
È tuttavia da sottolineare che questa diffusione non fu un fenomeno circoscritto nei limiti geografici del Viceregno di Napoli, ma si estese all’intera penisola. Basti pensare che due celebri antologie sull’eruzione vesuviana del 1631 furono pubblicate a Roma e a Venezia. La prima è La scelta di poesie nell’incendio del Vesuvio, curata dal cardinale Urbano Giorgi e pubblicata nel 1632 per i tipi di Corbelletti. La seconda – il cui titolo può sembrare piuttosto generico –, le Rime d’illustri ingegni napoletani, fu curata da Giandomenico Agresta, e pubblicata a Venezia nel 1633 per i tipi di Ciera.
Quali erano le ragioni alla base di tale successo?
Le ragioni di questo successo editoriale sono da attribuire a due motivazioni principali. La prima è l’eruzione vesuviana del 1631, che come ha spiegato Renata D’Agostino in uno studio del 2012 rappresentò un forte momento di organizzazione di un movimento culturale compatto del Viceregno napoletano. Essa fu altresì lo stimolo a un mercato editoriale fino a quel momento poco attivo, e che a partire dal terribile evento sollecitò la produzione di poesie disastrose per l’intero XVII secolo. La seconda motivazione è di tipo poetico: le catastrofi della natura rappresentano al meglio quella ricerca dell’insolito e del meraviglioso che costituisce il punto cardine della letteratura barocca; esse forniscono una nuova materia a una poesia che nei primi decenni del Seicento aveva appena posto le basi dello stile barocco.
La congiunzione di entrambi i fattori, quello sociale e quello letterario, fu alla base di quanto possiamo definire la creazione di un vero e proprio bestseller del XVII secolo; siamo infatti certi della fruizione della poesia dei disastri da parte di una grandissima fetta della popolazione viceregnicola. Essa non era formata solo dagli Accademici, a cui va attribuito un ruolo fondamentale nella diffusione di questi componimenti, ma comprendeva verosimilmente anche la popolazione non colta, grazie all’inserimento di questi testi nei prima citati avvisi a stampa.
Quali eventi vengono celebrati nei 70 componimenti da Lei raccolti?
I 70 componimenti raccolti forniscono un’ampia testimonianza dello spettro poetico della lirica dei disastri. Essi sono stati selezionati, da un lato, per rendere conto del gran numero di autori che si cimentarono in questa tipologia, e dall’altro per fornire un ampio riscontro dei maggiori disastri del secolo: l’eruzione vesuviana del 1631, l’epidemia di peste del 1656, il terremoto del Sannio del 1688. Ad essi si aggiungono eventi calamitosi ‘minori’ come esondazioni di fiumi, tempeste, naufragi e incendi, nonché disastri sociali che segnarono la vita politica del tempo, come la rivoluzione di Masaniello del 1647.
La scelta di una così ampia selezione di eventi, in un’antologia che a differenza del precedente saggio a cura di Giancarlo Alfano, Marcello Barbato e Andrea Mazzucchi (Tre catastrofi, 2000) non segue un’organizzazione tematica, è presto spiegata. L’immaginario apocalittico dell’uomo del Seicento è pressoché fisso; esso inserisce, in uno sfondo infernale di matrice virgiliana, personaggi stereotipati del mito e della religione: le Furie, le Parche, Ade, Proserpina, insieme a Gesù Cristo, San Gennaro, San Rocco e San Pietro. Ogni disastro, in sintesi, che esso sia di tipo naturale o sociale, ha le sue figure di riferimento, nonché un background mitologico predeterminato.
Quali autori si dedicarono alla tematica catastrofica?
Gli autori che composero poesie catastrofiche nel XVII secolo sono numerosissimi. Data la mole di testi prodotta sarebbe infatti opportuno parlare di un tòpos dei disastri, piuttosto che di un tema. I dati raccolti per questo studio comprendono ogni tipologia lirica della letteratura barocca: sonetti, odi, canzoni, madrigali, ditirambi. È tuttavia da considerare come questa particolare tipologia di scrittura riguardò anche la poesia latina, nonché i poemi, dunque la poesia narrativa. Quest’ultima, sebbene in numero minore rispetto alla produzione lirica, rappresenta un’ulteriore testimonianza della diffusione di un tòpos, nonché di un enorme successo editoriale.
