
Il Cantico di Francesco rappresenta forse l’esempio più noto di preghiera in poesia della nostra letteratura: in che modo la forza del linguaggio prende corpo nella cristallina manifestazione della fede del santo di Assisi?
Sul Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi ha scritto pagine illuminanti Giovanni Pozzi, che ne ha mostrato il tessuto elaboratissimo. Infatti il Cantico, che sembra sgorgare improvviso, nasce in realtà da una lunga consuetudine sia con parole di lode sia con la partecipazione cosmica a una forma di liturgia universale, ma anche con l’espressione letteraria, che erompeva nel canto, talvolta in francese, secondo l’agiografia, e consentiva al santo persino di allontanarsi dalle fonti bibliche e liturgiche che sono all’origine di ogni sua parola tramandataci. Nel capitolo a lui destinato ripercorro anche gli altri testi preghiera del santo, per mostrare appunto come questa “cristallina manifestazione” sia frutto di lunghe frequentazioni, che diventano “cristalline” appunto perché introiettate in profondità. Il Cantico è poi canto di lode che raccoglie e sublima molti dei motivi visti nelle sue preghiere precedenti, esso perfeziona e dice nel volgare corrente e condiviso dai più umili le lodi che Francesco era venuto componendo nei due decenni anteriori in latino. La musicalità dei versi è data anche dalle soluzioni formali più comuni, le bellissime riprese (dall’anafora di «Laudato si’, mi Signore» ai molti omeoteleuti), le assonanze e persino le rime, il ritmo del cursus, la frequenza del legame sindetico fra unità lessicali, le numerose dittologie mai esornative, le enumerazioni ordinate. Qui la poesia è solo apparentemente strumento, invece si impone dando forma peculiare alla preghiera, la quale a sua volta si impone per determinare il significato.
Che forme assume la preghiera in Dante?
La preghiera in Dante è fondamentale, tanto che Giuseppe Mazzotta, il grande dantista di Yale, ha potuto dire che la Commedia può essere detto un libro di preghiere. Già Dante pone la preghiera come prima forma del linguaggio umano, inoltre il poema è frutto di preghiere (è la fedeltà del viator a santa Lucia ad aver mosso la Vergine a chiamare la martire in sua presenza e a raccomandarle “il [s]uo fedele”, avendo questi perso la diritta via, per poi far intervenire Beatrice che farà intervenire Virgilio. In effetti il cammino dantesco è sempre associato alla preghiera, fin dall’inferno. Emblematico il caso di Francesca, la prima anima con cui Dante parla, che proprio della sua impossibilità di pregare si duole, mostrando bene di conoscere il valore della preghiera. La donna apre il suo discorso proprio con una citazione dal Vangelo di Giovanni relativo al pregare. Nella sua condizione di dannata, nostalgica di un passato felice, vorrebbe risarcire Dante per la pietà che mostra nei suoi confronti con una preghiera per la pace del pellegrino: “se fosse amico il Re dell’universo / noi pregheremmo lui della tua pace. (Inf. V, 91-2). Molti poi sono i momenti di preghiera terrena ricordati nel poema, specie nel Purgatorio. I Salmi costituiscono la tipologia più frequente di preghiere citate nella Commedia, anche perché il libro dei Salmi era impiegato quotidianamente all’epoca di Dante per l’Ufficio delle ore e in occasione di ogni liturgia penitenziale. Dante riscrive anche la preghiera insegnata da Gesù, il Padre nostro, e rappresenta i penitenti che cantano diversi inni. Infine il paradiso per Dante è tutto una liturgia della lode. Dalla sfuggente Ave Maria di Piccarda, marcata però dalla ripetizione del verbo “cantando” (“Ave / Maria…” cantando, e cantando vanìo”., Par. III, 121-2), al finale “Osanna” di Anna verso la figlia Maria di Par. XXXII, 135 nella rosa dei beati, che appena precede la visione ultima, gli inni citati nella cantica sono moltissimi, naturalmente di giubilo e lode.
Come modulò Manzoni il dialogo con il divino nella sua poesia?
