Il proverbio è formato da tre parole: un sostantivo, una negazione e un verbo. Pecunia, pecuniae è un sostantivo femminile di I declinazione al nominativo singolare e, dunque, con la funzione di soggetto della frase. Il termine sembra derivare da pecus, pecudis (nome di III declinazione, sigmatico e imparisillabo), che significa “gregge”, perché prima dell’economia monetaria i capi di bestiame venivano impiegati nel baratto e costituivano, pertanto, una sorta di moneta. Non è la negazione; olet il predicato verbale alla III persona singolare del presente indicativo attivo del verbo oleo, oles, olui, olēre (di II coniugazione), con il significato di “puzzare”. La traduzione letterale è allora “il denaro non puzza”.
Ma dove ha avuto origine questa frase e, soprattutto, come deve essere intesa?
La locuzione latina è di Svetonio, biografo e intellettuale a cavallo fra il I e il II secolo d.C., ed è tratta da una delle biografie di imperatori che scrisse e che sono raccolte sotto il titolo di De vita Caesarum, “Le vite dei Cesari”.
La biografia da cui è tratta la frase pecunia non olet è la Vita del divo Vespasiano, l’imperatore che regnò a Roma dal 69 al 79 d.C., primo della dinastia flavia, passato alla storia per aver avviato la costruzione del Colosseo e per la vittoria sui giudei del 70 d.C., ma noto ai più per aver inventato una tassa sui bagni pubblici, il cui nome è, non a caso, vespasiani. Ecco il brano in cui si trova l’espressione:
Al figlio Tito, che lo criticava perché aveva escogitato perfino un’imposta sull’urina, mise sotto il naso il denaro ricavato dal primo versamento, chiedendogli se era disturbato dall’odore; e poiché egli rispose di no: «Eppure», disse, «viene dall’urina». – Svetonio, Vita del divo Vespasiano 23
In latino:
Reprehendenti filio Tito, quod etiam urinae vectigal commentus esset, pecuniam ex prima pensione admovit ad nares, suscitans “num odore offenderetur”; et illo negante: «Atquin», inquit, «e lotio est».
Eh sì. Vespasiano è comunemente ricordato per i cessi. Non bagni, ma proprio cessi, latrine pubbliche dove ci si fermava per bisogni impellenti, stanzette con un’unica lunga seduta lungo le pareti dove, davanti agli altri, ci si installava per… per quello. Siccome erano molto utilizzate e Vespasiano aveva ereditato l’impero romano dopo il regno di Nerone, che aveva speso di tutto e di più, allora ebbe un’idea geniale e, se ci pensiamo, abbracciata ancora oggi: mise una tassa sui bagni. Chi voleva usarli doveva pagare.
tratto da Se vuoi essere fico usa il latino di Massimo Blasi, Newton Compton Editori