
Ma l’importanza – che qui ci riguarda – dell’opera di Poliziano è quella più propriamente filologica e che si concentra nelle opere di commento a numerosi testi classici, come frutto del suo impegno di docente presso lo Studio fiorentino a partire dal 1480 – cioè appena dopo il ritorno da Mantova – e che produce una serie infinita di commenti, a partire da quelli del primo anno d’insegnamento sulle Institutione oratoriae di Quintiliano, sulle Sylvae di Stazio e sull’epistola di Ovidio di Saffo a Faone fino a quelli dell’ultimo anno, il 1493-1494, sui Posteriora e sui Topica di Aristotele e sulle Elegiae di Ovidio. La visione ‘parallela’ della letteratura greca e di quella latina offre a Poliziano la possibilità di un approfondimento costante e generale, metodologicamente sempre più corretto e completo tale da dimostrare un’assoluta conoscenza delle opere discusse, dei loro autori e delle fonti, greche e latine, che ne sono alla base.
Allo stesso modo la dottrina e le capacità di interpretazione si manifestano nei primi (pubblicati nel 1489) e nei secondi (rimasti incompleti) Miscellanea, cioè cento raccolte nei primi, cinquantanove nei secondi, che sono discussioni di varia natura ed entità relative a questioni ed a problemi testuali su singoli autori greci e latini. I Miscellanea sono l’opera dove con maggiore evidenza risaltano le capacità filologiche di Poliziano, in modo maggiore rispetto ad altri tentativi contemporanei, come le Adnotationes centum di Filippo Berolado o le Observationes di Domizio Calderini, per arrivare fino alle opere filologiche di Ermolao Barbaro, quali le Castigationes pliniane in grado di avvicinarsi al lavoro di Poliziano. I suoi Miscellanea offrono spunti di straordinario rilievo frutto di una non uguale capacità di lettura e di meditazione delle più diverse opere classiche che trovava, per la maggior parte, all’interno della biblioteca privata dei Medici.
Accanto ai Miscellanea sono decisivi strumenti di lavoro specialmente per comprendere il metodo filologico di Poliziano i suoi numerosi commenti ad autori classici con i quali caratterizza il suo insegnamento universitario incominciato a Firenze nel 1480. A questi commenti farò più preciso riferimento più avanti; qui appare sufficiente qualificarli come strumenti indispensabili con i quali Poliziano si inserisce perfettamente nella storia della filologia umanistica dimostrando il suo profondo metodo di analisi e di lavoro insieme ad una perfetta conoscenza dell’autore e delle opere a cui si dedica. È senza dubbio rilevante il fatto che Poliziano si rivolga nello studio scolastico ad un autore greco e ad uno latino, non solo a dimostrazione della perfetta corrispondenza delle due letterature ma anche, più direttamente, delle sue personali conoscenze che così si rivelano nella loro più ampia ed articolata consapevolezza.
Questioni testuali di varia entità sono pure dibattute nel suo ricchissimo epistolario col quale è possibile aggiungere ulteriori dati relativi all’impegno filologico di Poliziano. In tante delle sue lettere Poliziano affronta aspetti relativi a problemi del testo di vari autori, come se la sua discussione fosse tutta indirizzata in questo senso ed in questa direzione, a diversità rispetto a molti degli epistolari umanistici, come quelli di Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Ambrogio Traversari (solo per citarne alcuni), più indirizzati al racconto di questioni quotidiane di diversa natura ed incidenza. Poliziano, invece, dedica molte lettere al testo degli autori e quindi alla loro corretta lettura ed interpretazione: anche così il suo impegno è un quotidiano intervento sui testi, come se ad essi, più o meno completamente, fosse orientata la sua attenzione, in diversità anche rispetto alle poche lettere volgari destinate a tematiche contingenti.
