
Le risposte che vi do si rifanno appunto al volume da lei citato, al quale rinvio per una trattazione più estesa. Volta per volta citerò il capitolo pertinente. Gli elementi costitutivi di una politica pubblica, secondo l’impostazione proposta nel cap. 1, sono gli obiettivi ufficiali, i mezzi, le teorie, il riferimento all’interesse generale, la possibilità di ricorrere alla coercizione legittima. Il primo elemento e l’ultimo sono sempre presenti.
Oltre agli obiettivi ufficiali vanno considerati gli scopi non dichiarati.
I mezzi non sono soltanto la dotazione finanziaria, quanto anche – ad esempio – le sanzioni, le modalità organizzative, la persuasione. Possono darsi misure sprovviste di mezzi, che come tali difficilmente raggiungeranno i loro obiettivi ufficiali, ma vengono comunque messe in campo.
Le teorie sono le spiegazioni causali dei problemi oggetto di intervento, che dovrebbero guidare la scelta dei mezzi più adeguati. Non sempre nelle politiche pubbliche entrano in gioco teorie basate sul metodo scientifico. Anche teorie parziali e/o dettate da interessi specifici e/o fondate su presupposti indimostrabili quando non senz’altro falsi possono avere un peso.
Si riscontrano poi, talvolta, politiche dettate da interessi particolaristici.
La possibilità di far ricorso alla coercizione legittima è un tratto distintivo delle politiche che fanno capo ad autorità pubbliche.
Chi sono i partecipanti al policy process?
Sempre nel cap. 1 si menzionano i partecipanti ufficialmente dotati di un potere decisionale, come i ministri competenti che presentano un disegno di legge o i parlamentari che lo discutono e prendono decisioni su di esso. Vi sono poi altri soggetti che potrebbero non detenere una posizione formalmente prevista, eppure avere comunque un influsso significativo sui processi decisionali (anche quando si impegnano per bloccarli o per stravolgere il contenuto delle proposte sul tappeto). Si pensi a gruppi di pressione, organizzazioni di interessi, movimenti sociali, specialisti, studiosi, e così via. Molto dipende anche da ciò che fanno i componenti degli apparati ministeriali, altre istituzioni pubbliche non rappresentative, i livelli sovranazionali o internazionali, i paesi stranieri. Può talora accadere che un partecipante formalmente dotato di un ruolo decisorio (ad esempio un parlamentare che in aula vota secondo disciplina di partito avendo un’idea sommaria del provvedimento) in concreto non eserciti un’influenza considerevole. Viceversa, un soggetto formalmente esterno al circuito decisionale potrebbe in taluni casi esplicarne una significativa. Ad esempio, un opinion leader o una personalità comunque dotata di autorevolezza che solleva un problema e/o suggerisce una soluzione potrebbe smuovere le acque, influire sulle opzioni di intervento e così via.
In cosa consiste il policy cycle?
Come illustrato nel cap. 2 (di Punzo), il ciclo di vita di una politica pubblica è uno schema concettuale che può essere usato per ordinare le nostre conoscenze sulle politiche pubbliche. Una possibile suddivisione consta di cinque fasi: agenda setting, formulazione, decisione di adozione, implementazione, apprendimento con eventuale valutazione ex post. Nella prima fase il problema viene ritenuto rilevante e riceve attenzione da parte dei decisori formali. Non è detto che un problema intrinsecamente grave venga affrontato subito e seriamente, così come non è detto che i problemi che vengono effettivamente presi in carico siano quelli più importanti. Ecco perché vanno studiate le dinamiche di costruzione dell’agenda.
Nella seconda fase viene specificato l’intervento che il policy-maker intende portare avanti. Ciò può avvenire in modo più o meno approfondito e metodologicamente corretto, oppure in forma sbrigativa e impropria.
Per dar conto della terza fase si studiano per lo più i decisori formali, le loro logiche d’azione, interazioni, alleanze, conflittualità, capacità di veto.
La quarta fase riguarda i molteplici attori che possono ritardare, ostacolare, deviare ovvero portare a compimento una scelta di policy.
