“Polemone di Ilio e la Grecia. Testimonianze e frammenti di periegesi antiquaria” di Roberto Capel Badino

Prof. Roberto Capel Badino, Lei è autore del libro Polemone di Ilio e la Grecia. Testimonianze e frammenti di periegesi antiquaria pubblicato da Ledizioni: innanzitutto, chi era Polemone di Ilio e qual è la sua importanza come studioso e scrittore?
Polemone di Ilio e la Grecia. Testimonianze e frammenti di periegesi antiquaria, Roberto Capel BadinoLa prima parte introduttiva del mio studio è dedicata alle testimonianze sulla vita di Polemone di Ilio, che per la prima volta sono da me raccolte e pubblicate. Si tratta in realtà di un insieme veramente esiguo di informazioni. La testimonianza più importante è la biografia trasmessa dal lessico di Suida, che ci dà alcune notizie sulla cronologia dell’autore, la sua origine, la sua famiglia, la formazione, oltre a un catalogo di opere. Purtroppo però le informazioni biografiche conservate da Suida risultano problematiche, talora del tutto scorrette o in contraddizione con quanto sappiamo da altre fonti.

Di sicuro possiamo dire che Polemone visse fra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. e che la sua città natale era Ilio, la città ellenistica sorta sul sito dell’antica Troia omerica, alla quale lo stesso Polemone dedicò una Periegesi, cioè una descrizione. Sulla base di questi dati è stato possibile, fin dalla scoperta nell’800, identificare nel nostro autore il Polemone di Ilio che appare citato in un decreto onorifico della città di Delfi, databile con precisione all’anno 177/76 a.C. L’informazione è molto significativa, perché si inquadra con altre testimonianze contraddittorie sulla cittadinanza di Polemone: Plutarco lo dice ateniese, ma Eraclide di Mopsuestia afferma che altri autori attribuivano a Polemone la cittadinanza di molte altre poleis. È forse possibile sanare l’apparente inconciliabilità delle diverse patrie attribuite all’autore se si pensa che le diverse cittadinanze di cui egli si poteva fregiare e con cui si poteva ‘firmare’ derivavano da onorificenze simili a quella tributata dai Delfi. Questo permette di vedere in Polemone, cittadino onorario di Atene, Sicione, Samotracia, ecc., un personaggio che godeva di una vasta reputazione, un viaggiatore per svariati luoghi della Grecia e del Mediterraneo ellenistico, cosa che gli valse il soprannome di Periegeta. E della propria esperienza di viaggio Polemone trae la materia di ricerca e di studio esposta nelle sue opere.

L’attività di studioso e di viaggiatore di Polemone però non deve essere letta come un’avventura romantica, ma sullo sfondo dei cambiamenti storici in corso nell’epoca a cavallo fra III e II sec. a.C., quando nel Mediterraneo orientale emerge la potenza del regno di Pergamo, che insegue un disegno egemonico sulla Grecia e tenta di affermare attraverso il prestigio culturale (si pensi a un’istituzione come la biblioteca) la legittimità del proprio dominio, mentre da Occidente sorge una nuova potenza, quella romana, che pure giocherà una partita importante di competizione e assimilazione con la tradizione culturale greca. È un’epoca affascinante, perché noi sappiamo che infine Roma prevarrà, ma, nell’epoca dei sovrani Attalidi e di Polemone, tutto è ancora indeciso. Credo che letta su questo scenario storico, una figura di erudito pure evanescente come quella di Polemone possa risultare di grande interesse.

Di quali opere fu autore Polemone di Ilio?
Il catalogo delle sue opere, come ci è trasmesso da Suida e come può essere ricostruito dai titoli che sono tramandati insieme alle sue citazioni, è vastissimo. Nessuna delle opere di Polemone ha carattere letterario. I titoli mostrano il prevalere dell’interesse antiquario. Scrisse trattati come descrizioni di città e monumenti della Grecia, dell’Asia, o di altri luoghi più lontani o insoliti. Si pensi che un trattato è dedicato addirittura a Cartagine. Questo è il tipo di scrittura che chiamiamo periegetica. A fianco di questo interesse per i luoghi e i monumenti d’arte, c’è quello per l’altro, il diverso, il meraviglioso: Polemone, come altri autori dell’età ellenistica (per esempio Filostefano di Cirene) fu autore di trattati cosiddetti paradossografici, cioè raccolte di mirabilia: sorgenti miracolose, fenomeni straordinari, costumi insoliti, ecc. Questi sono i due campi che mi hanno fatto avvicinare a Polemone dal tempo in cui lavoravo all’edizione dei frammenti di Filostefano di Cirene, un autore più antico di trattati di storia locale (che raccolgono per lo più tradizioni mitiche) e di paradossografia, che era stato oggetto della mia tesi di dottorato all’Università Statale di Milano e che poi è stata pubblicata nella collana di ateneo, Il Filarete.