In un certo senso il Poliziano greco e latino appariva come un autore ancora da scoprire e da valutare, non che, specie verso la fine dell’Ottocento e negli anni iniziali del nuovo secolo non ci fossero stati studi su Poliziano con i quali si poteva considerare la sua particolare posizione nell’ambito della letteratura e della critica del suo tempo: basterebbe pensare all’edizione delle Stanze, dell’Orfeo e delle Rime procurata da Giosuè Carducci nel 1863, con introduzione di Guido Mazzoni, presso l’editore Barbera, in linea con quella, dopo quattro anni, di Isidoro Del Lungo – come si dirà – riguardante anzitutto le poesie latine e greche. Erano edizioni – quelle di Carducci e di Del Lungo, alle quali andrà almeno ricordato lo specifico saggio di Francesco De Sanctis all’interno della sua Storia della letteratura italiana, apparsa per la prima volta (in due volumi) nel 1870 e nel 1871 – con cui si ponevano le basi per una corretta interpretazione dell’opera, in poesia ed in prosa, di Poliziano.
Questi vari e molteplici aspetti sono stati variamente messi in evidenza da quanti, nel corso del Novecento, hanno studiato l’opera, specie latina, di Poliziano, a partire, ad esempio da Emilio Bigi e da Vittore Branca, ai quali occorre riconoscere una profondità di visione non facilmente riscontrabile in altri autori. È fondamentale la recezione di queste parti dell’opera di Poliziano grazie alle quali è possibile ricostruire la sua cultura, la sua “docta varietas” alla base della sua dottrina e della sua poesia, ma anche del suo impegno filologico. Sono stati rilevati i suoi legami con la cultura classica, dai quali ha tratto ispirazione e modelli: basterebbe pensare alle Sylvae, scritti destinati ad essere delle prolusioni, in poesia, a corsi universitari dove più evidente è l’incidenza della poesia classica. Lo studio del mondo antico diviene un irrinunciabile amore, un cosciente desiderio ed un’appassionante predilezione che caratterizza tutto il lavoro di Poliziano, in poesia ed in prosa, tale da contraddistinguerlo in modo nettissimo dai dotti del suo tempo.
Lo dimostrano – fra le tante prove che si potrebbero addurre – i numerosi Atti di studi e di convegni che hanno accompagnato il centenario della morte di Poliziano nel 1994. Tra questi cito solo alcuni più utili a capirne il suo mondo intellettuale e la sua dottrina: Poliziano nel suo tempo, a cura di Luisa Secchi Tarugi (apparso nel 1996), Agnolo Poliziano Poeta Scrittore Filologo, a cura di Vincenzo Fera e di Mario Martelli (apparso nel 1998), Il Poliziano latino, a cura di Paolo Viti (apparso nel 1996), a cui si aggiungono il catalogo della mostra fiorentina presso la Biblioteca Medicea Laurenziana Pico, Poliziano e l’Umanesimo di fine Quattrocento, a cura di Paolo Viti (apparso nel 1994) e il volume di Mario Martelli, Angelo Poliziano. Storia e metastoria (apparso nel 1995). Gli studi su Poliziano non si sono fermati, naturalmente, al centenario del 1994 ma sono continuati, e continuano, ben oltre: ricordo quelli di Attilio Bettinzoli ad iniziare da A proposito delle «Sylvae» di Angelo Poliziano: questioni di poetica (apparso nel 1990), Daedaleum iter. Studi sulla poesia e la poetica di Angelo Poliziano (apparso nel 1995) e La lucerna di Cleante. Poliziano tra Ficino e Pico (apparso nel 2009), mentre rammento gli Atti del convegno Angelo Poliziano e dintorni. Percorsi di ricerca, a cura di Claudio Corfiati e Mauro de Nihilo (apparso nel 2011) e Angelo Poliziano: Dichter und Gelehrter, a cura di Thomas Baier, Tobias Dänzer, Ferdinand Stürner (apparso nel 2015).
