
I componimenti dei poeti latini del Cinquecento rappresentano un’esperienza letteraria di alto livello ma ancora poco nota o addirittura ignota: per quali ragioni?
La scarsa diffusione, oggi, della poesia latina del Rinascimento ha ragioni editoriali e culturali. Nel Rinascimento, il latino era la lingua della comunicazione colta e quando furono composti, questi testi parlavano all’Europa forse più dei testi in volgare (grandi autori a parte). Ma la tradizione di studî sulla poesia latina del ‘500 si è praticamente interrotta nel ‘700 e inseguito la nostra conoscenza si è andata, con eccezioni, lentamente perdendo in parallelo alla perdita delle competenze che permettevano di sentirla viva. Oggi, le cose sono molto cambiate e il lento e un po’ generale declino delle conoscenze classiche ha reso questa poesia una lettura per pochi. Ma bisogna insistere sulla sua importanza in una cultura europea, e particolarmente italiana, che almeno fino al Cinquecento è profondamente bilingue, quando non trilingue, e in cui è sempre esistita anche nei secoli successivi (e in Italia fino a Carducci) un’anima classicista.
Il progetto di un’antologia come questa coincide d’altra parte con il lento e un po’ generale declino delle competenze classiche. Rispetto ad altri paesi più alieni da quella cultura e che dunque pour cause dovevano accompagnare i testi con traduzioni, l’Italia giunse forse con un certo ritardo non certo nell’approntare edizioni e commenti di testi umanistici e rinascimentali ma nel fornirne l’equivalente volgare. La situazione non muta di molto passando dal Quattro al Cinquecento, passando cioè da un umanesimo sovranazionale a una cultura più compromessa con i nascenti stati nazionali e anzi, probabilmente, il fervore di edizioni di umanisti scema ulteriormente nel Cinquecento.
I Poeti latini del Cinquecento erano stati pensati dall’Editore Ricciardi come pendant di quelli latini del Quattrocento editi nel lontano 1964. Dovevano colmare un vuoto entro la collana “La letteratura italiana, Studi e Testi” inaugurata dall’autoantologia di Benedetto Croce nel 1951. Sarebbero stati una parte dei Poeti italiani del Cinquecento a cui lavorava una équipe coordinata da Guglielmo Gorni (1945-2010), a lungo professore all’Università di Ginevra, e di cui uscì alla fine un solo volume di poeti volgari nel 2001. L’impresa di Parenti aveva pochissimi precedenti e testimoniava la ripresa di interessi per l’altra faccia della poesia volgare, che anche riprendeva a essere indagata. Parenti, che era un notevolissimo conoscitore di entrambi questi aspetti, aveva poi assunto in parallelo anche la cura dei Poeti meridionali, in previsione di un altro volume ricciardiano. Sui due fronti, questo lavoro lo occupò per vent’anni e venne interrotto dalla morte a 53 anni, nel gennaio del 2000. Oggi è difficile anche solo immaginare simili tempi di ricerca, ma bisogna pensare che dopo i Poeti del Duecento che Gianfranco Contini e una autorevolissima équipe di giovani suoi allievi avevano pubblicato nel 1960, non era più possibile estrarre un testo da una qualsivoglia edizione e offrirlo in pasto. Occorreva sceglierlo tra infiniti testi, “estirpare qualche gemma (scrive da qualche parte Parenti) da congerie e congerie di versi” sapendo indicarne le peculiarità; stabilirne un testo sicuro sulla base della tradizione a stampa e manoscritta e, stante la distanza di cultura e di lingua, accompagnarlo con un commento che lo illumini. Era un “distingue frequenter”: si fa storia della cultura anche cogliendo le differenze oltre che le più attraenti e a volte ingannevoli analogie. Non è stato dunque un lavoro che si appoggiava pigramente ad altre antologie. Parenti era rimontato ai testi originali scegliendo fior da fiore tra migliaia di versi in base a quanto riteneva paradigmatico di quella cultura o invece, a volte, vivacemente dissonante: un enorme sforzo, condotto oltre tutto non in équipe come i Poeti del Duecento o il primo volume dei volgari del Cinquecento, ma da solo: uno sforzo, che lo Studioso rivendicava con l’ironia e la sprezzatura che erano sue. “sgobberò, sgobberò” scrive, a un certo momento, all’Editore e così realmente ha fatto. Ma il confronto con le migliori antologie di poesia umanistica disponibili (la parigina di Pierre Laurens e Claude Balavoine del 1975 e la successiva oxfordiana di Alessandro Perosa e John Sparrow del 1979) mostrano l’enorme salto conseguito dai questi suoi Poeti latini del Cinquento.
Quale impianto seguiva l’iniziale progetto di antologia parentiana?
