
Al centro di una narrazione tanto impervia, c’è il personaggio di Carlo Valletti, piccolo borghese trentenne, intellettuale di formazione tecnica. È lui a portare nel testo – già bipartito in senso macrostrutturale – la scissione schizomorfica, sdoppiandosi da un lato in Carlo I (o di Polis), esempio di un utilitarismo asservito al Potere; dall’altro in Carlo II (o di Tetis, o Karl), emblema di un puro istinto, di una libido che richiama ai primordi dell’Io (e con ulteriori trapassi di genere, da maschio a femmina e viceversa).
Una vera trama non è prevista: Petrolio è da intendersi come “un vasto e profondo fronte lavico” che cresce su se stesso con immediatezza espressiva. E tuttavia un tema dominante affiora, carissimo alla sensibilità dell’Autore: quello del crescente imbarbarimento del mondo sotto la spinta del neocapitalismo omologatore. Un tema dispiegato con cupezza onirica e apocalittica tramite un’escursione a vastissimo raggio: Italia contadina e urbano-industriale, Africa, Asia, classicità greco-latina, patristica cristiana, Medioevo. Né mancano collegamenti espliciti con la cronaca politica degli anni Sessanta e Settanta, segnata dall’ascesa e dalla caduta dell’ENI di Enrico Mattei (qui esemplato nel personaggio di Bonocore, poi di Troya), e dal dispiegarsi di una strategia stragista, a cui partecipa il protagonista, Carlo, e che l’Autore vuole distinta in due fasi: la prima a carico dei neofascisti dell’MSI – così da contrastare l’avanzata delle sinistre -, la seconda organizzata direttamente dal Potere, per ridimensionare il ruolo che lo stesso MSI viene assumendo. Nell’insieme, e con dicitura profetica, l’Autore intende deprecare le sorti del Moderno, approdato a una massificazione su scala planetaria, capace di neutralizzare ogni alterità non borghese nel nome dell’edonismo consumista.
Una modernità di massa oltretutto insidiata dalle turbolenze dei mercati petroliferi manifestatesi nell’inverno 1974-1975 (“austerity”, razionamento elettrico). Qui andrebbe collocata una “crisi cosmica”, discrimine incerto tra un nuovo inizio e una più probabile chiusura dei tempi. Con la sua linearità progrediente verso la catastrofe, il Moderno non lascia scampo; e d’altra parte il volgersi pasoliniano alle civiltà trascorse, alle culture rurali, alonate di sacertà e di energia vitale sempre rinnovantesi, si traduce in un costante impulso di morte. Nei modi di un’opera sperimentale, tendente alla prosasticità informe, Petrolio sconta così la sua “impasse” orgogliosa e persino sprezzante.»