
Queste riflessioni sono in certa misura raccolte e riprese nel volume. Complessivamente, gli autori che vi hanno contribuito sembrano concordi nel riconoscere che la contesa sino-statunitense stia progressivamente investendo l’area latinoamericana, pur senza cadere in semplificazioni estreme o visioni manichee; la regione, infatti, non affronta al momento uno scenario di estrema rigidità, i singoli Paesi non si trovano cioè di fronte alla necessità di compiere scelte di campo nette tra Washington e Pechino.
Certo è che i segnali di un deterioramento di tale scenario sono in costante aumento. La pandemia da Covid-19 e la corsa all’accaparramento dei vaccini hanno offerto diversi esempi in tal senso. O ancora i Paesi della regione sono stati coinvolti nelle tensioni tra Washington e Pechino in relazione ad alcuni settori strategici, come quello della tecnologia del 5G o dei minerali chiave per la transizione energetica, come il litio. In questi campi, Pechino ha costruito una posizione di forza nel corso degli ultimi anni; soprattutto in Paesi come Brasile (per ciò che concerne le telecomunicazioni e lo sviluppo della rete 5G) o Cile, Argentina e Bolivia (nel settore dell’estrazione e commercializzazione del litio), solo per citarne alcuni. Le pressioni USA su questi Paesi sono però progressivamente cresciute; pressioni che volevano indurre a ridurre la dipendenza dalla potenza asiatica in quei settori e offrire soluzioni alternative di investimento. Infine, anche negli ultimi mesi ci sono stati episodi che sembrano suggerire che lo spazio di manovra per gli attori latinoamericani si stia via via restringendo. Washington ha infatti sollecitato a diversi Paesi della regione l’invio di aiuti militari a Kiev, ricevendo in cambio silenzi molto significativi (nel migliore dei casi) o aperti rifiuti e pesanti critiche (come nel caso delle dichiarazioni del Presidente brasiliano Lula nel corso della sua ultima visita a Pechino).
Su cosa comporti questa intensificazione del coinvolgimento latinoamericano nella contesa globale le posizioni possono ovviamente differire. Da un lato, gli autori del volume sembrano concordare sui rischi che uno scenario di maggiore tensione e rigidità produrrebbe per la regione, ed in particolare per quei Paesi che sono ancora legati in termini di investimenti, ma anche sul piano politico, agli USA e, allo stesso tempo, hanno costruito nel tempo una forte dipendenza commerciale dal mercato cinese. Per questi attori, prendere posizione tra le due potenze sarebbe non solo rischioso, ma anche particolarmente costoso. Dall’altro lato, la competizione potrebbe anche produrre nuove opportunità, soprattutto nel caso essa si traduca in una corsa al rialzo, in termini di finanziamenti, nei settori ad esempio delle nuove tecnologie e del litio.
E qui ci sembra di poter dire che tutti gli autori convergano sull’idea che le implicazioni del nuovo clima internazionale, quanto diverranno reali i rischi della competizione e quanto saranno sfruttate le opportunità che da essa nasceranno, dipenderà in misura non marginale dalla capacità delle leadership nazionali latinoamericane di navigare queste difficili acque senza venir inghiottite dal vortice della contesa sino-statunitense.
In che modo l’America Latina rientra nelle strategie internazionali di Washington e Pechino?
Con l’amministrazione di Joe Biden, la regione sembrava aver riacquistato un certo peso nelle riflessioni relative alla strategia internazionale USA. Una maggiore attenzione, ad esempio, sembrava suggerita dal vertice inter-americano organizzato a Los Angeles circa un anno fa, dove – nel contesto delle crescenti tensioni legate all’invasione russa del territorio ucraino – il Presidente USA ha tentato di allineare i Paesi della regione sotto la bandiera dei comuni valori democratici. O ancora, in tempi ancora più recenti, la riattivazione di alcuni canali diplomatici con il Venezuela di Nicolás Maduro hanno fatto pensare ad un rinnovato impegno statunitense verso l’area.
In realtà, tuttavia, a questi timidi segnali non hanno fatto seguito grossi cambiamenti nella politica latinoamericana di Washington; la regione – a parte per alcuni temi che hanno una ricaduta immediata sulla politica interna USA, come narcotraffico e immigrazione – continua a restare fuori dalle priorità di Washington. Nel suo contributo, il Prof. Raffaele Nocera fa rilevare proprio questo dato: l’assenza di una chiara e precisa strategia di engagement con la regione è un elemento di continuità che accomuna tutte le ultime amministrazioni USA dalla fine della Guerra fredda ad oggi. I riflettori sull’area latinoamericana sembrano essersi accesi (e spenti) solo in occasione di eventi o in relazione a processi che potevano minare gli interessi strategici di Washington. La penetrazione di Pechino nella regione rientra in questa categoria: sebbene tale processo sia avvenuto nel corso degli ultimi due decenni, infatti, è solo in tempi recenti, come conseguenza del deterioramento del clima con la Repubblica Popolare Cinese, che Washington ha iniziato a denunciare i rischi ad esso connessi.
