata in forma di supplica, la richiesta dei privilegi a Venezia iniziò ad essere percepita come un atto amministrativo, più che come una arbitraria concessione da parte delle autorità, tanto che nel corso del XVI secolo il ricorso a tale istituto si fece sempre più frequente, in particolare nel settore tipografico. Si pensi, ad esempio, che il numero di privilegi concessi in questo particolare settore dal 1515 al 1580 è nove volte più alto del numero di privilegi accordati nello stesso periodo alle altre industrie veneziane. Si comprende bene che quello della stampa era un comparto piuttosto redditizio se le autorità veneziane ebbero una tale cura nell’accogliere un elevatissimo numero richieste di privilegio, ma ci dice anche che le tipografie veneziane concentravano gran parte dei loro sforzi nella stampa di opere nuove ed inedite, visto che per ottenere i privilegi questi erano dei requisiti essenziali da soddisfare. E lo Stato veneziano prestò grande attenzione a salvaguardare le iniziative imprenditoriali più innovative e intraprendenti sia mediante l’elargizione dei privilegi che mediante leggi volte a regolamentarne l’uso, al fine di incentivare la stampa di novità editoriali e rendere così il settore dinamico e internazionalmente competitivo. Per un’opera nuova ed inedita, soprattutto se lo era anche al di fuori della Repubblica, era infatti possibile fissare il prezzo ritenuto più idoneo a compensare le spese sostenute per la stampa e per ottenere un guadagno. All’opposto, per un’opera già nota e ampiamente diffusa in diverse edizioni la concorrenza sui mercati esteri era maggiore, con la conseguenza che per vendere le copie di una edizione si doveva non di rado stabilire un prezzo più basso. In questo gli stampatori veneziani furono molto accorti perché, dopo un primo inizio un po’ vacillante, i loro sforzi si congiunsero verso un unico obiettivo, la ricerca e la produzione di prodotti innovativi che consentissero loro una distribuzione su larga scala. E del resto questa era la mentalità di una società mercantilistica qual era quella veneziana dove i guadagni dipendevano essenzialmente dai traffici commerciali e dalla capacità di implementare l’esportazione dei beni prodotti localmente. Non stupisce dunque il fatto che le autorità veneziane abbiano messo in atto politiche volte a sostenere chiunque investisse tempo e denaro nella pubblicazione di nuove opere, capaci di alimentare il mercato editoriale veneziano. E per garantire il giusto sostegno alle diverse iniziative imprenditoriali avviate dagli operatori del settore, la Repubblica adottò forme di tutela personalizzate, plasmando l’istituto del privilegio sulle necessità dei singoli richiedenti. Ciò voleva dire che le autorità valutavano caso per caso, a seconda di chi faceva richiesta di privilegio e in base al tipo di opera per cui si domandava protezione, decidendo quali incentivi accordare, ossia quali sanzioni fissare per disincentivare la violazione del privilegio e punire gli eventuali trasgressori, e quale durata fissare, cioè quanto tempo dare al beneficiario del privilegio per produrre e vendere le proprie edizioni al riparo dalla concorrenza.
Chi furono i titolari dei privilegi e in che misura i singoli fecero ricorso a questo istituto giuridico e per quali titoli?
I titolari dei privilegi erano soggetti che provenivano da tutti gli strati sociali e che avevano ruoli e mansioni spesso molto diverse fra loro. Possiamo quindi trovare privilegi accordati non solo agli stampatori veri e propri, ma anche a nobili, ambasciatori, attori, musicisti, medici, teologi, pittori, incisori, ingegneri, architetti, poeti, uomini d’arme e così via. Una grande varietà di persone che vedeva nella stampa un mezzo da cui trarre dei vantaggi (in termini economici o di notorietà) e che dunque investiva in essa in prima persona oppure stipulando accordi con terze parti. Per Venezia le fonti mostrano infatti che i titolari dei privilegi potevano essere sia persone fisiche che giuridiche, ossia società che spesso si costituivano per suddividere le spese e gli oneri derivanti dalla preparazione, e successiva pubblicazione, di una o più opere. Tuttavia, per quanto l’origine e l’identità professionale dei titolari dei privilegi librari veneziani fosse così ampia, è possibile classificarli più sinteticamente in tre categorie: gli operatori di settore (stampatori, editori, librai), gli autori o i loro eredi e i possessori di opere inedite, cioè coloro che possedevano il manoscritto di un’opera, ma che non avevano avuto un ruolo attivo nella creazione e nella pubblicazione della stessa. Nel periodo compreso tra il 1527 e il 1565, ossia quello analizzato nel mio ultimo libro, risulta che il 69% dei titolari dei privilegi veneziani erano autori o loro eredi, il 25% erano stampatori, editori o librai e il restante 6% erano possessori di opere inedite. A prima vista questi dati potrebbero stupire, in quanto è più logico pensare che fossero gli stampatori ad essere coloro che maggiormente si appellavano alle autorità per ottenere protezione legale nello svolgimento della loro quotidiana attività lavorativa, e in effetti analizzando i dati da una diversa prospettiva è esattamente così. É certamente vero che fra i nomi dei beneficiari dei privilegi si riscontra una maggioranza di autori, ma è anche vero che ogni autore ottenne, in genere, privilegio per una o due opere, raramente di più. Diversamente stampatori, editori e librai ricevettero un numero superiore di privilegi pro capite (si pensi, ad esempio, che Michele Tramezino e Gabriele Giolito, tra gli editori più prolifici del periodo, ottennero in questi anni più di 180 privilegi ciascuno). Quindi, di fatto, il numero complessivo di privilegi concessi agli stampatori, editori e librai è superiore a quello degli autori. Il che non deve comunque distogliere l’attenzione da un altro elemento importante che questo studio sui privilegi librari ha evidenziato, ossia il fatto che gli autori sempre più consapevolmente usarono questo strumento giuridico per tutelare i propri investimenti economici, l’integrità del proprio lavoro e avere così il controllo sulle proprie opere in un periodo in cui la proprietà intellettuale, e quindi il diritto d’autore, non era ancora riconosciuti.
