“Pratiche negoziali e reti di potere. Carmine Nicola Caracciolo tra Europa e America (1694-1725)” di Valentina Favarò

Prof.ssa Valentina Favarò, Lei è autrice del libro Pratiche negoziali e reti di potere. Carmine Nicola Caracciolo tra Europa e America (1694-1725) edito da Rubbettino: innanzitutto, chi era Carmine Nicola Caracciolo?
Pratiche negoziali e reti di potere. Carmine Nicola Caracciolo tra Europa e America (1694-1725), Valentina FavaròCarmine Nicola Caracciolo, V principe di Santobuono e Grande di Spagna, fu membro di una delle più importanti famiglie aristocratiche napoletane, una famiglia che nel corso del XVI e del XVII secolo riuscì a consolidare il proprio patrimonio feudale nelle terre d’Abruzzo e ad assumere un ruolo di primo piano nelle dinamiche politiche della Monarchia spagnola. Nacque a Bucchianico, vicino Chieti, il 5 luglio 1671 da Marino Caracciolo e di Giovanna Caracciolo di Torella e sposò nel 1694 Costanza Ruffo, figlia del duca di Bagnara. L’alleanza matrimoniale, orchestrata dal padre poco prima della morte, contribuì alla creazione di nuovi legami che consentirono a Carmine Nicola di rafforzare la rete relazionale della famiglia, che andava a sovrapporsi a quella già precedentemente intrecciata, sul piano fazionale, con altri importanti esponenti dell’aristocrazia regnicola. Tali rapporti, negli anni successivi, lo portarono a gravitare attorno alla corte del viceré don Luis de la Cerda, duca di Medinaceli, e a spostare gli interessi dapprima dalle terre d’Abruzzo alla capitale del regno di Napoli e poi al più ampio contesto della Monarchia spagnola.

Carmine Nicola Caracciolo fu attivamente partecipe del clima di cambiamento intellettuale e culturale che investì il Regno di Napoli nelle ultime decadi del XVII secolo. Nonostante avesse trascorso i primi anni della sua formazione lontano dalla capitale, la forte influenza della madre, Giovanna Caracciolo di Torella, costituì il terreno fertile sul quale si forgiò la sua sensibilità per le lettere. L’impegno culturale, tutt’altro che marginale, divenne uno strumento per tracciare nuovi percorsi politici al cospetto sia del viceré duca di Medinaceli sia di Carlo II. Fu così che alla fine del XVII secolo, per quanto non fosse stato ancora formalmente investito da incarichi politici, Carmine Nicola riuscì ad assumere una posizione di primo piano all’interno del più stretto entourage del Viceré e a individuare canali di comunicazione diretta sia con il sovrano di Spagna, sia con Luigi XIV, mostrandosi quale fedele servitore fedele alla causa borbonica.

Come si articolò il suo cursus honorum?
Il percorso politico del principe di Santobuono si dipanò negli anni della Guerra di Successione spagnola e risentì fortemente degli andamenti del conflitto, della continua ridefinizione degli equilibri e della necessità, tanto di Filippo d’Angiò quanto dell’Arciduca Carlo d’Asburgo, di trovare fidati interlocutori che potessero contribuire alla difesa e al rafforzamento delle rispettive posizioni.

Carmine Nicola Caracciolo instaurò un primo rapporto diretto con la nuova casata regnante attraverso la consorte del sovrano, Maria Luisa di Savoia, in occasione del viaggio che compì dal ducato Sabaudo a Nizza nel 1701. Infatti, il principe si imbarcò volontario su una delle sette galere del Regno di Napoli che formarono, assieme a quattro imbarcazioni francesi, il corteo di accompagnamento della regina. L’esito del viaggio si tradusse per Caracciolo, così come per altri esponenti dell’aristocrazia spagnola e italiana, nell’opportunità di godere del favore dei sovrani, manifestatosi attraverso l’attribuzione di nuove cariche, ovvero, per il principe, la nomina ad ambasciatore straordinario presso la Santa Sede.

