
Senza dimenticare l’assenza di partner, imputabile alla scelta o alla necessità di vivere in solitudine: i single, altrimenti detti famiglie mononucleari/monocomponenti, sono quasi 8 milioni in Italia (di cui 1,6 di vedove/i), rappresentano un terzo degli adulti nei 28 paesi della Comunità Europea, mentre negli Stati Uniti nel 2014 hanno superato il 50% della popolazione maggiorenne.
In tale situazione sempre più spesso i Pets finiscono per surrogare la presenza dei figli biologici: non è casuale che il 90% degli ex proprietari occidentali si consideri genitore dei propri pets, riversando su di loto affetti e attenzioni impensabili sino a pochi anni fa.
Gli animali domestici sono sempre più trattati come membri della famiglia tanto che si è ormai diffusa l’abitudine di considerarsi il loro «genitore», non più il loro padrone: possiamo considerare l’umanizzazione e la parentizzazione dei pets una degenerazione della nostra società?
No, non la considero affatto una degenerazione, al netto delle situazioni patologicamente più estreme. L’ingresso degli animali nello stabile perimetro dei nostri affetti più cari è un fatto storico irreversibile, che tuttavia non diminuisce affatto l’empatia per i nostri simili. Gli esseri umani che amano gli animali sono di norma più sereni, aperti, tolleranti, pacifici e gentili di quelli che li disprezzano, li odiano e li maltrattano. Questo è noto e comprovato, al netto della distribuzione stocastica dell’imbecillità, che per la legge dei grandi numeri colpisce nel mucchio anche tra miliardi di pet lovers.
L’arrivo in casa di un pet – cane, gatto, coniglio o furetto – rivoluziona abitudini, ritmi e ruoli: che conseguenze produce sui rapporti familiari?
L’ingresso di un nuovo amico per sempre/membro in famiglia, a fortiori se mononucleare, esige la massima concentrazione, perché muta radicalmente lo status sociale, le relazioni amicali e sentimentali, le abitudini quotidiane, le libertà, insomma la vita del/i proprietario/i genitore/i, cambiando la natura e il tenore delle nostre relazioni.
E ciò accade per anni, talora decenni. Per questo dobbiamo sempre domandarci se siamo all’altezza dei compiti e delle responsabilità che ci attendono.
Da tempo si sta diffondendo la pratica di adottare, oltre ai tradizionali cane e gatto, anche animali esotici, come rettili o aracnidi: per quale motivo secondo Lei?
La risposta più esauriente la danno gli studi sui caratteri comportamentali e psicologici dei proprietari di exotica, che, pur non essendo facilmente generalizzabili, evidenziano tratti distintivi molto chiari, come si può evincere dalla lettura dei numerosi articoli scientifici consacrati al loro esame, con titoli che fanno meditare, talvolta sognare a occhi aperti: “Caratteristiche delle personalità dei proprietari di cavalli, tartarughe, serpenti e uccelli”, “Non così a sangue freddo: i tratti delle personalità borderline e narcisistiche predicono l’attaccamento ai pet tradizionali e non tradizionali” o “Le dimensioni sociali dei rapporti tra umani e uccelli: i pappagalli e le persone che li amano”.
La legislazione stessa si è evoluta: le norme condominiali non possono più vietare il possesso di animali domestici, è possibile detrarre le spese veterinarie, etc. Come evolverà a Suo avviso la legislazione sui pets?
Diventerà sempre più permissiva e inclusiva: in molti ambiti accademici, anche prestigiosissimi, si parla già di “cittadinanza animale” e si è aperta un’ampia discussione sui diritti politici (per esempio di elettorato attivo, posto che non è affatto vero che in democrazia “votano cani e porci”), che dovrebbero essere connessi al suo pieno godimento.
Giuristi, politologi e zooantropologi si stanno scervellando per individuare le forme ottimali di espressione del voto, dal momento che molti cani potrebbero confondere le matite copiative per appetitosi legnetti e i gatti sbirciare nelle cabine dei vicini, per non parlare dei criceti e dei cincillà, che potrebbero sporcare la fedina penale dei presidenti di seggio rosicchiandosi le schede.
Scherzi a parte, è un tema che sta già orientando il dibattito politico anche in Italia, come può constatare chiunque abbia seguito gli avvenimenti più recenti.
Per i propri pets si è disposti a spendere: che ricadute ha e avrà sull’economia la diffusione degli animali d’affezione?
Per rispondere bastino alcuni semplici numeri: oggi il pet market globale vale mal contati 160 miliardi di euro annui, laddove il mercato italiano ne quota 4, con una spesa annua pro capite di oltre 100 euro per ciascuno dei 35 milioni di possessori di pets tricolori.
Sebbene si tratti di una divisione rozza, il 50% dei sopra menzionati 160 miliardi è ascrivibile ai prodotti per l’alimentazione, il cosiddetto macrosegmento pet food, in crescita del 4% rispetto all’anno precedente, l’altra metà al macro segmento pet care, che include sia le spese per le cure medico-veterinarie, i farmaci, l’igiene e la bellezza, l’istruzione, i prodotti e i servizi per l’abbigliamento, l’intrattenimento, i viaggi, il turismo, le assicurazioni ecc., sia il vastissimo e scintillante mondo dei “servizi alla persona”.
Non si tratta di un fenomeno occidentale: nei Brics e nei paesi emergenti il tasso di crescita viaggia in doppia cifra e non si arresterà rapidamente, poiché da diversi decenni gli economisti considerano l’acquisto/il possesso di un animale da compagnia una prova inconfutabile della crescita della ricchezza e del benessere di una nazione.