I titoli protetti da privilegi librari anche in questo caso spaziavano ampiamente ricoprendo una vasta gamma di generi e argomenti. Molte sono le opere di letteratura contemporanea, in italiano, un settore particolarmente rischioso intorno al quale si scatenava la concorrenza degli editori, perché questo genere di opere trovava, o si sperava trovasse, il gradimento di un nutrito pubblico. E naturalmente queste opere si presentavano in forme diverse, tanto romanzi e poemi (molto in voga all’epoca, e quindi molto tutelati, quelli cavallereschi) quanto raccolte epistolari. Si configurano come opere particolarmente soggette ad operazioni speculative, pertanto spesso sottoposte a tutela legale, le traduzioni, i commenti e le correzioni fatte da autori contemporanei ad opere della tradizione classica e medievale. Molti i privilegi accordati per testi di medicina e farmacopea oppure per trattati di aritmetica e geometria, di calligrafia, architettura o ingegneria militare e civile. E ancora possiamo citare i tanti privilegi rilasciati per la musica a stampa, sacra e profana, che comprendeva canzoni, madrigali, inni, motetti e intavolature per diversi strumenti polifonici. Un settore particolarmente tutelato fu anche quello delle opere religiose, costituito per lo più dalla letteratura devozionale, raccolte di sermoni e prediche, testi liturgici (ad esempio breviari e messali), letture ed interpretazioni delle Sacre Scritture, trattati di teologia ed ecclesiologia. Da non dimenticare poi i numerosi titoli di natura legale, opere riconducibili sia al diritto canonico che civile, e che comprendevano anche statuti e regolamenti amministrativi. Ci sono inoltre opere storiografiche e geografiche, comprendenti anche mappe e opere cartografiche. La lista potrebbe continuare perché davvero eterogenee sono le opere che ricevettero il privilegio da parte delle autorità veneziane, opere che erano comunque accomunate dal fatto di essere nuove ed inedite nel testo, nella loro veste grafica o negli apparati illustrativi.
In che modo le fonti documentano la vitalità dell’industria tipografica veneziana?
Le fonti raccolte e analizzate nel mio volume, quindi i privilegi concessi dalla Serenissima e le edizioni privilegiate pubblicate a Venezia, documentano la vitalità dell’industria veneziana in quanto sono la manifestazione concreta dello spirito imprenditoriale e avanguardistico degli stampatori veneziani. Le fonti danno l’idea di come l’industria tipografica veneziana si fosse impegnata e focalizzata sulla produzione di novità editoriali risultando estremamente prolifica, se ci atteniamo al numero di edizioni che videro la luce nella capitale lagunare in regime di tutela legale, molto di più di qualsiasi altro centro tipografico italiano dell’epoca. Nessun altro Stato sembra infatti aver rilasciato un così ingente numero di privilegi librari.
Inoltre, le fonti documentano in che modo la Repubblica incoraggiò l’innovazione in campo editoriale, al fine di ampliare la sua rete di scambi commerciali in un contesto caratterizzato da cambiamenti storici e politici, e sulla base del crescente peso di altri centri tipografici italiani ed europei. Come lo fece? Usando il sistema dei privilegi e plasmandolo a seconda delle esigenze dei singoli e in relazione agli eventi (crescita della concorrenza estera, epidemie, conflitti, politiche censorie etc.). Così, ad esempio, la durata dei privilegi, comunemente fissata in dieci anni come da decreto del 1474 prevedeva, spesso si prolungherà affinché fosse dato più tempo per vendere in tutta sicurezza le edizioni protette. Come avrò modo di dimostrare nel mio prossimo volume, dopo il 1560 le autorità veneziane iniziarono a concedere sempre più di frequente privilegi della durata di quindici, venti o trent’anni, ma questa è un’altra storia…
Erika Squassina è ricercatrice presso il Dipartimento di Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università Statale di Milano, dove lavora nell’ambito del progetto Early Modern Book Trade. Ha collaborato come assistente alla didattica nei corsi di Storia del Libro e Biblioteconomia presso l’Università degli Studi di Udine dove ha conseguito, nel 2015, il titolo di dottore di ricerca in Scienze bibliografiche del testo e del documento. È autrice di alcuni articoli in materia di privilegi librari tra i quali Authors and the System of Publishers’ in Venice (Gutenberg-Jahrbuch, 2016) e La protezione del Furioso: Ariosto e il sistema dei privilegi in Italia (Bibliothecae.it, 2017). Ha inoltre curato l’edizione del volume Privilegi librari nell’Italia del Rinascimento pubblicato nel 2019 per la FrancoAngeli.