La quinta, infine, concerne le opinioni sugli effetti che la misura ha o non ha prodotto, i quali potrebbero anche essere esaminati tramite valutazioni metodologicamente attrezzate (ma non è facile che ciò avvenga).
Come si strutturano la domanda e l’offerta di politiche pubbliche?
La domanda di politiche pubbliche (trattata nel cap. 3) fa capo ad attori sociali individuali e collettivi. Vanno quindi studiate le motivazioni dei singoli (che non sempre sono auto-interessate), le differenze o divergenze tra essi, gli ostacoli e gli incentivi alla realizzazione di un’azione condivisa, le caratteristiche degli attori collettivi, la solidità della loro organizzazione, le strategie dei loro leader, le modalità e le tecnologie a disposizione. L’offerta ha a che fare con i settori (ad es. sanità, sviluppo economico, welfare, lavoro etc.), con vari tipi di politiche come classificati dalla disciplina, nonché con le opzioni di policy. Queste servono ad aggredire il problema cercando di risolverlo. Alcune opzioni (come l’imposizione di una condotta per ragioni sanitarie) possono essere espressamente coercitive o comunque intrusive, mentre altre esibiscono gradazioni via via minori di invasività. Nella vasta gamma di opzioni disponibili la scelta è dettata da varie considerazioni, tra cui di volta in volta il desiderio di ottenere un alto grado di ottemperanza quando ci sono beni essenziali in gioco, il tentativo di evitare oneri eccessivi, la ricerca del consenso, e così via. È anche possibile realizzare un mix tra alcune delle varie opzioni astrattamente disponibili.
Come si esprime la valutazione ex ante nella formulazione delle politiche pubbliche?
La valutazione ex ante (VEA, cap. 8, con Espa) dovrebbe seguire un percorso strutturato e considerare gli obiettivi (ponendo tra l’altro al decisore politico il problema della loro specificazione e traduzione in termini operativi), la situazione esistente (tenendo conto anche di variazioni tra territori, gruppi sociali, categorie di imprese etc.), le opzioni rilevanti (considerando anche la loro fattibilità), l’insieme degli effetti (diretti e indiretti) che ciascuna opzione presumibilmente produrrebbe se venisse prescelta. Nella VEA è cruciale la consultazione dei vari portatori di interesse con modalità metodologicamente rigorose e praticabili, unitamente alla considerazione dei bisogni essenziali rilevanti (anche quando mancano gruppi sociali che ne chiedano la tutela). I problemi e le tecniche riguardanti la consultazione sono oggetto del cap. 6 (con Frazzica). È altresì essenziale applicare in modo difendibile e trasparente appropriate metodiche economiche di comparazione tra i vantaggi e gli svantaggi che deriverebbero delle varie opzioni, così da poter individuare e suggerire l’opzione di intervento preferibile.
In che modo si procede alla valutazione in itinere
Come si spiega nel cap. 9 (di Espa e Frazzica), la valutazione in itinere (VI) va anzitutto distinta dal monitoraggio. Questo serve a dar conto di come stannp concretamente procedendo i vari passaggi dell’attuazione di un dato intervento, fornendo in chiave descrittiva una serie di informazioni. La VI, invece, per definizione è appunto valutativa. Dunque, pur non potendo avere la portata della valutazione ex post (VEP), la VI è volta a individuare quanto prima possibile, durante l’implementazione, la presenza di rallentamenti, resistenze, criticità, imprevisti, soluzioni che sono state mal congegnate ex ante, necessità di aggiustamenti o altri aspetti problematici sui quali si può intervenire a seconda dei casi per sbloccare, rettificare, in genere migliorare l’implementazione medesima. La VI, pertanto, si nutre del monitoraggio (nelle varie forme e ambiti di applicazione di questo) al fine di indicare, ove opportuno, interventi correttivi (quali sveltimento di spese, allocazione di fondi aggiuntivi, reclutamento o formazione di risorse umane, etc.) da realizzare entro il quadro delle norme e dei vincoli dati.
Quali sono metodi e strumenti della valutazione ex post?
