
Il “feudalesimo” non sorge per imposizione arbitraria dall’alto o per un generico disegno astratto, bensì dal fluire stesso della vita, dall’incarnarsi e articolarsi dei principi informatori di un’epoca, dal solidificarsi di una consuetudine che tardi raggiunge la codificazione in testi scritti e tardi conosce la riflessione sistematica dei giuristi. Gli ordini cavallereschi, così come noi oggi li intendiamo, fecero la loro prima apparizione nel contesto delle attività militari dell’Europa occidentale contro le popolazioni e gli stati non cristiani. Potremmo dire che è con maggiore vigore e grande slancio d’entusiasmo che a partire dall’XI secolo si assistette ad una espansione aggressiva ai danni dell’Europa occidentale, che reagì con diversi conflitti contro le popolazioni non cristiane su due fronti: nei Loca Sancta e nella penisola iberica.
L’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire rappresenta l’ultima Sacra Militia: esiste, infatti, una corrispondenza funzionale ed organizzativa tra quelle prime “fraternite” che sorsero dopo l’anno Mille e l’istituzione medicea. Si pensi alla difesa della cristianità, alla presenza di un Priore ed alle gerarchie.
L’ordine militare è immerso nel diritto feudale, al punto che la commenda rappresenta la nuova forma di beneficio feudale. Anche nella seconda metà del XVI secolo in Toscana si assiste alla concessione della terra e all’instaurazione di un moderno feudo oblato ereditario, che nasceva così come l’istituto medievale.
Non mi è possibile tralasciare poi un elemento essenziale del beneficio/commenda: l’indivisibilità, salvo deroghe a seguito dell’approvazione gran magisteriale. Il modello di signoria rurale commendale toscano, subordinato all’appartenenza all’Ordine di Santo Stefano, sarà una costante sino alla seconda metà dell’Ottocento.
Fondatore dell’Ordine di Santo Stefano Papa e Martire fu Pio IV, che affidò a Cosimo I de’ Medici, Signore di Firenze dal 1537, la reggenza del Gran Magistero.
Il 1° ottobre 1561 Pio IV emanò il breve Dilecte fili con cui costituiva l’Ordine a lode di Dio, per la gloria e la difesa della Chiesa Cattolica, per la custodia e tutela del Mediterraneo dagli Infedeli e si dichiarava il sovrano del Granducato di Toscana Gran Maestro della Religione unitamente ai suoi successori. Con la successiva bolla His quae Pio IV confermò l’Ordine ed approvò gli Statuti, conferendo al Gran Maestro la facoltà di ampliarli e modificarli.
La regola dell’ordine stefaniano deriva dal modello dell’Ordine Gerosolimitano di San Giovanni Battista (Ordine di Malta) che impiegava – dal punto di vista religioso – la Regula Benedicti, così come gli Ordini di Calatrava e di Cristo in Portogallo.
Il principe cittadino riuscì a consolidare il potere nelle sue mani e a divenire sovrano di uno Stato regionale attraverso la riorganizzazione dell’amministrazione e l’affidamento dei diversi uffici a vari burocrati, specialisti in ogni campo.
In che modo la nascita dell’Ordine si inserisce nella politica di Cosimo I de’ Medici tesa alla creazione di uno Stato su base regionale?
La Toscana cinquecentesca si presentava come primo esempio di uno Stato moderno. La creazione di un Ordine equestre, sacro, militare e marittimo fu uno degli strumenti più efficaci per formare una nuova classe dominante fedele alla dinastia e per promuovere gli obiettivi di politica estera che il Granduca si era prefissato.
In “Porrona e la sua Commenda” il lettore ha modo di “scoprire” che Cosimo I de’ Medici instaurò una politica tesa alla creazione di nuove formule statutarie che determinarono il consolidamento di uno Stato su base regionale ed il sorgere di una Religione. Indispensabile fu l’attività della segreteria cosimiana, che si accingeva a trasformare il volto di una Regione in un’ottica di rinnovamento politico, attraverso la modifica del modello rappresentato dall’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme.
Quest’artificio produsse il Granducato di Toscana che poggiava su di una nuova istituzione cavalleresca: il Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire.
L’Ordine stefaniano intensificò la creazione di nuovi cantieri e scuole nautiche, ponendo in essere una politica saggia di equilibrio che guardava all’antico spirito di Lorenzo il Magnifico e che poteva, grazie ai Cavalieri di Santo Stefano, instaurare una feconda rinascita del regno toscano trasformato – con la conquista dei potentati senesi – in un moderno Granducato attento ai commerci marittimi.