Ho detto dell’importanza per lui della scuola fiorentina di Perosa e De Robertis, con la supervisione di Dionisotti. Il piano che Parenti presenta all’Editore nel 1978 recepisce la lettura regionalista con cui, non solo in ambito letterario, Dionisotti in Storia e geografia della letteratura italiana aveva messo fine alle elucubrazioni idealistiche della prima metà del secolo. L’antologia di Parenti restituisce una pluralità di centri politici e culturali, la straordinaria dinamica tra chierici e laici della società italiana del tempo e così anche un quadro assai meno fiorentinocentrico di quanto le storie letterarie ci raccontavano. Il piano del 1978 contemplava tredici sezioni per un totale di una quarantina d’autori, in corrispondenza di varie aree culturali e politiche individuate come pertinenti: con un’attenzione particolare per Roma (da Leone X alla Controriforma) e per alcune corti principali, accademie o anche cenacoli (“eccoti i maledetti ferraresi, che mi sono costati fatiche inenarrabili”, scrive ancora all’Editore consegnando un altro centinaio di pagine su Celio Calcagnini e Lilio Gregori Giraldi). Di tutto ciò, solo poco meno della metà del piano fu effettivamente realizzato, ma basta a restituirci la straordinaria ricchezza di tradizioni e modelli operanti in questa poesia; e, insomma, la vivacità con cui la poesia latina del Rinascimento proponeva i suoi modelli reinterpretando il patrimonio ricevuto dal mondo classico. Non dimentichiamo che è a Venezia che, sulla fine del Quattrocento, si gioca con il grande editore Aldo Manuzio e il mondo degli umanisti che lo attorniavano la riscoperta e prima pubblicazione di moltissimi autori antichi.
Dal 1978 via il piano di lavoro subirà costanti aggiustamenti; qualche poeta sparirà e altri invece vedranno moltiplicati i loro versi. Un incremento esponenziale si ha per almeno cinque di loro: Lampridio, Molza, Valeriano, Flaminio e Vida, che sono rappresentativi di altrettanti e diversi ambienti culturali. Si rassoda insomma il panorama degli autori e emergono, privilegiate su altre, alcune più individuate personalità. È un’indicazione preziosa di come, nel corso degli anni, andassero precisandosi allo Studioso le linee forti di questa poesia, le sue direttrici fondamentali.
Quali vicende hanno caratterizzato il lavoro di preparazione e stesura della raccolta?
La preparazione dei Poeti latini ha occupato Parenti per un ventennio, durante il quale lo Studioso realizzò un po’ meno della metà del piano che aveva immaginato. Parenti non ha dato i testi estraendoli semplicemente da una edizione, fosse pure antica. Ha studiato la tradizione di questa poesia e ha stabilito, per ognuno dei suoi poeti, il testo critico dando spesso conto, nei commenti o nelle note filologiche delle oscillazioni. Per la parte dei testi, il manoscritto era alla sua morte terminato. Doveva essere ricollazionato, ma era ormai licenziabile. Sugli apparati critico-filologici, invece, l’Autore era ritornato negli anni con giunte, correzioni, appendici filologiche e bibliografiche. Qui il manoscritto non era licenziabile e molte parti apparivano estremamente lavorate e difficoltose: il lavoro è dunque consistito nel fornire la versione definitiva integrando questi materiali, dopo averli opportunamente verificati. Parenti non aveva fatto in tempo a licenziare il lavoro e qua e là resta la traccia di questo “non finito”. A maggior ragione poté vedere, di questa lunga fatica, un rigo stampato. Anche per questo, mettere ora a disposizione degli studiosi una tale opera è stato oltreché un lungo e faticoso lavoro anche e soprattutto un’enorme soddisfazione.
Quale importanza critica e storiografica riveste l’antologia di Giovanni Parenti?
Qui bisognerebbe accennare, come non è possibile, allo stato degli studi nello specifico ambito della poesia umanistica del Rinascimento e all’avanzamento che questi Poeti latini hanno permesso. Qualche lettore attrezzato potrà farlo nel dettaglio. Diciamo però almeno che lo Studioso univa uno straordinario gusto per la poesia (spesso, come quella latina del Cinquecento, complessa e scarsamente studiata) a un grande rigore filologico. E soprattutto la sua non comune e larga competenza del mondo classico-umanistico e di quello volgare gli ha permesso di prendere autorevolmente le misure e di restituircene la misura europea.
Una parte della sua officina fa proprio spazio alla fortuna europea di questi testi in un’ottica comparatista. Così, di questi poeti oggi magari poco noti e considerati in ottica locale ce ne restituisce la fortuna europea presso grandi autori come Ronsard, Cervantes o Pope o anche Baudelaire o Rilke. È un ponte che viene gettato tra antico e moderno e che dimostra la continuità e la vitalità di una cultura. È stato, il suo, un grande sguardo panottico posato su un’Italia che ha contato con la capacità di misurarne l’impatto.
Massimo Danzi è professore di Letteratura italiana presso l’Università di Ginevra. Ha curato l’edizione critica delle Rime di Matteo Bandello (Panini Editore, 1989). È inoltre autore del libro La biblioteca del cardinal Pietro Bembo (Droz, 2005).