“Primo Levi: guida a Se questo è un uomo” di Alberto Cavaglion

Prof. Alberto Cavaglion, Lei è autore del libro Primo Levi: guida a “Se questo è un uomo” edito da Carocci: quale importanza riveste, nella letteratura del Novecento, l’opera di Primo Levi?
Primo Levi: guida a "Se questo è un uomo, Alberto CavaglionIl libro è da considerarsi un classico, ma non dell’esperienza concentrazionaria. È un libro sulla condizione umana, un essai sur les moeurs, dove si riflette su categorie filosofiche come per esempio felicità-infelicità. Il Lager raccontato da Levi deforma e estremizza le diverse forme del genere umano. A differenza di altri autori che si sono cimentati con l’esperienza di Auschwitz, Primo Levi non calca la mano sul ricordo che trionfa sul massacro, ma rappresenta gli orrori di cui l’uomo è capace nella prospettiva di un mondo a venire in cui il ricordo degli orrori diventa inutile.

In che modo Levi si discosta dagli altri autori che si sono cimentati con l’esperienza di Auschwitz?
L’anomalia e il fascino di Se questo è un uomo consistono nell’impossibilità di rinchiuderlo in un genere, essendo un’operetta morale e al temo stesso anche un diario, un saggio di storia. La sua stessa struttura è difficile da riassumere o semplificare, vi sono molti strati che richiedono livelli diversi di interpretazione. Questi giochi di rifrazione spiegano perché nel 1947, al suo primo apparire, non fu compreso, ma anche perché, oggi, sia indispensabile condurre un’indagine rigorosa sulle sue fonti, quelle nascoste più di quelle esplicitate.

Quali caratteristiche rendono impossibile rinchiudere l’opera in un genere?
Alla difficoltà di inserire il libro in un genere va aggiunto il mutamento del­lo scrittore. Sebbene pochi siano disposti a riconoscerlo, la biografia di Levi presenta snodi, incroci, fratture, dovute a una molteplicità di cause. Nel primo libro, la subalternità della scienza alla letteratura (e alla filosofia) è un fatto inatteso e sorprendente per chi conosca Levi attraverso le opere successive e per chi ricordi l’immagine di sé che lo scrittore ha costruito nel corso della sua vita con interviste e scritti autobiografici. La rivincita della chimica sulla letteratura e sulla filosofia inizia nel 1963, dopo la pubblicazione del secondo libro (La tregua) e si consolida con il profilo del chimico-scrittore, il Centauro.

Qual è la struttura del testo?
La suddivisione in capitoli è una semplice indicazione di massima, per il lettore. Più importanti sono le sequenze interne, separate da un piccolo spazio bianco. Di lunghezza variabile scandiscono una narrazione complessa fondata sulla presenza di personaggi via via incontrati, come Dante nella sua discesa agli inferi. Le pagine del libro sono esigue, l’indice dei nomi e dei personaggi che ho tentato di redigere si attesta sopra il centinaio di personaggi, taluni filiformi, altri, quelli soprattutto che raffigurano figure del bene (per es. Alberto) capaci di passare trasversalmente da una sezione all’altra.

Quali caratteristiche presenta il lessico utilizzato dallo scrittore torinese?
A fronte di una prevalenza di travasi poetici e letterari, la chimica passa in secondo piano. Anzi, prima della letteratura entra in scena la grammatica (o meglio i «derivati grammaticali»). Aggetti­vi, forme e tempi verbali, soggetti e complementi, periodi ipotetici, pro­posizioni consecutive, interrogative indirette, singolari, plurali costitui­scono l’intelaiatura di Se questo è un uomo. Analisi grammaticale, logica e del periodo precorrono la tavola di Mendeleev nel tentativo di trovare le parole adatte a decifrare il Caos. A propo­sito del periodo trascorso al Liceo, Levi racconterà in un’intervista: «Ero bravo in latino, il latino mi piaceva molto. Ero un gramaticus, mi interessava la grammatica latina». Erano stati i professo­ri del liceo-ginnasio a dargli quel soprannome: «il professor Coccolo mi lodava per questo, mi chiamava il gramaticus, il latinista».

Quale uso fa della parodia Primo Levi in Se questo è un uomo?
Per sua natura – e sua storia – la parodia non è mai puramente comica. Il riso carnevalesco non ha mai escluso la preghiera. La parodia sacra inter­viene, trasformandoli, sui versi di una preghiera come Levi fa nella poesia in epigrafe con la preghiera più importante dell’ebraismo. La pratica medievale dell’imitazione, del contrafactum, del «sermone parodico», possiede un volto burlesco e uno allegorico come sappiamo attraverso Dante e il suo viaggio ultraterreno, soprattutto nella prima cantica. Il percorso di Levi è molto simile a quello dantesco, ma si estende a una vasta serie di classici della letteratura classica e moderna. Non è facile stabilire se si tratti di parodia o di semplice imitazione; più sovente Levi fa un uso criptico delle citazioni, adoperandole fuori contesto forse allo scopo di metterci fuori strada.

