
di Jeanne Roques-Tesson
traduzione di Elisabetta Garieri
Edizioni Aiora
Jeanne Roques-Tesson, docente di francese, latino e greco laureata in Lettere classiche, offre in questo libro pubblicato da Aiora, casa editrice greca indipendente, un gustosissimo e vivido ritratto dell’Atene classica restituendoci scene di vita quotidiana di quel mondo spesso idealizzato e cristallizzato dagli studi classici.
Ecco allora descritta l’avversione degli ateniesi per la calvizie: «Gli ateniesi si occupano con grande cura della loro chioma, appannaggio degli uomini liberi, e soffrono quando le tempie iniziano a sguarnirsi. Tanto più che il principio di calvizie denuncia pubblicamente l’uomo vizioso, se non debosciato: bambini o eunuchi calvi non se ne sono mai visti! Bisogna aver conosciuto l’amore per perdere i capelli e, da quel momento in poi, i soggetti più esposti sono i più inclini ai piaceri del sesso. I trattati di medicina ippocratica forniscono una spiegazione scientifica a questo fenomeno: durante il coito la flemma, uno dei quattro umori che compongono il corpo umano, si agita, riscalda la testa e brucia le radici dei capelli, facendoli cadere. Bisogna poi fare attenzione all’abuso di vino, noto per rendere calvi. Può comunque succedere di vivere da asceti e risvegliarsi un bel mattino senza un pelo sul capo: basta sognare l’eclissi di un astro. Il ritmo dell’universo e il ritmo biologico sono infatti in stretta connessione: gli astri hanno con il cielo lo stesso rapporto che i capelli hanno con la testa.
Si ignora a quale vizio Eschilo dovesse la sua, di calvizie, ma secondo la leggenda gli costò la vita. In Sicilia un oracolo predisse al grande drammaturgo una morte imminente, causata da un «crollo». Così lui, prudente, nel giorno fatidico lasciò la città e le case minacciose, che rischiavano di crollare al suo passaggio. Si trovava in aperta campagna, serenamente impegnato a leggere e meditare come al solito, quando un’aquila sorvolò i campi, tenendo tra gli artigli una tartaruga appena catturata. Scorgendo la capoccia dell’uomo, liscia come una grossa pietra, lasciò cadere la preda, per romperne il guscio prima di divorarla. Eschilo venne ucciso sul colpo da quella «casa» di carapace.»
O ancora i curiosi aneddoti sui rischi di restare scapolo nella Grecia antica: «Per i vicini spartiati sposarsi è un dovere del cittadino: agli uomini, per accasarsi, la legge lascia tempo fino ai trentacinque anni. Passata l’età limite, rischiano di finire in tribunale e vedersi privati dei loro diritti; ma le tribolazioni degli scapoli incalliti non si fermano qui: ci pensa la comunità intera a metterli in ridicolo. In pieno inverno sono obbligati a fare il giro dell’agorà, nudi e tremanti, cantando una canzone i cui versi dicono che gli sta bene: avrebbero potuto obbedire alle leggi. Altra vessazione, ancora più cocente, è quando vengono abbandonati alla vendetta delle donne che, in occasione di certe cerimonie religiose, li costringono a girare attorno all’altare e li frustano al loro passaggio. Ad Atene non si usano queste angherie, la città è più accondiscendente con chi rivendica il diritto al celibato. In compenso ci si mettono le madri! Perseguitato dalla sua, il celebre Talete si è inventato come cavarsela. Per anni ha guadagnato tempo obiettando «è troppo presto, madre», fino al giorno in cui, con un sorrisetto contrito, ha replicato: «è troppo tardi, madre». Di accedere alle più alte cariche della polis, come quella di stratega, non se ne parla però se non si è accasati. Platone è sdegnato da chi mortifica la città trascurando di prendere moglie e fare figli. Ammiratore dei costumi spartiati, raccomanda di imporre agli scapoli di più di trentacinque anni una tassa speciale, per punirli di «fare la bella vita». Fino a prova contraria, neanche lui si è mai sposato!»
L’Autrice ci fa sapientemente rivivere, con la sua fortissima verve espressiva, la vita ad Atene; una lettura doverosa per chi ama la Grecia antica ma anche un modo per scoprirla vicinissima a noi, per chi sino ad oggi l’ha ignorata.