Non va dimenticata, infine, l’opera, lenta e faticosa, dell’Edizione Nazionale delle Opere di Angelo Poliziano che si propone di portare nuovi contributi alla produzione dell’Umanista pubblicando i suoi testi in edizioni critiche.
Come si sviluppò la tradizione dell’opera polizianea?
Angelo Poliziano fu l’esponente più geniale e raffinato della cultura fiorentina riunita intorno a Lorenzo dei Medici; con lui si ricompone l’Umanesimo del suo tempo che proprio a Firenze ha una manifestazione di grande rilievo per la presenza di alcuni fra i maggiori rappresentanti, ad iniziare da Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Luigi Pulci, Bartolomeo Scala: rappresentanti di una sapienza ed erudizione, assai differenziate, ma certo fra le più significative del momento. Rispetto a questi autori – ed a vari altri della città, e non solo – Poliziano si differenzia per l’eccellenza della sua poesia, volgare e latina, per la superiorità della sua filologia, per la finezza delle sue capacità intellettuali. Fu, in pratica, la figura più rappresentativa della sua età, portavoce di profonde novità letterarie, espressione della forza mentale che ben sintetizzava nella sua costante vitalità intellettuale.
Solo poche delle opere di Poliziano hanno avuto però una stampa mentre Poliziano stesso era in vita: il Coniurationis commentarium nel 1478, le prelezioni Manto, Rusticus, Ambra, Nutricia, Lamia fra il 1482 e il 1492, la prima centuria dei Miscellanea nel 1489. Il resto – e quindi la maggior parte degli scritti – rimase inedito, anche se non mancarono indicazioni diverse relative alla diffusione e circolazione di alcuni testi, come testimonia, intorno al 1490-1491, la polemica In Politianum di Giorgio Merula, il quale riteneva (ma lo scritto era allora inedito) che nei Miscellanea Poliziano avesse avuto un atteggiamento polemico nei suoi confronti, riprendendo sue interpretazioni e criticandolo implicitamente.
Poliziano si trovò al centro di vari contrasti ed anche aspre contese con numerosi altri umanisti, per lo più colpiti ed impressionati dalla sua genialità mentale e dalla energia razionale, sintesi inusuali delle sue stesse capacità intellettuali. Per cui, oltre a quella con Merula, ebbe una forte contrapposizione con non pochi esponenti della cultura umanistica, ad iniziare da Paolo Cortesi, il quale riteneva che solo la prosa di Cicerone dovesse essere un modello esclusivo per la letteratura del suo tempo, mentre Poliziano sosteneva che le fonti avrebbero dovuto essere molteplici, così come il lavoro di un’ape non è indirizzato solo ad un fiore ma a molteplici piante per produrre il miele, che solo è suo; l’imitazione pertanto non andava dedicata soltanto ad un modello, come fanno le scimmie e i pappagalli, ma doveva essere ampliata a più esempi.
Sono, queste, convinzioni da Poliziano applicate e sviluppate in tutta la sua esperienza culturale sia poetica sia filologica e che dimostrano, fra l’altro, la sua forte semplificazione ed applicazione della retorica proprio rispetto alla filologia. Non mancarono specifiche polemiche, ad esempio con Michele Marullo, Iacopo Sannazaro, Francesco Pucci un suo allievo fiorentino poi trasferitosi a Napoli, Niccolò da Lonigo, Girolamo Avanzi, Bartolomeo Della Fonte e vari altri. Le polemiche apparivano un modo per affermare le proprie convinzioni ed il proprio metodo: e Poliziano non si distacca per niente da tutta la lunga tradizione con la quale era stato accompagnato il secolo dell’Umanesimo. Anzi, porta un contributo decisivo, legato e dipendente dalle sue interpretazioni, spesso fortemente innovative.
