
Per Heidegger «il linguaggio è la casa dell’essere»: quale funzione assolvono la poesia e i poeti?
I poeti sono quelli che all’essere, alla statura vere delle cose, che ci vengono incontro nel mondo preparano la casa, la lingua che possano abitare senza perdere la rilucenza originaria delle parole che le dicono, sottraendole – le parole – all’usura del mero scambio linguistico, informazionale-operativo, o anche solo comunicativo. Se la poesia comunica qualcosa è una comunicazione d’esistenza, come cioè l’esistenza mi si rifà meraviglia da dire e restituire agli altri. È questa comunicazione di esistenza, il rilucere dell’essere nelle faville delle cose e, nello specchio di sé, il rilucere a sé dello stesso lumen naturale della ragione, che mette in dialogo poesia e filosofia.
Quale lettura dà Heidegger della poesia in Hölderlin?
Se Hölderlin è per Heidegger «il poeta del poeta», è perché nella sua poesia quello che è a tema è l’essenza “linguistica” della poesia, che in quanto «linguaggio non è uno strumento disponibile, ma l’evento che in quanto tale dispone sulla suprema possibilità dell’essere uomo»; il farsi linguaggio del linguaggio come farsi del mondo nella parola. Il motivo per cui la poesia è poiesi originaria. Una poiesi che è nel lirico, nel fenomeno del lirico, che scopre il suo miracolo: l’Io, come dirsi del mondo e dire “Io”. Il motivo per cui Leopardi – che è l’altro “coautore” insieme allo Hölderlin di Heidegger delle mie riflessioni, che mi ha aiutato a ripensare il rango esistenziale e non solo ontologico della poesia – ha individuato nella lirica «la cima il colmo la sommità della poesia», e dei suoi “generi” il solo «perché primo di tempo, […] eterno ed universale, cioè proprio dell’uomo perpetuamente in ogni tempo ed in ogni luogo, come la poesia»; sì che la poesia «consisté da principio in questo genere solo», e la sua essenza «sta sempre principalmente in esso genere, che quasi si confonde con lei, ed è il più veramente poetico di tutte le poesie, le quali non sono poesie se non in quanto son liriche», dove «quello che veduto nella realtà delle cose, accora e uccide l’anima, veduto nell’imitazione o in qualunque altro modo nelle opere di genio (come per esempio nella lirica, che non è propriamente imitazione), apre il cuore e ravviva» – che è il «magistrale effetto della poesia, quando giunge a fare che il lettore acquisti maggior concetto di sé, e delle sue disgrazie, e del suo stesso abbattimento e annichilamento di spirito)». Se Hölderlin è il poeta del poeta, Leopardi, che qui sto citando, è la coscienza della poesia, ne conosce l’ufficio, dal lato di chi la fa, dal lato di chi vi mette le mani: il vicinissimo del “sentimento” nel lontanissimo della “contemplazione” del proprio stare al mondo, nel mondo. Punto di equilibrio tra “apollineo” e “dionisiaco” (Nietzsche), ovvero tra ferma forma e animo mosso, intuizione contemplativa e sentimento, “espressione o intuizione lirica” (Croce), l’arte, il poeta, la “grande arte”, il “poeta del poeta”, hanno sempre questo ufficio: assistere come la prima volta all’incarnarsi delle cose; nel germinío del mondo – delle cose e di sé – ascoltarne il silenzio e dargli voce: dar forma alla presenza.
Come si manifestano nella grande lirica moderna la necessità e l’insostituibilità della poesia?
La grande lirica moderna, che nel mito dell’arte per l’arte, dell’autonomia poietica del suo senso della parola, sembra non avere alcuna consistenza ontologica, non avere alcuna intenzione di dire il mondo che abita, ma solo sé stessa e il suo gesto poetico, in realtà il mondo lo dice nel modo appropriato alla modernità: nel modo della sua perdita all’io del quotidiano. Il mondo viene detto in absentia, nella sua perdita a noi: e proprio questo servizio della “povertà” (il tempo della povertà di Hölderlin per cui servono i poeti) per riportarcela almeno davanti agli occhi, è il grande “ufficio”, per certi aspetti religioso, della lirica moderna.
Eugenio Mazzarella insegna filosofia teoretica all’Università Federico II di Napoli. È stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo fridericiano e deputato al Parlamento nella XVI legislatura. Tra le sue opere Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario metafisico (Il melangolo, Genova 2004); L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet, Macerata 2017); Sacralità e vita (Guida, Napoli 1998); Vita politica valori (Guida, Napoli 2010) e la raccolta di poesie Anima madre (ArtstudioPaparo, Napoli 2015). Con Neri Pozza ha pubblicato Il mondo nell’abisso. Heidegger e i Quaderni neri (2019).