
Quali sono gli esempi più stravaganti di “collaborazione” tra piante e insetti?
Quando parliamo di collaborazione non si può non pensare agli insetti “pronubi”, gli impollinatori, che come fattorini trasportano il polline di fiore in fiore favorendo così la fecondazione delle piante.
Sono state le Angiosperme, tra cui tutte le piante da frutto, ad aver sviluppato questa relazione che i biologi definiscono simbiosi, ovvero di reciproco vantaggio. Se da un lato, infatti, l’insetto trasporta il polline con beneficio della pianta, dall’altra è necessario che riceva qualcosa in cambio per il servizio! La ricompensa è il nettare, il liquido zuccherino di cui sono ghiotte api e farfalle e che viene poi trasformato nel prezioso miele all’interno dell’alveare. A volte questa collaborazione è così spinta che certe specie vegetali vengono impollinate solo da un determinato insetto. Nel libro facciamo riferimento all’orchidea cometa del Madagascar. Scoperta agli inizi del 1800, questo fiore presenta uno sperone lungo 25 cm al cui interno è contenuto il nettare. All’epoca non si conosceva nessun insetto con un apparato boccale così lungo tanto che a metà Ottocento si interpellò addirittura Darwin per chiedergli un parere. Il naturalista inglese, famoso per la sua teoria dell’evoluzione, ci pensò un attimo quindi semplicemente consigliò di cercare meglio: di sicuro nella foresta doveva vivere una farfalla con la spiritromba in grado di raggiungere le profondità dello sperone. Solo dopo 40 anni di ricerche finalmente fu scoperta la falena di Morgan, un lepidottero con l’apparato boccale di 30 cm! È un bellissimo esempio di coevoluzione che ci fa capire che se si estinguesse uno dei due organismi, anche l’altro purtroppo subirebbe la stessa sorte.
Moltissime specie di insetti si cibano di piante: quali meccanismi di difesa adottano talvolta le piante?
Non potendo sfuggire ai loro predatori, le piante si sono dotate di armi di difesa: spine e aculei rappresentano già una prima forma di protezione dai parassiti. Non è però l’unica in quanto le piante si sono trasformate nel tempo in vere e proprie centrali biochimiche dotandosi di un arsenale di molecole ad azione repellente e insetticida. Tante i principi attivi prodotti, molti dei quali possono tornarci utili anche in agricoltura biologica. Penso alla nicotina prodotta dalla pianta del tabacco oppure al piretro presente in particolari specie di crisantemo. Vi sono anche strategie più sofisticate che stiamo imparando a conoscere meglio in questi anni. Alcune piante, ad esempio, in caso di attacco parassitario, rilasciano nell’ambiente delle sostanze odorose che richiamano i nemici naturali dei loro parassiti: è proprio il caso di dire che il nemico del mio nemico sarà mio amico! Altre piante, in particolare alcune acacie, hanno invece instaurato un rapporto di simbiosi, ovvero di reciproco vantaggio, con le formiche. Si definisce mirmecofilia e fu scoperta per la prima volta da un grande naturalista italiano del 1800: Federico Dalpino. Le acacie rilasciano un nettare zuccherino di cui sono ghiotte le formiche; in cambio questi insetti proteggono la pianta dai suoi parassiti. Alcune specie di formiche sono così agguerrite nella difesa della loro pianta da riuscire a scacciare anche una giraffa! Non mancano infine casi singolari. Ad esempio la Vacchellia cornigera, un’acacia messicana, produce un nettare contenente sostanze nei confronti delle quali le formiche sviluppano dipendenza tanto che è stata definita pianta-pusher!
Vi sono poi piante che si nutrono degli insetti: come fanno le piante carnivore ad attrarre le loro prede?