L’opera di Poliziano, comunque, trovò – al di là delle polemiche – immediatamente una circolazione che ne metteva in risalto la novità e l’originalità, spesso sinonimo di innovazione e di modernità. Una riprova di questa decisa evoluzione appare evidente fin dalla prima edizione delle opere complete (o quasi) di Poliziano apparsa nel 1498 a Venezia presso Aldo Manuzio e curata da Adolfo Sarti e Pietro Crinito, i quali ebbero il merito di diffondere la produzione di Poliziano ma agirono in un momento particolarmente difficile, anche per il cambiamento di governo a Firenze, da quello di Piero dei Medici a quello di Girolamo Savonarola. Questo fatto sicuramente ebbe riflesso anche nella pubblicazione degli scritti di Poliziano, del quale furono ignorati non solo i commentari agli autori classici da lui elaborati negli anni successivi al 1480, ma venne soppresso il Coniurationis commentarium (poi recuperato nella successiva edizione del 1553) evidentemente perché legato ad una vicenda che sembrava di difficile comprensione.
Nel 1553 uscì a Basilea presso Niccolò Episcopio, l’edizione più completa di Poliziano, poi riprodotta in ristampa anastatica a cura di Ida Maïer nel 1970-1971 distinta in tre volumi. Questa edizione e quella anteriormente ricordata del 1480 hanno consentito di conoscere l’opera di Poliziano nei suoi più profondi significati. Solo nel 1972 (presso le edizioni Alinari di Firenze) apparve l’edizione della seconda centuria dei Miscellanea – a lungo ritenuta perduta – per cura di Vittore Branca e di Manlio Pastore Stocchi, poi riprodotta come ‘editio minor’ nel 1978 (Firenze, Olschki): non era un’opera compiuta bensì in fase di elaborazione, ugualmente importante perché dimostrava il metodo di lavoro di Poliziano, di fatto una sua prosecuzione rispetto a quello della prima centuria per tanti aspetti più rilevante ed incisiva. Non sappiamo, però, se la seconda centuria, portata a compimento, avesse avuto una sua maggiore consistenza, almeno paragonabile con la precedente: è certo, comunque, che il metodo di lettura dei classici di Poliziano trovava una conferma autorevole pure in quest’opera.
Privilegiato ambito di studio di Poliziano furono – come si è già accennato – i commenti agli autori greci e latini, per i quali predispose numerose esegesi critiche. Quello che è indubbio è che, attraverso queste prove, viene spiegata e chiarita con sempre maggiore profondità l’impostazione filologica di Poliziano, rivolta non solo a dare una spiegazione, per così dire scolastica, dei testi, ma a fornire un insieme di notizie e di riferimenti che andavano ben oltre il commento del testo, sia pure analitico ed approfondito. Lo dimostrano, fra gli altri, i numerosi casi di approfondimento su singoli autori, quali, ad esempio, quelli su Omero (Iliade ed Odissea), Virgilio, Svetonio, Quintiliano, Ovidio, Aristotele, Cicerone ai quali Poliziano aveva dedicato corsi diversi negli anni del suo insegnamento e la cui ripresa ed approfondimento servivano a fornire un quadro sempre più documentato e verificato, cioè più attendibile, dell’autore e dell’opera in questione.
Ad eccezione dei commenti rimasti confinati in manoscritti e in zibaldoni – esistenti soprattutto a Parigi ed a Monaco di Baviera – occorre rilevare come Poliziano corredasse la lettura dei classici con un ricco materiale di note e di osservazioni, solo in parte ad oggi recuperato e conosciuto. Va rilevato, ad esempio, come la numerosa serie di collazioni e di discussioni di Poliziano su un autore specifico si distingua nel corso degli anni e per ulteriori approfondimenti ed analisi sempre più vagliate ed esaminate. Mi riferisco a situazioni ben precise, riscontrabili su stampe di autori classici da Poliziano studiate, in più riprese, quali l’edizioni di Catullo, Tibullo, Properzio e Stazio edita del 1472, quella di Quintiliano edita nel 1476, quelle di Svetonio edite nel 1470 e nel 1475, quella della Historia naturalis di Plinio edita nel 1473, quella degli «Scriptores rei rusticae» edita nel 1472, di Virgilio edita nel 1471, di Terenzio edita nel 1475. Sono un insieme di un materiale ricchissimo che si accompagna alle postille e note manoscritte di Poliziano riscontrabili su codici di autori diversi (alcuni già ricordati), come Stazio, Plinio, Teocrito, Lucano, Giustiniano, Simplicio, Porfirio, Celso, Atanasio, Galeno, Massimo Planude, Aristotele, Sinesio, Lucrezio.