Ma Polemone è autore dagli interessi vari. Un altro settore nel quale si è cimentato è quello degli scritti polemici. Alcuni titoli ci sono giunti nella forma πρὸς δεῖνα, contro qualcuno. Si trattava di testi in risposta a opere di altri autori eruditi dell’Εllenismo. Interessante il caso della polemica rivolta contro Adeo e Antigono, due autori che scrissero di arte (rispettivamente sul disegno e sulla scultura). Al di là della pedanteria nel correggere presunti errori dei suoi predecessori, l’opera dimostra l’interesse di Polemone per l’oggetto d’arte, per le tecniche artistiche, per problemi di autenticità delle opere e per le figure degli artisti. Vediamo sorgere un dibattito intorno al patrimonio culturale e alla valorizzazione dei beni artistici delle città greche.

Un altro autore con cui Polemone intrecciò una polemica è Eratostene, il ben più celebre bibliotecario di Alessandria (che apparteneva a una generazione più antica). Anche se non ne siamo del tutto certi, l’oggetto del contendere doveva riguardare un testo di Eratostene dedicato alle antichità di Atene e dell’Attica. Polemone entra così, anche se di traverso, nella tradizione dell’attidografia, ma la cosa che colpisce maggiormente è il tono della contesa: Polemone, rimproverando a Eratostene talune sviste, lo accusava di non essere mai stato in Attica, mentre al contrario per lui fondamento della ricerca doveva essere l’autopsia, la testimonianza diretta, la consultazione in prima persona dei documenti. La polemica da un lato è indicativa della contrapposizione fra la cultura libresca tipicamente alessandrina e la nascente tradizione culturale pergamena, dall’altro risulta rappresentativa di un aspetto caratteristico della personalità di Polemone come studioso: l’attezione quasi maniacale alle epigrafi. Fu in qualche modo un precursore dell’epigrafia, cioè lo studio dei documenti su pietra, tanto che già nell’antichità era chiamato scherzosamente στηλοκόπας, un epiteto che non capiamo con precisione, ma che rinviava in modo spiritoso all’attenzione rivolta da Polemone alle stele, cioè alle epigrafi. Polemone è stato poi autore di trattati eruditi su argomenti disparati, talora in forma di lettera, dei quali si è conservato pochissimo, ma che permettono di riconoscere la vastità dei suoi interessi e della sua cultura e di riconoscere una sorta di rete culturale del medio Ellenismo. Uno di questi trattati è rivolto a un personaggio di nome Attalo: forse uno dei sovrani pergameni che portarono questo nome? Se così fosse, sarebbe un indizio delle alte frequentazioni di Polemone, ma più probabilmente doveva trattarsi di un omonimo erudito, di cui si è persa traccia più precisa.

Cosa si conserva di Polemone?
Dell’opera di Polemone non si conserva nulla in forma completa. Nessun suo trattato è giunto a noi per via diretta, né attraverso la tradizione medievale né su papiro. La nostra conoscenza dell’autore è frammentaria e indiretta, mediata dalle citazioni che altri autori fanno di passi della sua opera. Le menzioni di Polemone sono piuttosto numerose, tanto che si tramandano un centinaio di frammenti, raccolti per la prima volta da Ludwig Preller nel 1838. Quasi nessuna citazione è letterale, quasi nessuna cioè riporta fedelmente le parole di Polemone. A un autore come lui non si faceva riferimento per la lingua o per la forma, poiché non è un autore letterario. Invece si rimanda a lui come autorità, come testimone autorevole di informazioni. Plutarco ci fornisce il giudizio più positivo intorno a Polemone: parlando di Delfi, afferma che i trattati dedicati da Polemone alla descrizione del santuario e dei suoi donari sono una lettura imprescindibile per chi voglia approfondire la conoscenza delle antichità delfiche. Fra i trasmissori di frammenti di Polemone, oltre al già citato Plutarco, troviamo autori vari, dall’età imperiale fino all’epoca bizantina, per lo più eruditi, lessicografi, commentatori di opere letterarie, scolii, Qualche citazione è messa in campo per dipanare questioni cronologiche, filologiche o biografiche. L’autore che trasmette il maggior numero di frammenti è certamente Ateneo, che spesso accompagna il nome dell’autore con l’epiteto ‘periegeta’, che qualifica il settore di maggiore interesse dell’attività di Polemone.