Santobuono giunse a Roma nell’ottobre del 1701 e vi rimase fino alla fine di febbraio dell’anno successivo. Era un incarico di grandissimo prestigio, oneroso dal punto di vista finanziario, ma funzionale alla strategia di accreditamento agli occhi della nuova dinastia. Non è un caso, quindi, che l’impegno profuso da Caracciolo gli abbia garantito, nel giro di breve tempo, la nuova nomina ad ambasciatore a Venezia. In quel frangente la carica diplomatica presso la Serenissima assumeva una particolare valenza, sia perché il principe di Santobuono era, di fatto, uno dei pochi ministri affidabili di Filippo V nell’area settentrionale della penisola italiana, sia in considerazione del ruolo neutrale che la Repubblica aveva assunto nell’ampio contesto politico internazionale. Inoltre, è interessante sottolineare, per restituire la giusta complessità alla funzione svolta dal principe di Santobuono, quanto attraverso l’ambasciata gli sia stato possibile assumere il ruolo di crocevia di notizie e di informazioni che riguardavano l’alta politica e che dovevano essere maneggiate con estrema cautela. Non solo Caracciolo dimostrò di saper sfruttare reti e contatti che si diramavano dalla penisola italiana a quella iberica fino al cuore dell’impero e alle coste della penisola balcanica, ma seppe anche gestire le notizie e metterle a frutto per interessi personali e a sostegno della causa borbonica. Nella sua strategia i due livelli erano strettamente intrecciati.

Quando concluse il mandato di ambasciatore, nel 1711, Caracciolo non poté far rientro nel regno di Napoli, nel frattempo caduto nelle mani austriache, ma fu accolto a Madrid da Filippo V ed ebbe la possibilità di partecipare alla ridefinizione degli assetti della corte, soprattutto a seguito della morte di Maria Luisa di Savoia e dell’arrivo della nuova regina, Elisabetta Farnese, e del cardinale Giulio Alberoni. In questo nuovo contesto ricevette la nomina a viceré del Perù, che avrebbe aperto nuovi e ben più articolati scenari. La carica rivestita al di là dell’oceano costituì di fatto l’ultimo tassello del cursus honorum del principe di Santobuono. Un’esperienza complessa che lo costrinse a sperimentare linguaggi politici differenti e a ridefinire pratiche negoziali e equilibri fazionali, sia a livello locale, sia nei rapporti con la corte e con il sovrano.

Quale fase attraversò il regno di Napoli tra Carlo II d’Asburgo e Filippo V di Borbone?
Gli anni a cavallo tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo furono scanditi da profondi mutamenti a livello locale e internazionale. La nobiltà napoletana era pienamente partecipe delle trasformazioni culturali e istituzionali che nelle ultime decadi del Seicento investirono il vecchio continente e aveva maturato la consapevolezza di essere parte integrante di un sistema politico più ampio dal quale dipendevano gli equilibri del Regno e le sorti individuali e familiari.

Il dibattito sulla successione al trono, sorto a Madrid e articolatosi in ogni corte europea, aveva infatti alimentato incertezze che determinarono la formazione di nuovi schieramenti, i cui componenti erano portatori di interessi differenti e mutevolmente inclini a supportare soluzioni che garantissero loro l’acquisizione di nuovi privilegi o il rafforzamento di quelli antichi. In definitiva, in un quadro politico i cui confini erano definiti dalle grandi potenze, localmente i cambiamenti si manifestarono soprattutto attraverso la sperimentazione di nuove pratiche negoziali e nella ridefinizione dei rapporti di potere. E non bisogna credere che si trattasse di un fenomeno circoscritto in pochi anni: il dibattito sui presunti diritti alla successione spagnola dei vari contendenti aveva preso corpo già negli anni Ottanta, quando cominciarono a circolare numerose opere giuridiche sul tema e iniziarono a delinearsi possibili scenari e contrapposizioni fazionali. In questo processo, un ruolo di primo piano fu rivestito tanto dalla fazione filofrancese, componente essenziale delle vicende rivoluzionarie di metà Seicento, quanto dal nutrito numero di esponenti del ceto nobiliare napoletano che aveva stretto un legame con gli Asburgo d’Austria. Si trattava di un cospicuo numero di cadetti delle maggiori famiglie del Regno che, in occasione dei conflitti in Ungheria e nei Balcani, si erano arruolati al servizio di Leopoldo I, con il quale continuarono a mantenere un rapporto di fedeltà.