È, questa, la dimostrazione specifica, caratteristica ed innovativa del metodo di lavoro di Poliziano, la cui capacità di lettura e di approfondimento non trova corrispondenza fra gli studiosi del suo tempo, da un lato per il numero enorme di interpretazioni e di valutazioni via via elaborate e dall’altro per il sistema di capillare e costante di perfezionamento che ha in lui l’espressione più alta e completa. Solo in parte Domizio Calderini, Bartolomeo Della Fonte e Cristoforo Landino, in qualche modo, possono avvicinarsi alla sua dottrina e quindi alla sua capacità critica ed ecdotica; ma rispetto ad essi la preparazione e la forza di Poliziano si distinguono in modo netto, profondamente irripetibile nello studio delle letterature classiche.
Come si è articolato l’impegno di Perosa su Poliziano?
Il primo studio di Alessandro Perosa su Poliziano risale al 1946: Febris: A Poetic Myth Created by Poliziano ed apparve sul «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes» come frutto di un lungo lavoro da lui effettuato mentre si trovava a Londra presso l’Istituto Warburg. Lo studio è una ricostruzione puntuale della leggenda poetica e mitologica di Febris, originata dalla malattia e dalla morte nel 1473 di Albiera degli Albizzi.
Perosa si era laureato a Pisa con Augusto Mancini nel 1932 in Letteratura greca su Pindaro e aveva orientato le sue prime pubblicazioni a tematiche connesse con gli argomenti studiati: è del 1932 una recensione (il suo articolo primo) ad un libro su Pindaro di Goffredo Coppola apparso l’anno precedente. Ma fino dal 1938, insieme agli studi su Pindaro e su altri autori e questioni di letteratura greca, Perosa incomincia ad occuparsi di questioni umanistiche con una iniziale Miscellanea umanistica a cui varie altre seguiranno fino al 1942.
Nel 1939 apparve l’edizione delle poesie latine di Cristoforo Landino, a cui seguirono nel 1943 quella degli epigrammi di Naldo Naldi, nel 1944 quella dei Carmina di Alessandro Braccesi, nel 1951 quella dei Carmina di Michele Marullo. Ad un momento assai lontano, cioè al 1970, risale l’edizione della Collatio Novi Testamenti di Lorenzo Valla con la quale Perosa portava un innovativo contributo su un’opera di eccezionale novità e vigore che veniva ora, per la prima volta, rigorosamente edito. Allo stesso modo, con due diversi studi del 1960 e del 1981 studiava e pubblicava a Londra presso l’Istituto Warburg lo Zibaldone di Giovanni Rucellai cimentandosi così su un’opera volgare, come raramente aveva fino ad allora fatto. Al 1965 risale la pubblicazione di testi di teatro nel volume, per tanti aspetti decisivo, Teatro umanistico, edito dalla Nuova Accademia, mentre ad una delle opere portanti del teatro, l’edizione del Paulus di Pietro Paolo Vergerio avrebbe dedicato un’edizione critica nel 1983.