Tra le personalità raccolte in questa antologia si annoverano alcuni tra i più famosi poeti del Barocco italiano: Antonio Bruni, Giambattista Basile, Girolamo Fontanella, Giacomo Lubrano, Pietro Casaburi Urries, Giuseppe Battista, Biagio Cusano. A questi nomi si affianca una serie di poeti minori ancora oggi poco conosciuti, sebbene autori di testi di elevata fattura: Pietro Asterio, Carlo Volpe, Giuseppe Teodoli, Biagio Guaragna Galluppo, Lorenzo Stellato.
Tra gli scopi di questa antologia con commento rientra infatti anche la rivalutazione (se non addirittura la riscoperta) di letterati di cui ad oggi non possediamo studi adeguati, e della cui opera non esistono edizioni moderne. Portare alla luce questo materiale risulta dunque un’operazione importante per un ampliamento del novero dei poeti barocchi più conosciuti, e un’occasione per ragionare su un cospicuo numero di componimenti inediti: sonetti di corrispondenza epistolare, poesie raccolte su fogli volanti, talvolta intere sillogi di liriche.
Qual è lo stile di tali componimenti?
La poesia dei disastri è un prodotto decisamente variegato sul piano stilistico. Considerata la sua ampia diffusione, nonché il gran numero di poeti che praticò questa tipologia, bisogna prestare attenzione al fatto che i testi selezionati nel presente studio furono concepiti per finalità diverse.
Gran parte del commento alle poesie raccolte è dedicata proprio all’inquadramento di questa differenza stilistica; esso mette in luce due importanti fattori che, variamente interpretati, risultano alla base di un forte pluristilismo. Il primo è l’intento ideologico di una parte decisamente cospicua dei testi sul disastro: come si legge nell’introduzione al volume questi componimenti sono in gran maggioranza prodotti da Gesuiti, e mirano a inserire il disastro nell’ottica di una punizione divina. Il secondo fattore è la funzione ‘mediale’ che le liriche catastrofiche ricoprirono in una vera e propria visual culture: una cultura per così dire ‘mediale’, che comunica e veicola messaggi attraverso l’utilizzo di immagini.
Entrambi i fattori incidono sulla strutturazione dei dispositivi retorici, e in particolar modo della metafora, lo strumento più utilizzato per la rappresentazione della catastrofe. La metafora barocca ricopre in questi testi un ampio spettro di significazioni: metonimia, antitesi, sineddoche, iperbole, adynaton. Essa funge da strumento principale per l’enargheia, per la rappresentazione concreta delle immagini mentali dei poeti. Ecco allora che un vulcano può facilmente diventare una cervice gravida di foco, la peste un antico angue infernale, e i rivoluzionari sono gli sciolti torrenti del Vesuvio (rappresentazione utile all’ideologia del potere costituito).
Antonio Perrone è docente a contratto di Letteratura italiana all’Università “Federico II” di Napoli. Si è occupato nei tre anni del dottorato di letteratura barocca (L’Accademia scientifica degli Investiganti, ADI 2021, Fictio e realtà nella lirica barocca, Griselda 2021, La retorica dell’eroe nella lirica dei disastri, Viella 2021, Scelta di poesie nell’incendio del Vesuvio a cura del cardinale Urbano Giorgi, Rubbettino 2021). Si è inoltre occupato della poesia di Elio Pagliarani (Contemporanea 2018 e Testo a Fronte 2020) e della ripresa di tòpoi omerici nella lirica contemporanea (Il tòpos delle foglie, Aracne 2017). È membro del gruppo di ricerca DisComPoSE, che raccoglie e analizza i testi sui disastri nei territori della Monarchia ispanica tra il XVI e il XVIII secolo.