Questa polarizzazione, che allo scoppiare del conflitto successorio determinò la spaccatura fra coloro i quali sostennero l’ascesa al trono di Filippo d’Angiò e chi, invece, si adoperò per consentire alle truppe imperiali di occupare il Regno, non era solo il risultato di una interlocuzione delle élite napoletane con le due potenze europee, ossia la Francia e l’Austria, bensì il frutto di una attenzione più ampia al contesto europeo e mediterraneo.

In che modo le vicende del principe di Santobuono rappresentano un punto d’osservazione privilegiato riguardo le strategie familiari e fazionali nel quadro della Monarchia spagnola?
La biografia di Carmine Nicola Caracciolo costituisce un punto d’osservazione privilegiato per affrontare alcune questioni di rilievo in una fase di ridefinizione degli equilibri, quale fu, come si è detto, quella attraversata dalla Monarchia spagnola tra il regno di Carlo II d’Asburgo e Filippo V di Borbone: il dilemma della fedeltà di fronte al cambio dinastico sul trono spagnolo; le strategie adottate a livello familiare e fazionale per ottenere titoli e onori (dal Grandato di Spagna perpetuo al Toson d’oro); l’abilità nel costruire e rafforzare reti di potere capaci di sostenere ambizioni politiche (l’ambita nomina a viceré del Perù); la propensione per la costruzione di un cursus honorum transnazionale a scapito di un percorso interamente incentrato nella dimensione regnicola.

La parabola politica del principe di Santobuono non costituì di certo un unicum nel panorama della Monarchia spagnola di inizio Settecento, ma consente di mettere in luce alcuni aspetti che contribuiscono a comprendere meglio la struttura politica e l’esercizio del potere negli spazi iberici. Caracciolo, spostandosi dalle terre d’Abruzzo, a Roma, a Venezia, a Madrid, a Lima, ha dimostrato di saper di volta in volta creare delle reti relazionali locali e trasversali, adattandosi al contesto e individuando quali linguaggi dovessero essere adottati per interloquire con le élite politiche e sociali. In questo suo agire, il disagio di muoversi in una terra straniera rimane sottotraccia, come se ciò non costituisse un elemento dirimente o un ostacolo. Pur nelle difficoltà incontrate nel contesto peruviano, sorte soprattutto per una insufficiente conoscenza della complessità degli equilibri politici e sociali, il principe di Santobuono continuò a tracciare strategie finalizzate a legare insieme gli obiettivi relativi alla carriera con quelli personali, talvolta sovrapponendoli, tal altra sacrificando i primi a vantaggio dei secondi o viceversa. Ciò che emerge, e che appare particolarmente interessante, è la mutevolezza degli esiti, chiara espressione dell’interazione di una molteplicità di variabili, alcune delle quali del tutto estranee alla volontà dell’attore.

Come dimostra l’esperienza di Carmine Nicola Caracciolo, i percorsi politici individuali erano di volta in volta tracciati rispondendo a sollecitazioni esterne, adeguandosi a esiti di negoziazioni intavolate altrove, seguendo ascesa e disgrazia di chi aveva supportato e patrocinato il cursus honorum. Molteplicità di agenti, luoghi, reti, linguaggi che nel loro intreccio rivelano la natura policentrica della Monarchia spagnola, la cui essenza può essere compresa esclusivamente mediante la lettura comparata di quei fenomeni politici, economici e sociali che, seppur apparentemente indipendenti, con un’analisi più approfondita mostrano tutta la loro stretta correlazione.

Valentina Favarò è professore di Storia moderna presso l’Università di Palermo

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