Le piante carnivore sono un mondo estremamente affascinante. Basti pensare che quando furono descritte, nel 1700, destarono grande clamore tra i naturalisti in quanto andavano contro la scala naturale che considerava le piante un gradino appena più in alto dei minerali. Come era possibile che queste piante si comportassero alla stregua di animali predatori? Fu il solito Darwin a dimostrare, con una serie di esperimenti, che effettivamente le piante carnivore non solo catturano le loro prede ma che sono anche in grado di digerirle. Lo fanno perché vivono in suoli poveri di azoto che quindi ricavano dalla digestione di insetti, ma anche di rettili, anfibi e addirittura piccoli mammiferi nel caso delle specie più grandi. Tante le tecniche di “caccia” sviluppate. A seconda delle specie abbiamo le trappole a scatto, come nella venere acchiappamosche, le cui foglie sembrano le fauci di uno squalo pronte a chiudersi non appena una mosca vi passeggi sopra; le drosere invece hanno sviluppato foglie appiccicose che fungono da trappole collanti, mentre le Nephentes e le Sarracenia sfruttano il meccanismo delle trappole a caduta. Queste piante hanno l’ascidio (una foglia a imbuto che rappresenta la trappola) ricoperto da sostanze zuccherine e alcaloidi. Le prime fungono da esca, le seconde agiscono sul sistema nervoso dell’insetto che così, in preda a stordimento, più facilmente cadrà nella trappola dove verrà digerito. Insomma dei non si può dire che queste piante non siano “predatori” micidiali! C’è da rallegrarsi che non esistano piante carnivore giganti magia-uomini!
In che modo piante e insetti ricorrono al mimetismo?
Il discorso è complesso, esistono tanti tipi diversi di mimetismo. Quello a cui generalmente pensiamo è la capacità di un organismo di confondersi con l’ambiente circostante. Si definisce criptismo e tra gli insetti i più straordinari sono di certo i fasmidi, ovvero gli insetti stecco e gli insetti foglia. È un mimetismo di difesa in cui l’animale presenta le stesse sembianze di un ramoscello o di una foglia. La somiglianza è a volte impressionante, addirittura anche nel movimento questi insetti simulano l’ondeggiamento di un ramoscello al vento confondendo ulteriormente i loro predatori. Persino le uova sono mimetiche e assomigliano in tutto a dei semini. Alcune specie di fasmidi, infatti, ingannano le formiche che raccolgono così le uova portandole nel formicaio. In un ambiente caldo e tranquillo queste uova potranno schiudersi dando vita a dei piccoli insetti stecco identici alle formiche stesse in modo da eludere i controlli e sfuggire all’aperto. Anche questa è una forma di mimetismo definita batesiana o di inganno. Le piante però non sono da meno in questa capacità di “imbroglio”. L’esempio forse più conosciuto è quello delle orchidee del genere Ophrys che già nell’aspetto ricordano un’ape o un bombo. Inoltre rilasciano gli stessi odori della femmina (si chiamano feromoni) sicché il bombo maschio si avvicina al fiore e nel tentativo di accoppiarsi con esso lo impollina. Il comportamento di queste piante è davvero geniale e subdolo!
Anche le piante si ammalano e sono vittime di epidemie: come si è sviluppato il caso Xylella?
Nel libro, nel capitolo “insetti untori” è stato preso in considerazione un ulteriore aspetto in cui si può declinare il rapporto tra piante e insetti; quello cioè in cui questi ultimi si fanno “vettori” di pericolosi agenti di malattie delle piante. Nella fattispecie, essendo entrambi pugliesi, abbiamo voluto approfondire il caso dell’epidemia da Xylella fastidiosa che attualmente sta colpendo l’olivicoltura della nostra regione.
Xylella fastidiosa è uno dei batteri fitopatogeni più pericolosi al mondo e per questo, dal 2000 è entrato a far parte degli organismi patogeni da quarantena dell’Unione Europea. La pericolosità del batterio è legata fondamentalmente a tre fattori: i danni provocati alle piante ospiti che, una volta infettate dal batterio, muoiono nel volgere di 2-3 anni; la polifagia del batterio che è in grado di infettare una vasta gamma di specie vegetali, sia coltivate che spontanee e la sua diffusione mediata da insetti vettori.
Nel 2013 fu segnalata una grave affezione che colpiva gli olivi della costa ionica leccese (agro di Gallipoli). In particolare le piante colpite mostravano disseccamenti vistosi, simili a bruscature, di foglie, rami e branche. Purtroppo gli accertamenti diagnostici portarono a individuare, quale agente eziologico della malattia, il batterio Xylella fastidiosa. Trattandosi di un patogeno da quarantena, il livello di allarme fu sin da subito altissimo. L’imponente lavoro svolto dai ricercatori pugliesi permise di individuare in breve tempo il principale vettore del patogeno, la cicalina Philaenus spumarius, anche detta “sputacchina”; la gamma di piante ospiti alternative all’olivo e la modalità di ingresso del batterio nel territorio nazionale, ovvero attraverso materiale di propagazione vivaistica di origine costaricana. Tuttavia, nonostante con D.M. fossero immediatamente varate le misure di contenimento del patogeno, il fronte della malattia dal 2013 ad oggi è inesorabilmente avanzato fino a lambire ormai la provincia di Bari. Le cause della diffusione del batterio non sono ascrivibili solo all’insetto vettore o al trasporto passivo dello stesso attraverso mezzi agricoli o di traporto ma anche alle vicende giudiziarie che, di fatto, hanno rallentato e ostacolato le misure di contenimento inizialmente previste per il patogeno. Questo a ulteriore dimostrazione che ancora una volta la sfiducia nella scienza può avere conseguenze infauste non solo per l’economia ma, nel caso della Puglia, anche per il paesaggio e il patrimonio storico che ogni olivo secolare rappresenta.