Quanto sia importante la preghiera per Manzoni è dimostrato dal ruolo che ha nel romanzo. Ma io mi sono limitata allo studio della poesia. La scrittura degli Inni sacri corrisponde a un preciso intento che si fa strada a poco a poco non solo in seguito alla cosiddetta conversione, ma in conseguenza soprattutto della riflessione sul senso e il valore della poesia nella ricerca della Verità, perseguita costantemente già dai tempi dei Versi in morte di Carlo Imbonati (1805). La conversione gli indica infine che il “Vero” si trova proprio nel cristianesimo, che nel contempo dà voce all’ “interessante”, come modalità di coinvolgimento del lettore, anche popolare. La poesia trova la sua ragion d’essere dunque nel dare voce alla Verità, nel rivelarla, per cui il poeta si fa umile annunciatore di una verità che lo precede e trascende. Di questo obiettivo, su cui si fonda tutta la poetica e scrittura manzoniana, gli Inni sacri rappresentano il primo esito rivelatore, che si concretizza in un lento e articolato percorso, non tanto ideologico, quanto pratico di scrittura e poesia.
Che forme assumono i componimenti sub specie orationis nell’età della morte di Dio?
Davvero è sorprendente quanto la poesia del Novecento si nutra di preghiera. Se si riflette bene però, si può dire che è naturale, perché il poeta si confronta sempre con le grandi questioni dell’umanità, se la poesia non va a fondo delle interrogazioni sulla vita non è grande poesia, e non parla all’umanità, non dura. Dio o il trascendente o il mistero, comunque lo si voglia chiamare, è una delle grandi questioni, quindi è naturale che il poeta le affronti. Ma è sorprendente quanta presenza abbia la preghiera nell’età della morte di Dio. Si pensi anche solo a quanto la poesia di Primo Levi debba alle formule precative, senza considerare ovviamente un poeta come Mario Luzi. Io trovo però Caproni straordinariamente sorprendente. Caproni è il poeta della Litania, della Preghiera e dell’Ultima preghiera, di un’inquietante riscrittura del Padre nostro, persino di giaculatorie. Caproni è però anche il poeta, come lui stesso ha scritto, dell’“ateologia”, del nulla e della negazione, dell’uccisione, del suicidio di Dio. Ma se tanto è dichiarata questa sua posizione, ribadita anche in saggi e interventi critici, altrettanto sicura è l’interrogazione che il poeta ripetutamente pone su Dio e sulla sua assenza o morte, interrogazione che trova le sue migliori espressioni proprio nelle raccolte finali della sua produzione, Il muro della terra, Il franco cacciatore e Il Conte di Kevenhüller. Caproni non cessa di porsi la questione sul divino e di porla nella poesia in una ricerca di assoluto che, anziché indebolirsi, si rafforza nelle ultime raccolte.
Alda Merini si definiva «assetata di Dio»: come si declina, per la poetessa milanese, la tensione tra l’espressione religiosa e quella poetica?
Direi che non c’è tensione, che tra poesia e preghiera per lei non c’è soluzione di continuità, che l’una si risolve spontaneamente nell’altra, specie nelle ultime raccolte. Ma fin dai suoi primi versi Alda Merini esprime un’ansia verso il trascendente che prende forma di preghiera, combinando poesia e attesa, fede e parola. Poi, nelle ultime raccolte sulle figure evangeliche essa diventa esplicita (parlo di Corpo d’amore. Un incontro con Gesù, del 2001, Magnificat. Un incontro con Maria, dell’anno successivo, Poema della croce del 2004 e Cantico dei Vangeli del 2006, ma anche di Francesco. Cantico di una creatura, del 2007, La carne degli angeli del 2003 e Padre mio del 2009). Queste sono pura preghiera. Ma mi piace sottolineare che la Merini ha composto una raccolta anche di preghiere vere e proprie, però per i bambini che erano i suoi nipotini: Orazioni piccole del 1997, con componimenti molto brevi, che combinano versi pure assai brevi, però sostanziati di concetti semplici, adeguati al pubblico cui si rivolgono e corrispondenti al pensiero infantile, ma non per questo sono superficiali. Anzi, esprimono un chiaro pensiero sulla vita (oserei dire una filosofia di vita), una religiosità profonda, sentimenti mai banali.
Erminia Ardissino ha insegnato Letteratura italiana all’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: «L’aspra tragedia». Poesia e sacro in Torquato Tasso (1996), L’umana Commedia di Dante (2016), Donne interpreti della Bibbia nell’Italia della prima età moderna (2020).