Per quanto riguarda la Cina, il quadro è sensibilmente diverso. La regione, sia ben chiaro, non è neanche per Pechino un’area strategica prioritaria. Tuttavia, la potenza asiatica ha dei precisi interessi in relazione all’America Latina ed ha dimostrato nel tempo di avere un’idea chiara di come perseguirli. Sul piano economico, la regione ha rappresentato per Pechino un bacino di risorse strategiche a cui attingere per sostenere la propria crescita interna e, allo stesso tempo, un mercato di destinazione dei propri prodotti e capitali. Sul piano politico, Pechino ha invece cercato (e trovato, in molti casi) dei partner con cui fare sponda nel proprio tentativo di gettare le fondamenta di un rinnovato ordine internazionale in cui poter giocare un ruolo da protagonista. In questa ottica, come sottolineato nel contributo della Dott.ssa Flavia Lucenti, l’America Latina è diventata parte della più ampia strategia adottata da Pechino verso i Paesi del Sud Globale ed ha infatti insistito molto sulla narrazione della “south-south cooperation” nei rapporti con la regione.
Quanto la dinamica competitiva in atto sul piano sistemico ha modificato e sta modificando le relazioni tra la regione e le due potenze?
Come già accennato, la questione dei rapporti con Pechino già da diversi anni anima le relazioni inter-americane. Soprattutto nel periodo dell’amministrazione Trump le preoccupazioni di Washington sull’influenza conquistata dalla Repubblica Popolare Cinese nella regione sono diventate particolarmente visibili. I toni e il linguaggio usati da quella amministrazione, la logica del “con noi o contro di noi” che ricordava per certi versi quella della Guerra fredda, però, hanno portato a più tensioni che consensi all’interno della regione. D’altra parte, visto che Pechino era diventata un socio commerciale ed un investitore di primo piano per molti attori locali, era difficile immaginare che l’effetto potesse essere diverso.
Va detto, però, che alcuni dei temi sollevati da Trump sono poi rimasti e sono tutt’ora sul tavolo. Ad esempio, la questione del 5G e delle relative infrastrutture, e i rischi connessi all’affidamento alle grandi aziende cinesi come Huawei di questa tecnologia, sono diventati e sono rimasti un elemento di riflessione e di più attento scrutinio per i governi latinoamericani. Come ricordato, poi, nel passaggio da Donald Trump a Joe Biden la discontinuità nei rapporti con la regione ha riguardato più i toni e lo stile che i contenuti. Per certi versi, proprio il tema delle relazioni con Pechino continua ad essere (e con ogni probabilità lo sarà sempre più nel prossimo futuro) uno dei fattori dirimenti del dialogo inter-americano.
Per quel che concerne Pechino, l’impressione è che – soprattutto dopo l’arrivo al potere di Xi Jinping – il dialogo politico con la regione si sia intensificato. Forse il dato più emblematico in questo senso è stata l’estensione all’America Latina del progetto della Belt and Road Initiative, avvenuta emblematicamente tra 2017 e 2018, cioè proprio negli anni dell’amministrazione Trump. L’adesione da parte dei Paesi della regione è stata rilevante, visto che la BRI conta già 21 membri in quest’area.
Un altro elemento importante da sottolineare è quello legato alla narrazione a cui ha fatto ricorso Pechino in questi anni. La competizione strategica con gli USA, infatti, non viene mai citata nei documenti e nelle dichiarazioni ufficiali di Pechino. Certo, ciò non toglie che ci siano state occasioni di scontro e dure accuse a Washington per fatti ed episodi inerenti la regione, come in occasione della pandemia da Covid-19. Tuttavia, Pechino ha cercato costantemente di presentare le relazioni con la regione come un rapporto tra pari, insistendo sulla già richiamata “south-south cooperation” piuttosto che sulla retorica del “con noi o contro di noi”. Va sottolineato, però, che – sebbene la scelta in termini di narrazione sia coerente con il profilo di una potenza in ascesa come quella cinese e con il sentimento diffuso in America Latina di diffidenza verso gli Stati Uniti – tra parole e fatti resti comunque una distanza notevole: nel senso che le relazioni con Pechino sono diventate per la regione profondamente asimmetriche e che, non diversamente dalle altre potenze, anche quella cinese agisce sulla base del proprio tornaconto piuttosto che in nome di una non meglio precisata armonia e complementarità di interessi con i Paesi dell’area.
In che modo la contesa tra Stati Uniti e Cina rappresenta l’ennesimo episodio dello scontro tra le due identità e concezioni politiche – panamericanismo e panlatinismo – che hanno attraversato la storia della regione sin dalla sua indipendenza?
Il prof. Loris Zanatta, in uno dei capitoli di apertura del volume, si sofferma proprio su questo tema. I due termini si riferiscono a due modi opposti di concepire la società e la politica che hanno storicamente convissuto nell’area latinoamericana. Il contrasto tra queste due prospettive, nella lettura di Zanatta, si sarebbe manifestato già negli allineamenti dei Paesi latinoamericani nel corso della Guerra fredda, sovrapponendosi a quello tra il blocco occidentale e quello comunista. Oggi, questa spaccatura interna alla regione, e ai singoli Paesi, si rifletterebbe nel posizionamento di governi, partiti e leader latinoamericani più o meno distanti da Washington e più o meno vicini a Pechino. È alla luce di questa interpretazione che Zanatta ritiene l’attuale competizione sino-statunitense paragonabile al periodo del confronto bipolare tra USA e URSS.