In che modo piante e insetti possono rivelarsi utili contro i loro omologhi dannosi?
Esistono moltissimi esempi di piante e insetti utili. La loro conoscenza e studio possono rappresentare un’alternativa a basso impatto ambientale nella lotta ai parassiti. Nel libro riportiamo diversi esempi a riguardo. Ci sono infatti molte molecole estratte dalle piante che oggi vengono impiegate in agricoltura biologica in quanto il loro impatto sull’ambiente e sulla salute umana è pressoché nullo. Una tra tutte l’azadiractina, estratta dall’albero di Neem, una specie originaria del subcontinente indiano. Questo principio attivo ha un’azione repellente e ovicida e non arreca danno alle api. Se poi pensiamo agli insetti utili impiegati nella lotta biologica, bisogna citare in primis le coccinelle, attivissime predatrici di afidi, i pidocchi delle piante. Non è un caso che nella tradizione popolare le coccinelle siano considerate animali portafortuna. Nel libro inoltre ci occupiamo in particolare dell’invasione del cinipide del castagno. Il cinipide è una “vespina” arrivata accidentalmente in Italia dalla Cina negli anni 2000. Con il suo ovopositore (una sorta di pungiglione) rilascia nelle gemme del castagno le sue uova dando origine ad una tumescenza chiamata galla che porta a sofferenza la pianta. Quando introduciamo in un ambiente un nuovo organismo, non trovando predatori e competitori, questo prolifera dando origine a temibili infestazioni. È ciò che è successo con il cinipide che in pochi anni ha colpito duramente la castanicoltura, già in crisi da tempo. Solo l’introduzione da parte degli scienziati del suo parassitoide specifico, il Torymus sinensis, sta permettendo di controllare il parassita senza così ricorrere ad insetticidi di sintesi, assolutamente da evitare in bosco.
Quali rischi può generare l’intervento dell’uomo nella relazione tra piante e insetti?
Abbiamo analizzato questo aspetto nell’ultima parte del libro, nel capitolo “Il terzo incomodo”. Purtroppo l’uomo quando si inserisce in questa relazione rompe equilibri antichissimi con gravi danni all’ecosistema. Con la globalizzazione è sempre più frequente l’introduzione di insetti e piante aliene, ovvero estranee alla nostra fauna e flora, con gli effetti nefasti descritti per il cinipide. Un’altra conseguenza della nostra azione è la massiccia riduzione degli insetti. Si calcola che il 40% degli impollinatori, in particolare farfalle e api (soprattutto le specie solitarie) sia a rischio estinzione. Si tratta di una vera e propria emergenza che ha ripercussioni anche sulla nostra agricoltura dove l’80% delle piante coltivate necessita degli impollinatori per produrre i suoi frutti. Diverse le cause: dai cambiamenti climatici con conseguenze sulle fioriture, alla riduzione degli habitat naturali, all’uso massiccio di insetticidi, in particolare i neonicotinoidi come l’imidacloprid, che agiscono sul sistema nervoso delle api disorientandole e uccidendole. A tal proposito l’Unione Europea ha deciso di mettere al bando questi principi attivi ma la strada verso un’agricoltura, e in generale verso un modello di sviluppo più sostenibile, è ancora lunga. Bisogna però agire presto, lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti affinché possano continuare a stupirsi di fronte allo spettacolo di una farfalla che leggiadra si posa su un fiore.
Nicola Anaclerio, laureato in Scienze Forestali e Ambientali e specializzato in entomologia e fitopatologia, insegna scienze naturali presso il Liceo Scientifico Benedetto Varchi di Montevarchi (AR).
Maria Elena Rodio, laureata in Scienze e Tecnologie Agrarie, specializzata in fitopatologia, ha conseguito il dottorato di ricerca in Virologia Vegetale lavorando all’Università Politecnica di Valencia. È insegnante di matematica e scienze presso l’Istituto Comprensivo Dante Alighieri di Cavriglia (AR).