Quale funzione rivestiva la commenda dell’Ordine stefaniano per la creazione di un nuovo tipo di titolarità reale?
Quello che è possibile notare nel corso dei secoli che seguirono all’atto generativo del Sommo Pontefice Pio IV con cui concesse in perpetuum il titolo di serenissimo Gran Maestro al signore della Toscana, è certamente una confusione a livello tecnico-giuridico fra la sovranità e la proprietà.
Il Granducato si evolse in un congegno politico complesso, che potremmo definire misto, poiché unificava due poteri: quello militare e quello civile, in grado di prestare un servizio pubblico e di elargire dignità civili.
L’utilizzo beneficiale della commenda nell’ambito dell’Ordine di Santo Stefano è indubbiamente un meccanismo negoziale che consentì, a livello economico e giuridico, il sorgere di una nobiltà civile di tipo venale, determinando la nobilitazione giuspadronale della nuova recluta, che disponeva di una commenda data alla Sacra Militia per perseguire le finalità della Religione stefaniana. La commenda di padronato diventò – da mero strumento di conservazione del patrimonio ecclesiastico – uno mezzo accrescitivo di patrimonio, che consisteva in un modo tipico d’acquisto di proprietà da parte del fisco granducale.
Nell’ambito dell’Ordine di Santo Stefano la commenda era – con la sua atipica commenda di Padronato – un istituto simile al fedecommesso, talvolta ad esso collegato.
La commenda, in questa anomala ed unica assegnazione, precipua del regno toscano, entro gli estremi delineati e apparentemente contraddittori – poiché violavano la proprietà del neofita e lo investivano di una nobiltà minore – consentì al sovrano un aumento di rendite e di fedelissimi.
Emergono, infatti, elementi tutt’altro che casuali, che tenevano conto di un negozio bilaterale – di diritto pubblico – in cui lo status nobiliare veniva ceduto ex nutu dal serenissimo Gran Maestro e Principe. Questi assegnava onorificenze, ma soprattutto contribuiva a retribuire il servizio reso dal cavaliere mediante il conferimento commendatario, con uno stipendium dignitatis disciplinato dagli Statuti. Questi ultimi costituirono la premessa di diritto positivo per la creazione di un nuovo tipo di titolarità reale.
Dall’analisi degli Statuti e delle controverse interpretazioni giuridiche coeve e successive alla stesura cosimiana, emerge l’istituto commendale stefaniano e la sua essenza, in limine fra diritto feudale e diritto civile, diritto canonico e diritto statutario.
Si tratta, infatti, di una “novità antica” che porta con sé la saggezza e il mistero di un’epoca certamente passata, il medioevo, e fa tesoro di un modello di leadership vincente, capace di consolidare l’identità politica del popolo toscano: il sistema commendale voluto da Cosimo I de’ Medici, infatti, costituì in Toscana la forma di “gestione della terra” fino all’unità d’Italia.
In che modo l’Ordine contribuì alla creazione di un sistema fondato su una nuova classe dirigente?
Molto significative furono le ripercussioni politiche e sociali nella Toscana cinquecentesca che riuscì a beneficiare di una proficua entente fra la Curia Pontificia e la cultura politica dei Medici. Cosimo fu in primis un ponte fra l’istituzione civile e la religione: egli riuscì a costituire uno Stato moderno non disdegnando anche la creazione di una Sacra Militia – l’Ordine di Santo Stefano – che divenne strumento di assegnazione nobiliare e di costituzione di una nuova classe dirigente.
Indispensabile fu la fortunosa sinergia con giovani funzionari che acquistarono sempre più spazio rispetto all’aristocrazia fiorentina. Il giovane duca volle avvalersi della collaborazione del giurista marchigiano Lelio Torelli, che divenne suo fidato consigliere e segretario personale.
La maggior parte dei collaboratori del Principe non proveniva dall’ambiente gentilizio delle più antiche famiglie, ma da un nuovo corpo costituito da giovani del contado fiorentino e del nuovo dominio.
Si pensi a Bartolomeo Concini, segretario del vir novus sin dagli albori, per esempio, è di umili origini contadine; proviene dai ruoli notarili e diverrà il politico più vicino a Cosimo I, operando in maniera spregiudicata e con grande competenza tecnica alla costituzione di una nuova istituzione territoriale principesca – il Granducato – con una molteplicità di istituzioni, come i collegi giurisdizionali.
Il Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire segnò un passaggio epocale nella costituzione di un’alternativa all’antica nobiltà: la regola d’accesso ad un ordine cavalleresco prevedeva la prova dei quattro quarti di nobiltà e dunque un primato politico/economico che abbracciasse almeno gli ultimi duecento anni.