Questo non vuol certo dire che le due fasi storiche siano perfettamente sovrapponibili o che si sia di fronte ad una ripetizione di quanto già visto in passato. Ciò emerge se si guarda al modo in cui la Cina si è rapportata alla regione e a come i diversi attori latinoamericani hanno risposto. Se è vero, infatti, che alcuni hanno allacciato un rapporto più stretto con Pechino – si pensi al caso del Venezuela chavista – è altrettanto vero che le opportunità economiche aperte dall’ascesa del gigante asiatico sono diventate allettanti per tutti i governi della regione, senza distinzione di appartenenza politica.
È in ogni caso inconfutabile che anche nella regione si sia tornati a parlare di una divisione di campo tra democrazie liberali e regimi illiberali. Ad esempio, ha fatto discutere la decisione di Washington di escludere Venezuela, Cuba e Nicaragua dal già menzionato vertice di Los Angeles dello scorso anno; tale decisione si basava proprio sull’idea del principio democratico come valore fondante il dialogo inter-americano. Le reazioni emerse nella regione in occasione di quell’episodio, tuttavia, sembrano suggerire che la leadership statunitense, e la capacità aggregante del panamericanismo, siano tutt’altro che solide. Allo stesso tempo, come rileva Zanatta, non bisogna commettere l’errore di pensare che l’idea di un emisfero unito sotto la bandiera della democrazia liberale sia perduta o definitivamente tramontata.
Quale sarà l’impatto sui processi di integrazione regionale o sui rapporti con attori terzi, quali l’Unione Europea o l’Italia?
Anche su questo punto, fare delle previsioni non è semplice né scontato. Come sottolineato nel capitolo della Prof.ssa Mori, al momento la dinamica competitiva tra Washington e Pechino sembra avere effetti contrastanti sui processi di integrazione regionale latinoamericani. Da un lato, le due potenze sembrano privilegiare il dialogo bilaterale con i Paesi della regione, soprattutto per quel che concerne le questioni economiche. Ad esempio, la Cina ha avviato il tavolo dei negoziati con l’Uruguay per la sottoscrizione di un accordo di libero scambio; questo produrrebbe un effetto disgregante su una delle realtà regionali più consolidate, cioè il Mercosur (Mercado Común del Sur), di cui Montevideo fa parte. Dall’altro lato, ci sono segnali che indicano che sia Washington che Pechino siano intenzionati a portare avanti il dialogo politico con la regione a livello multilaterale, privilegiando un’istituzione di più recente fondazione, che negli ultimi anni ha acquisito nuova vitalità, come la Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños).
Per quanto riguarda i rapporti con Unione Europea e Italia, la competizione sino-statunitense potrebbe aprire nuovi spazi di dialogo e cooperazione. Per l’UE, il nuovo contesto internazionale potrebbe favorire la chiusura definitiva del tanto atteso accordo con il Mercosur; si tratterebbe di un passo fondamentale per approfondire i legami politici, commerciali e finanziari con due delle principali economie della regione, Argentina e Brasile. Gli ostacoli, però, non mancano. È quanto sottolineato dal Dott. Davide Serraino nel suo contributo al volume, che guarda anche ad accordi spesso non menzionati, ma che pure hanno una rilevanza non secondaria per l’UE, cioè quelli con Messico e Cile.
Infine, per quanto concerne l’Italia, non vi è dubbio che la regione – e il momento storico in cui viviamo – rappresentino un’opportunità. Sia in termini commerciali che di investimento, il nostro Paese può giocare un ruolo certamente maggiore nell’area. Soprattutto se si pensa alle risorse strategiche per la transizione energetica di cui la regione dispone e che stanno diventando un interesse prioritario per l’Italia e, più in generale, i Paesi europei. Nella loro ricostruzione storica della presenza economica italiana in America Latina, il Dott. Marco Bertuccio e il Prof. Gaetano Sabatini sottolineano proprio questi elementi, rimarcando i legami storici e culturali che ci legano alla regione e che rappresentano un patrimonio su cui il nostro Paese dovrebbe fare maggiormente leva per consolidare la propria posizione nell’area.
Carlo Catapano è assegnista di ricerca presso l’ISEM-CNR. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze politiche presso l’Università degli Studi Roma Tre. Coordina il desk America Latina del Centro Studi Geopolitica.info.
Antonella Ercolani è professoressa ordinaria di Storia dell’Europa Orientale e direttrice del Centro interdisciplinare di ricerca sulle culture di genere (CIRgE) presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT).
Lorenzo Termine sta concludendo il dottorato di ricerca in Studi politici presso Sapienza Università di Roma ed è docente di Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Coordina il desk Cina e Indo-Pacifico del Centro Studi Geopolitica.info.