Al 1952 risale il primo intervento di Perosa su Poliziano con una lunga recensione al volume di Anthos Ardizzoni su gli Epigrammi greci di Poliziano: non è certo un caso che vengano studiate le poesie greche, a dimostrazione dell’impegno di Perosa verso il Poliziano greco e latino, assai più che per quello volgare, come precisa base di scelta, certamente non discriminante ma indirizzata al settore più innovativo di Poliziano, e di certo meno studiato. Dopo gli studi di Giovan Battista Picotti, dei primi anni del Novecento, Perosa si collegava idealmente con l’impegno di Isidoro Del Lungo che, ancora nell’Ottocento, si era dedicato a Poliziano (come già si è detto), pubblicando sue prose e poesie e approfondendo la sua poesia e la sua personalità in Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite del 1867 e poi in Florentia. Uomini e cose del Quattrocento del 1897, entrambi apparsi a Firenze presso l’editore Barbera. Non erano certo questi gli unici studi su Poliziano ma erano senza dubbio fra quelli più qualificanti.
Nel 1954 – anno centenario della nascita di Poliziano, nato a Montepulciano il 14 luglio 1454 – uscirono ben quattro interventi di Perosa su Poliziano, ad iniziare dall’edizione della Sylva in scabiem un testo inedito in poesia latina, risalente forse al 1475, da Perosa studiato ed analizzato con una profonda capacità critica con la quale venivano messe in risalto principalmente la struttura e le fonti classiche, greche e soprattutto latine del breve testo nel quale sono trattati gli aspetti negativi determinati dalla scabbia. Ma è pure caratterizzato da una costante celebrazione di Lorenzo dei Medici che, con la sua presenza, poteva portare anche ad un’attenuazione dei dolori fisici.
Dopo edizione della Sylva in scabiem apparvero altri scritti di Perosa su Poliziano: su lettere del Poliziano al British Museum (frutto del soggiorno a Londra), su Politanus ludens, e gli studi sulla tradizione delle poesie latine. All’epistolario di Poliziano dedicò una parte dell’articolo sulla pubblicazione degli epistolari umanistici apparso nello stesso 1954. La minuta ricognizione sulla tradizione delle poesie latine si unisce a quella sui contributi e proposte per la pubblicazione delle opere latine di Poliziano presentata al convegno su Poliziano e il suo tempo organizzato a Firenze in occasione del centenario di Poliziano ma i cui atti vennero pubblicati solo nel 1957. Questi due articoli rappresentano un contributo metodologico altamente significativo anche in considerazione della sostanziale novità di studi intorno a Poliziano stesso.
In simile ottica si pone il contributo decisivo di Perosa alla mostra organizzata presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze nel 1954 per rendere omaggio a Poliziano, Mostra del Poliziano; nel catalogo venivano riuniti manoscritti, libri rari, autografi e documenti. La mostra si tenne a Firenze nella Biblioteca Medicea Laurenziana dal 23 settembre al 30 novembre 1954, ma il catalogo apparve all’inizio dell’anno successivo a centenario polizianeo ormai concluso. Il nome di Perosa risulta da un preciso riferimento della Direttrice della Biblioteca, Teresa Lodi, a conclusione della Premessa; il lavoro di Perosa è tutto suo, orientato, pur nella brevità delle schede, alla personalità complessiva di Poliziano ed allo studio anche di manoscritti provenienti da Parigi e da Monaco di Baviera. Era la prima volta che tali codici tornavano, sia pure in modo temporaneo, a Firenze, ed era la prima volta che a Poliziano veniva dedicata un’attenzione del genere, complessiva della sua produzione che avrebbe portato negli anni successivi ad ulteriori e straordinari approfondimenti in cui Perosa fu sempre coinvolto.
Sempre nel 1955 apparve a Verona l’edizione della Congiura dei Pazzi presso Mardersteig, poi ristampata nel 1958 dall’Editrice Antenore di Padova col sottotitolo Coniurationis commentarium. Il testo era preceduto da una Prefazione in cui Perosa spiegava le ragioni dell’apparizione di questo scritto di Poliziano, edito poco dopo la congiura in cui era stato ucciso Giuliano dei Medici e che aveva fatto correre un grave pericolo a Lorenzo stesso. Era il primo lavoro da Poliziano composto per la stampa per dare forza al regime mediceo di fronte ai tentativi di insurrezione interni a Firenze. Il commento analitico di Perosa accompagna il lettore illustrando le singole figure presenti ed i fatti narrati, analizzando le caratteristiche del lessico e della prosa ed indicando e ricostruendo le fonti classiche oltre che discutendo varianti del testo nel caso di doppia redazione.