La Militia Stefaniana era la sola istituzione granducale che sino al 1750, allorquando vennero emanate le Leggi sulla nobiltà e cittadinanza, era in grado di conferire la qualifica nobiliare a qualsivoglia cittadino toscano.
Dal XVI alla metà del XVIII secolo essa rappresentò l’unico organismo che, conferendo il titolo cavalleresco, riconosceva contemporaneamente la nobiltà dell’investito: il Granduca non poteva rilasciare le cosiddette “patenti di nobiltà”, ma – verificati i quarti di nobiltà – poteva conferire l’abito dell’Ordine di Santo Stefano.
Caratteristica precipua della Militia stefaniana fu quella di poter investire anche coloro che fossero stati in grado di concedere la fondazione di una commenda di patronato familiare. L’ostacolo delle prove di nobiltà poteva essere superato vincolando beni immobili o mobili all’Ordine di cui si potevano percepire i frutti e che sarebbero rimasti in possesso della famiglia, sino all’eventuale estinzione. Fu questa la chiave di volta della fortuna, così inspiegata, per l’Ordine di Santo Stefano e tramite questo escamotage si dischiusero per molte famiglie che non avrebbero potuto vantare una simile nobiltà le porte del gota dell’aristocrazia.
Il grado di Miles assurgeva a nuova dignitas elargita a seguito di un procedimento, preceduto da una supplica. Il Magnus Dux Etruriae, rifacendosi al diritto feudale, concedeva la commenda quale serenissimo Gran Maestro ed esempio concreto fu la Commenda di Porrona.
Il feudo, in questa particolare accezione di dignitas che si potrebbe definire cavalleresca, era lo strumento giuridico previsto dalle disposizioni statutarie della Sacra Militia al fine di incrementare il numero dei nuovi fedelissimi, prodi cavalieri, pronti a giurare fedeltà al proprio Magnus Magister.
Lo status nobiliare veniva dispensato da quest’ultimo, che poteva quindi disporre di stretti collaboratori pronti a difendere il Granducato dagli invasori, dagli assalitori e dai nemici.
Il sovrano e Gran Maestro, seguendo un modello di diritto patrio feudale, dispensava benefici ai cavalieri che avrebbero rappresentato l’unità del Granducato. In controtendenza rispetto ad altri Stati vicini, non si affidò ai nobili, creando un sistema fondato su una nuova classe dirigente.
Francesco Ansaldi, insigne giurista samminiatese nei suoi “Consilia sive responsa” lungamente analizzati nel corso dell’Opera, usò metafore barocche per esprimere l’irrompere di questa politica nuova, sino ad asserire che Pio IV avrebbe introdotto in Toscana l’istituto feudale attraverso quello cavalleresco nella seconda metà del Cinquecento «ad bellum, principali et unico proposito, contro Turcas» e che i rimedi militari introdotti erano «ut Pyrrho aemularentur, qui adversus Romanos pugnans primos in Italiam elephantes de Epiro conduxit».
Cosimo, così come Pirro portò gli elefanti, introdusse due sorprese: il feudo e l’Ordine di Santo Stefano. Lo choc suscitato sconcertò gli animi con una novità istituzionale davvero cocente.
Chiara Benedetta Rita Varisco, laureata in Storia del Diritto Medievale e Moderno presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, svolge attività di ricerca in ambito storico giuridico, con particolare interesse riguardo all’evoluzione delle obbligazioni e dei contratti (patrimoni dedicati, commenda e trust), gli Ordini Militari e Cavallereschi, la metodologia della ricerca storica. Presso un primario player finanziario ha ricoperto la funzione di Responsabile dello sviluppo e delle Relazioni Istituzionali con Investitori, Imprese e Tribunali. Da oltre dieci anni si occupa di comunicazione, presidio dei rischi reputazionali, audit interno, asset e judicial management. È autrice di Le Commende Stefaniane. Riflessioni storico-giuridiche a 450 anni dalla costituzione del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire (Effigi, 2012); Nel Mio Nome. Piccola enciclopedia degli Ordini Dinastici della Imperiale e Reale Casa degli Asburgo Lorena di Toscana, (Edizioni Effigi, 2015); Tu es Petra, (Edizioni Effigi, 2015); La Costituzione Italiana a 70 anni dalla sua emanazione (Edizioni Effigi, 2018); Porrona e la sua commenda, (Edizioni Effigi, 2018); e dei testi poetici Tracce (2001) e Duc in altum (2011).