Quali erano le caratteristiche, le forme e gli scopi del genere periegetico?
Innanzi tutto occorre distinguere fra perigesi geografica, interessata principalmente alla descrizione dei luoghi, alla misurazione delle distanze e al tracciamento delle vie terrestri e marittime, e periegesi storica (secondo la definizione di Jacoby) o antiquaria (come preferiva qualificarla Momigliano). La periegesi antiquaria è un genere a metà fra la geografia e la storia. Applica un criterio geografico di selezione della materia, per indagare la memoria di un luogo: le tradizioni sulle sue origini, i miti, i monumenti, apprezzati per il loro valore artistico o documentario, ecc. Il rappresentante più significativo di questo genere di ricerca è Pausania. Sappiamo però che Pausania ebbe dei predecessori. Polemone, insieme ad altri autori frammentari come Diodoro di Atene o Eliodoro, sta all’inizio della storia di questo genere, sebbene l’interesse per la descrizione dei monumenti risalga – come ambito particolare della ricerca storiografica – almeno a Erodoto. Il rapporto fra Polemone e Pausania, se si tratti cioè di una vera e propria dipendenza dell’uno dalle opere dell’altro, è stato ripetutamente affrontato ed è una delle questioni sulle quali provo a soffermarmi nel mio studio. Tuttavia la perdita dell’opera di Polemone e di altri testi omologhi a lui contemporanei non ci permette di apprezzare del tutto la forma e le caratteristiche del genere nell’età ellenistica. Possiamo solo avanzare ipotesi, a partire dai titoli trasmessi e dalle informazioni conservate nei frammenti. L’idea ottocentesca era quella di una vasta descrizione della terra, organizzata in sezioni, per aree geografiche e città. Tuttavia questo disegno progettuale così sistematico sembra estraneo alla mentalità di Polemone, mentre sempre più feconda risulta la lettura di Polemone in una dimensione locale. Possiamo ricondurre la produzione di Polemone alla funzione che svolgevano gli esegeti o periegeti all’interno dei santuari, per esempio a Olimpia, ove la loro presenza è documentata da numerose iscrizioni. Si trattava di personale addetto al culto, incaricato di presiedere a determinati sacrifici, ma anche di guidare il pellegrino fra gli altari assicurando il corretto svolgimento dei riti. Dalla letteratura apprendiamo che a queste figure era affidato anche il compito di illustrare ai visitatori le antichità e gli oggetti preziosi dei santuari. Qualcosa che, con evidente anacronismo, potrebbe ricordare la funzione delle moderne guide turistiche. Personaggi di questo tipo sono rappresentati, con una punta di ironia, da Plutarco o da Luciano in alcuni racconti spassosi. È interessante provare a considerare queste figure nel contesto dell’esperienza del viaggio culturale in Grecia, che diviene un momento fondamentale del processo di assimilazione della cultura greca, soprattutto in rapporto con la civiltà romana.

Sebbene l’attività degli esegeti dei santuari fosse affidata all’oralità, sopravvive almeno un modello fondamentale, che a mio giudizio consente di ravvisare un termine di confronto per comprendere struttura e contesto delle opere periegetiche di Polemone. Mi riferisco alla Cronaca di Lindo, il trattato conservato su epigrafe e rinvenuto negli scavi danesi del santuario di Lindo nel 1909. Nel testo, composto nel 99 a.C. su incarico del clero del santuario, lo storico locale Timachida di Rodi elenca gli ex voto che rendono illustre il tempio e ne testimoniano il prestigio e racconta i prodigi operati dalla dea Atena. I punti di contatto fra la Cronaca e le reliquie dell’opera di Polemone sono numerosi, nel metodo, con la centralità dell’autopsia, ma anche la consultazione delle fonti per registrare oggetti un tempo conservati nel tempio e ora scomparsi, e nella forma, che alterna il catalogo degli oggetti alla narrazione di aneddoti intorno a fatti notevoli e prodigiosi.