Con l’insegnamento a Firenze (dal 1959), dopo un breve periodo a Cagliari (1955-1959), Perosa avviava una serie di pubblicazioni di commenti di Poliziano con un profondo scopo innovativo volto a mettere in risalto le capacità filologiche di Poliziano stesso e quindi, se ne fosse bisogno, la sua straordinaria cultura sulla letteratura classica, greca e latina. Apparvero allora il commento inedito all’epistola di Saffo a Faone di Ovidio a cura di Elisabetta Lazzeri nel 1971, alla commedia antica e all’Andria di Terenzio a cura di Rosetta Lattanzi Roselli nel 1973, alle Selve di Stazio a cura di Lucia Cesarini Martinelli nel 1978, alle Satire di Persio a cura di Lucia Cesarini Martinelli e di Roberto Ricciardi nel 1985. Veniva così a chiarirsi con estrema lucidità e con insolita novità – Perosa aveva assegnato pure vari altri testi di Poliziano come Tesi di laurea poi non pubblicati – il metodo di lavoro e di analisi di Poliziano finalmente analizzato attraverso concreti e precisi riferimenti. A questi aveva non poco contribuito Lucia Cesarini Martinelli (all’inizio Assistente poi continuatrice di Perosa nell’Università di Firenze) a partire da un saggio del 1968 sulla versione di Poliziano di un opuscolo di sant’Atanasio, primo di una sua lunga serie di studi su Poliziano riuniti nel 2016, ma non tutti, in Umanesimo e filologia a cura di Sebastiano Gentile. La stessa Cesarini Martinelli intervenne su «Rinascimento» (s. II, 1976) per correggere una serie di errori e di imprecisioni di Gianna Gardenal nella sua edizione Poliziano e Svetonio del 1975.
Al 1980 e al 1981 risalgono gli ultimi interventi di Perosa su Poliziano: il primo relativo a codici di Galeno postillati e dedicato ad una miscellanea in onore di un amico di tutta la sua vita, Paul Oskar Kristeller; il secondo riguardante un codice della Badia Fiorentina con postille di Poliziano, col quale, di fatto, si chiudeva la sua lunga collaborazione con «Rinascimento» iniziata nel 1939 quando la rivista si chiamava «La Rinascita».
Si può affermare che Poliziano è stato l’autore al quale Perosa ha rivolto le cure e gli interessi maggiori lungo tutta la sua esistenza di studioso e di docente, senza naturalmente trascurare Valla, con cui si era rivolto con un coinvolgimento singolare, forse non solo filologico, allo stesso modo di quello applicato, a partire dai primi anni Settanta, a Domizio Calderini, ritenuto centrale nel complessivo sviluppo dell’Umanesimo italiano.
Paolo Viti, Professore Emerito di Filologia medievale e umanistica nell’Università del Salento, ha studiato in particolare l’Umanesimo fiorentino e la cultura dell’età laurenziana, pubblicando edizioni di opere di teatro, di Filippo Redditi, il testo dei Processi di Girolamo Savonarola, di Leonardo Bruni, con studi monografici nei quali sono stati affrontati anche aspetti propri della lingua e del lessico delle opere. Con Stefano Pittaluga dirige la Collana «Teatro Umanistico e, con Claudio Griggio, la Rivista «Archivum mentis». È direttore delle Collane «Aquae» e «Studi e Testi»; fa parte del comitato di redazione di Riviste specialistiche. È Presidente della Commissione per l’Edizione Nazionale delle opere di Angelo Poliziano ed è membro di varie Commissioni. È stato Direttore del Dipartimento di Filologia, Linguistica e Letteratura dell’Università del Salento.