La VEP (di cui al cap. 10, con Notarstefano ed Espa) ha in linea di principio più tempo a diposizione rispetto alla VEA, visto che la seconda dipende da scadenze attinenti ai lavori parlamentari, alla contabilità pubblica, all’agenda dell’esecutivo e così via. D’altro canto, la VEP ha anch’essa tempistiche e risorse limitate, dev’essere realistica, tenere conto di tutti gli effetti prodotti dal provvedimento (non solo quelli auspicati), riferirsi agli obiettivi ufficiali. Come si spiega nel cap. 5 (con Frazzica), in tutte le forme di valutazione è essenziale la spiegazione causale, che si può costruire in base a diversi approcci. Un tipico problema da non trascurare è quello del c.d. controfattuale: che cosa sarebbe successo se l’intervento che valutiamo non fosse stato adottato? È una domanda da porre sia quando i risultati voluti sono mancati, sia quando ci troviamo di fronte a un apparente successo. Infatti, gli andamenti osservabili potrebbero essere stati influenzati, nell’un caso come nell’altro, da fattori ulteriori rispetto al nostro intervento. A seconda delle caratteristiche della situazione, della disponibilità dei dati e della fattibilità concreta, si può far ricorso a varie metodiche, a partire dai disegni sperimentali in senso stretto (raramente applicabili), per arrivare all’abbinamento statistico, alla discontinuità rispetto a una soglia e ad altro ancora. Dalla VEP potrebbero scaturire la proposta di una riforma più o meno radicale della policy esaminata.
Come si misura l’impatto sociale delle politiche pubbliche?
La valutazione di impatto sociale (VIS) a che fare con gli effetti specificamente attinenti ai vari gruppi sociali presenti nelle comunità locali, all’effettivo godimento dei loro diritti, al benessere e allo sviluppo umano (il quale oltre che del PIL pro capite tiene conto anche di variabili quali la salute e l’istruzione), alla partecipazione, alla qualità ambientale, alla sostenibilità. Il cap. 13 (di Di Maggio e Notarstefano) mostra come anche nella VIS siano necessari il ragionamento causale e il rigore metodologico, con una particolare attenzione ad aspetti quali quelli appena citati, unitamente allo sforzo di coinvolgere i soggetti interessati e in particolare quelli che fanno parte delle comunità su cui ricadrebbero le varie conseguenze, positive e negative, dell’intervento. Lo sforzo di mettere a fuoco tutto ciò guiderà la scelta degli indicatori e delle tecniche di indagine nonché la programmazione delle attività valutative, privilegiando la partecipazione dei soggetti sociali e la considerazione dei risultati nel loro insieme.
Come si struttura la policy evaluation negli altri paesi?
Nel cap. 14 (di Scaglione) vengono presentati alcuni dei casi in cui la policy evaluation viene presa sul serio, il che, nelle best practices, è dimostrato dall’investimento di risorse adeguate, dalla creazione di istituzioni dedicate dotate di competenze significative, dalla considerazione e del prestigio di cui queste godono (tanto nelle cerchie degli addetti ai lavori quanto presso l’opinione pubblica), dall’effettiva incidenza delle valutazioni che producono sulle scelte di policy. Si parla di USA, Canada, Nuova Zelanda, Messico e tanti altri paesi ancora. Ad esempio, negli USA troviamo sia il Government Accountability Office (GAO), che ha lo status di organismo indipendente presso il Congresso e valuta le politiche federali avvalendosi di migliaia di analysts, sia l’Office for Information and Regulatory Affairs (OIRA), che invece si esprime sulle decisioni delle autorità di regolazione. In Messico uno degli interventi di lotta alla povertà più importanti e imitati al mondo (Progresa-Oportunidades-Prospera) è stato formulato e difeso anche attraverso un robusto impiego della valutazione.
Antonio La Spina è professore ordinario di Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale alla Luiss «Guido Carli» di Roma. Fra le sue pubblicazioni: Lo Stato regolatore (con G. Majone, 2000), La politica per il Mezzogiorno (2003), Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno (2005), Le autorità indipendenti (con S. Cavatorto, 2008), I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia (2008), Il mondo di mezzo. Mafie e antimafie (2016).