
Quali vicende segnarono la giovinezza di Gobetti, dal contesto familiare al percorso formativo sino agli anni universitari?
Piero Gobetti nacque a Torino il 19 giugno del 1901 da Giuseppe Giovanni Battista e Angela Luigia Canuto, entrambi piccoli commercianti. Il contesto in cui il Piero bambino cresceva era quello della Torino dell’età giolittiana all’avvento della Grande Guerra, una città in piena espansione sia sotto il profilo culturale, basti pensare soltanto al prestigio del suo ateneo e dei docenti che vi insegnavano, sia uno dei motori economici-industriali del Regno d’Italia, essendo la sede, dal 1899, della Fiat ma anche di altre industrie specie del settore metallurgico e tessile. L’istruzione e una forte propensione allo studio segnarono la sua carriera di studente, dalle scuole elementari sino all’Università, dove incontrò docenti come Umberto Cosmo, Balbino Giuliano, Luigi Einaudi, Gioele Solari, con cui si laureò in giurisprudenza nel 1922 con una tesi sulla filosofia politica di Vittorio Alfieri, che poi pubblicò.
In questo contesto, l’esperienza della sua prima rivista, «Energie Nove», si colloca nell’Italia dell’immediato primo dopoguerra, quando si afferma nel dibattito politico e culturale la problematica della “rigenerazione”, nel quale Gobetti, impregnato delle sue letture vociane e salveminiane, iniziò a farsi un nome e a coinvolgere in un’operazione editoriale acerba, ma già significativa, non soltanto alcune delle personalità che avrebbero accompagnato la sua esistenza e il suo lavoro culturale, a partire da Ada Prospero, sua fidanzata poi moglie ma soprattutto punto di riferimento in ogni sua attività, ma perfino individui come Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Gaetano Salvemini. Un frangente in cui Gobetti provò a fare da megafono all’inquietudine di un’intera generazione, spinta dall’ansia del rinnovamento giovanile derivante dalla frattura della Grande Guerra e dall’auspicio di superare radicalmente la politica e la cultura dell’età giolittiana. I temi della nuova pubblicazione sarebbero stati i più vari; tra di essi si possono elencare quello relativo al risveglio culturale nel segno dell’antipositivismo idealistico e vociano, la questione adriatica, il passaggio dall’industria di guerra a quella di pace, l’antiprotezionismo, l’antigiolittismo, l’antistatalismo, la ricostruzione istituzionale unita alla riforma della burocrazia, il socialismo, la riforma scolastica.
Quale percorso compì Gobetti dopo la fine di «Energie Nove»?
Il percorso di Gobetti dopo la fine di «Energie Nove», nel febbraio del 1920, si concentra innanzitutto sull’attenzione riservata agli operai protagonisti dell’occupazione delle fabbriche, ritenuti agenti di una prospettiva liberale in quanto rappresentanti di una rottura nelle relazioni industriali del periodo giolittiano. L’azione degli operai torinesi gli appariva quindi come la realizzazione di un grande forza di libertà, il mito di una minoranza che sfidava regole cristallizzate e che pertanto si candidava ad essere un modello per quella riforma intellettuale e morale di cui il paese a suo avviso aveva un disperato bisogno. La Rivoluzione russa divenne un suo specifico oggetto di studio, a partire dalla lingua; a suo avviso il carattere di fondamentale rottura rappresentato dall’Ottobre 1917 non risiedeva solo nella matrice comunista di quell’evento, quanto nel momento in cui si erano gettate le basi di uno Stato nuovo grazie all’azione liberatrice dei cittadini impegnati nei Soviet. Da questi presupposti partì anche la sua collaborazione come critico teatrale de “L’Ordine Nuovo” e il rapporto speciale con Antonio Gramsci. L’altra grande battaglia combattuta da Gobetti è quella contro il fascismo condotta soprattutto tramite la nuova rivista, «La Rivoluzione Liberale». L’opposizione intransigente al governo presieduto da Mussolini a partire dal 28 ottobre 1922, che raggiunse il suo apice in seguito al delitto Matteotti, ebbe un carattere etico ed intellettuale nel senso che il nuovo potere incarnava per Gobetti la sintesi di tutti i mali del processo di costruzione dello spirito nazionale dall’età moderna, sino al Risorgimento “senza eroi”, tanto da essere definito “l’autobiografia” della nazione. Un giudizio destinato ad avere molta fortuna a livello politico e scientifico, anche se tagliava con l’accetta diversi dei motivi, assai più complessi, che avevano caratterizzato l’ascesa del fascismo, oggi patrimonio riconosciuto della riflessione storiografica, si pensi solo al tema del consenso o dell’operazione culturale realizzata dal regime.