Il volume offre una rinnovata edizione critica commentata di una selezione dei frammenti degli scritti di Polemone: su quali si concentra?
Lo studio da me condotto si concentra sui frammenti di periegesi antiquaria dedicati alla Grecia, in particolare a quel genere di trattato riconducibile al tema Περὶ ἀναθημάτων, Sui donari, con le caratteristiche che ho tentato di illustrare sinteticamente poc’anzi. Per avere un’idea dei temi affrontati, alcuni dei titoli sui quali mi sono soffermato sono Sull’acropoli di Atene, Sui quadri dei propilei, Sui quadri di Sicione, Sul portico dipinto di Sicione, Sui donari di Sparta, Sui tesori di Delfi, Sulle Eraclee a Tebe. Il criterio di selezione dei frammenti che ho adottato è stato duplice: ho cercato di individuare un genere specifico, per definirne criteri, forme e scopi, e ho selezionato un’area di competenza, la Grecia continentale e il Peloponneso. Si tratta di una selezione provvisoria, dettata anche da ragioni esterne. Il volume è nato infatti come tesi di dottorato al tempo in cui studiavo con una borsa di studio post-doc presso la Scuola di Studi Storici di San Marino, con relatore il Prof. Franco Montanari. L’edizione è nata grazie all’interessamento di Luigi Lehnus e Giuseppe Lozza, che hanno accolto il testo, rivisto e approfondito, nella collana del Dipartimento di Studi Letterari Filologici e Linguistici dell’Università Statale di Milano, Consonanze. Il progetto ora è quello di arrivare a un’edizione completa dei frammenti di Polemone, alla quale sto lavorando insieme alla collega Livia De Martinis, sotto la supervisione di Stefan Schorn, per la quarta parte dei Fragmente der griechischen Historiker. Il tipo di commento però sarà diverso, inevitabilmente più sintetico. Nel volume si è voluta conservare l’impostazione della tesi, con approfondimenti storici, antiquari, letterari, archeologici, su tutte le questioni toccate dai frammenti di Polemone, i quali, pur nella apparente aridità della materia antiquaria, non di rado riservano qualche sorpresa al lettore, grazie alla meraviglia che destano l’oggetto d’arte o la reliquia sacra e persino grazie a un certo gusto per l’aneddoto piccante cui Polemone indulge: fra i frammenti che ho studiato ritroviamo alcune storie, per esempio legate al santuario di Delfi, come quella di un furto sacrilego e della sua punizione operata dal dio Apollo, trasformato in lupo, o quella di un pellegrino innamorato di un kuros fra gli ex voto nel tesoro degli Spineti; si seguono le vicende di oggetti perduti, come antiche statue o dipinti, quello che Alcibiade dedicò nei propilei dell’Acropoli di Atene o il ritratto del tiranno Aristrato di Sicione, che Arato, abbattuta la tirannide, volle salvare, facendo cancellare però il volto del tiranno (una vicenda che ricorda un po’ la cronaca di questi giorni). Singolare poi l’interesse di Polemone per certe donne di malaffare, come etère e prostitute, le cui vicende però spesso si intersecano con le biografie di artisti che le adottavano come modelli delle loro opere, trasferendo nei dipinti la grazia dei loro corpi.

È la grande avventura della ricerca antichistica, che a partire da resti apparentemente insignificanti, attraverso lo scavo, apre alla scoperta di campi vastissimi. Il passato e in particolare l’antichità non sono oggetti stabili di conoscenza, ma pongono enigmi sempre rinnovati e ci dischiudono le porte verso la conoscenza dell’ignoto.

Roberto Capel Badino (Milano, 1979) ha conseguito il dottorato di ricerca in filologia classica presso l’Università degli Studi di Milano e successivamente ha studiato storia antica presso la Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino. È attualmente docente di materie letterarie, latino e greco presso il Liceo «Parini» di Milano. Fra le sue pubblicazioni, oltre a vari contributi apparsi su periodici, si segnalano l’edizione del callimacheo Filostefano (Filostefano di Cirene. Testimonianze e frammenti, Milano 2010) e la traduzione italiana delle poesie di Dinos Christianòpoulos (Stagione di vacche magre e altre poesie, Pavia 2012).

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