Vorrei offrire a Letture uno fra i tantissimi esempi che si possono trarre da questo libro. Questa fonte, nell’economia del mio libro, non ho potuto adoperarla. Una fonte “liceale”, come ho catalogato nella mia ricerca. Questa di cui parlo adesso è una fonte nuova, viene da un classico della letteratura latina, il De rerum natura di Lucrezio. Mi riferisco a un brano di Se questo è un uomo che si legge verso l’inizio del cap. ‘Le nostre notti’ (Opere, vol. I, p. 51): “Ma l’uomo che esce dal Ka-Be, nudo e quasi sempre insufficientemente ristabilito, si sente proiettato nel buio e nel gelo dello spazio siderale. I pantaloni gli cascano di dosso, le scarpe gli fanno male, la camicia non ha bottoni. Cerca un contatto umano, e non trova che schiene voltate. È inerme e vulnerabile come un neonato, eppure al mattino dovrà marciare al lavoro”. A riportarci a Lucrezio basterebbe già l’espressione nel buio e nel gelo dello spazio siderale, ma sono le tre parole che evidenzio in corsivo (nudo, proiettato, neonato) a rendere inequivocabile il ricordo di un celebre passo lucreziano (222-227):

tum porro puer, ut saevis proiectus ab undis
navita, nudus humi iacet infans indigus omni
vitali auxilio, cum primum in luminis oras
nixibus ex alvo matris natura profudit,
vagituque locum lugubri complet, ut aequumst
cui tantum in vita restet transire malorum.

Nudus e proiectus sono ripresi alla lettera, ma non meno netto è il ricordo delle parole lucreziane iacet infans indigus omni vitali auxilio in è inerme e vulnerabile come un neonato.

In che modo Se questo è un uomo si differenzia dagli altri scritti di Levi?
L’anomalia di Se questo è un uomo consiste nel suo essere il frutto di una cultura che la tragedia della seconda guerra mondiale era in procinto di archiviare. Pagina dopo pagina veniamo introdotti in una galleria di «spiriti magni». Levi non li nomina tutti né elegge un solo Virgilio per accompagnarlo. Si appoggia a Dante, ma anche ad altri “maggiori”: Manzoni, Lorenzo de’ Medici, Baudelaire, Rabe­lais, Dostoevskij, Mann, Croce. Una quota non piccola degli abitan­ti di questo nobile castello nel 1947 stava uscendo di scena. Andava facendosi serrata la critica contro Benedetto Croce, Gentile e la sua riforma del liceo classico, nondimeno Levi si aggrappa alla loro anti­quissima sapientia, senza badare al fatto che la cultura del suo tempo si volgeva altrove.

Quali vicende segnarono la sua stesura e quale accoglienza ebbe il libro alla sua uscita?
Al suo apparire Se questo è un uomo non ebbe molte recensioni. Una la pubblicò Italo Calvino (1948), un’altra Cesare Cases nel “Bollet­tino della comunità israelitica di Milano”, che più tardi commenterà questi primi approcci al libro guardando in faccia la realtà: «Levi ve­niva recensito da Calvino che era suo amico e doveva recensire tutti i libri di qualche valore su “L’Unità” e da me che ero un suo conoscen­te per via di famiglia e di ebraismo, al di fuori delle lettere». In particolare alla recensione di Calvino si è dato negli ultimi tempi un peso eccessivo, legato alla coincidenza cronologica fra il debutto di Levi e quello dell’autore del Sentiero dei nidi di ragno. Calvino, più di Levi, era aperto a nuove esperienze narrative, interessato al dibatti­to letterario del suo tempo. Levi, invece, aveva riferimenti scolastici, liceali, estranei al dibattito letterario del dopoguerra. In una secon­da fase, di fronte alle prime prove d’invenzione, da Vizio di forma in poi, nella corrispondenza epistolare o nei suggerimenti editoriali, sarà Calvino a traghettare Levi verso la contemporaneità, verso lo sperimentalismo linguistico, verso autori come Queneau e il gruppo parigino dell’Oulipo. Al momento dell’esordio non era l’interlocu­tore idoneo a comprendere ciò che di attuale si nascondesse in quel libro inattuale.

L’attenzione più profonda e congeniale non giunse da Torino, ma da Trieste e non attraverso una recensione su un quotidiano, ma in forma privata, mediante un breve, denso carteggio che Levi intrat­tenne con il poeta del Canzoniere, Umberto Saba. Saba fece il passo spavaldo che né Calvi­no né altri avevano fatto nel 1947: prendere carta e penna e chiedere ragione del gran rifiuto a Giulio Einaudi in persona. Oggi disponiamo di questa coraggiosa lettera scritta all’indomani del grande rifiuto einaudiano. Nel corso del tempo, su quel rifiuto editoriale, si sono ascol­tati molti pettegolezzi e si sono avanzate ipotesi astruse, senza che mai qualcuno si ricordasse del coraggio di Saba, rendendo omaggio alla sua lungimiranza.

Alberto Cavaglion insegna Storia dell’Ebraismo presso l’Università di Firenze. Il suo ultimo libro s’intitola Verso la Terra promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme da Matilde Serao a Pier Paolo Pasolini (Carocci 2016). Nel 2005 con il libro La Resistenza spiegata a mia figlia (L’ancora del Mediterraneo) ha vinto il Premio Lo Straniero. Di questo libro sono state pubblicate quattro edizioni (dal 2015 è nei Tascabili Feltrinelli).

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