Quale rilevanza assunsero, per il giovane intellettuale torinese, le esperienze del «Baretti» e della casa editrice «Piero Gobetti»?
Le esperienze de «Il Baretti» e della casa editrice «Piero Gobetti», sino alla scelta di spostarsi in esilio a Parigi dove Gobetti trovò la morte nel febbraio 1926, nascevano dalla consapevolezza che dopo il fallimento dell’Aventino fosse necessario cambiare la prospettiva della lotta contro il fascismo. Occorreva infatti battersi per sprovincializzare la cultura italiana e renderla finalmente europea, uscendo dalle logiche del nazionalismo fascista. L’impegno culturale espresso da quell’ultima rivista, che peraltro sopravvisse di qualche anno alla scomparsa del suo direttore, insieme al centinaio di pubblicazioni della casa editrice, tra cui la prima edizione di “Ossi di Seppia” di Eugenio Montale, aiutano a comprendere l’essenza del tentativo di creare un’alternativa all’Italia voluta dal fascismo e caratterizzata dal provincialismo nazionalista. Seppur sconfitto sul momento dal fascismo, quelle due ultime parentesi di impegno intellettuale furono importanti anche per la capacità di coinvolgere nuovi autori destinati ad avere un ruolo di primo piano nella cultura accademica e non dell’Italia degli anni successivi, dal regime mussoliniano sino alla fase repubblicana.
Quale impatto ha avuto la figura di Gobetti in epoca repubblicana?
Partendo dal fatto che l’impatto del fondatore di «La Rivoluzione Liberale» nel lasso di tempo che dalla sua morte arriva all’antifascismo e alla Resistenza, a partire da un movimento come Giustizia e Libertà o al Partito d’Azione, sia stato già ampiamente analizzato dalla storiografia, nel mio libro preferisco concentrarmi sul lascito negli anni più recenti per provare a comprendere come Gobetti, a distanza di quasi un secolo dalla sua scomparsa, continui a comparire nella discussione politica e culturale. E questo non solo nel dibattito tra i partiti, dove la sua figura è stata ampiamente ricordata da molte delle formazioni presenti nell’ultima campagna elettorale del settembre 2022, ma anche nella retorica pedagogica dei Presidenti della Repubblica, da Saragat sino a Mattarella, passando per Pertini e Ciampi che sono stati prodighi di riferimenti alla memoria dell’antifascismo e dell’esperienza gobettiana filtrata dall’azionismo. Da ultimo, mi piace richiamare l’utilizzo che della sua figura viene fatta nel mondo dei social media, penso solo ad alcune sue frasi iconiche, e nei riferimenti concreti alla memoria civile del paese quale la toponomastica o l’intitolazione di scuole, di cui ci sono tantissime testimonianze. Senza dimenticare la sua tomba al bellissimo cimitero di Parigi, il Père-Lachaise, dove è sepolto insieme a tanti altri giovani morti precocemente di diversi luoghi e epoche culturali.
Gianluca Scroccu è Professore associato di Storia contemporanea all’Università di Cagliari dove insegna storia contemporanea, storia dell’Italia repubblicana e storia dell’integrazione europea. È autore di numerosi saggi sulla storia del socialismo italiano, sulle figure di Antonio Giolitti, Sandro Pertini, Piero Gobetti, sulla storia della Sardegna contemporanea e sul rapporto fra la religione civile e i presidenti americani. Tra le sue monografie: La sinistra credibile. Antonio Giolitti tra socialismo, riformismo ed europeismo (1964-2010) (Carocci, 2016, premio Fiuggi storia 2016 e premio Matteotti 2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri).