“Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia” di Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia

Prof. Francesco Benigno, Lei è autore con Vincenzo Lavenia del libro Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia edito da Laterza. Lo scandalo dei sacerdoti pedofili che costella le cronache contemporanee ha in realtà radici lontane: dove ne vanno ricercate le origini?
Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia, Francesco Benigno, Vincenzo LaveniaSiamo partiti dalla constatazione che lo scandalo della pedofilia è una questione grave e importante, che negli ultimi decenni ha turbato profondamente la Chiesa cattolica, scuotendo in vari paesi in modo drammatico le stesse fondamenta collettive della fede. Per comprendere le cause del fenomeno abbiamo ritenuto fosse importante cercarne le radici nella storia ed essenzialmente nella concezione cattolica del peccato in relazione a quella di crimine, delineandone i tratti per come una tradizione bimillenaria li ha configurati. Le attuali spiegazioni del dilagare della pedofilia tra le file del clero ci sono infatti parse insufficienti: da un lato tutta un’ala del mondo cattolico, diciamo così tradizionalista, ha ritenuto che il fenomeno derivi dal dilagare nelle file del clero dell’omosessualità e di costumi depravati che sono stati liberalizzati nella società occidentale a partire dagli anni sessanta del Novecento con la rivoluzione sessuale e dei costumi; mentre dall’altra, una diversa e opposta corrente di pensiero ne ha individuato le cause nel “clericalismo”, vale a dire nella tendenza del corpo ecclesiale a chiudersi a riccio rispetto alla comunità dei fedeli, e nel conseguente persistere di atteggiamenti, costumi e modi di espressione peculiari ad esso e poco in sintonia con le domande sociali più significative della società del XXI secolo. Pur cogliendo senza dubbio aspetti reali del fenomeno queste due spiegazioni sono tuttavia parziali. Esse presentano il limite di non approfondire i modi in cui la concezione cattolica di cosa sia un peccato e cosa un crimine ha avuto parte tra le cause dello scandalo. Che, va ricordato, non ha consistito soltanto, o principalmente, nelle perversioni sessuali di un certo numero di sacerdoti e clerici ma soprattutto nell’incapacità della Chiesa a farvi fronte.

Come si è articolato storicamente il rapporto tra sessualità, clero e minori?
Il cristianesimo ha ereditato dalla medicina antica e dalle correnti filosofiche successive a Platone l’idea che le passioni carnali dovessero essere contenute e indirizzate soprattutto agli scopi di riproduzione, nel quadro delle relazioni “secondo natura”. A questo si è aggiunta l’interdizione di derivazione ebraica contro gli atti sessuali extra-matrimoniali e omosessuali. Più tardi la prima legislazione imperiale cristiana ha criminalizzato l’antico modello greco-romano che legittimava il rapporto pederastico omosessuale, e dunque la relazione tra un adulto attivo e un minore passivo. Ma queste relazioni, così come l’abuso di ragazzine, sono continuate anche nei secoli successivi e hanno interessato i laici tanto quanto il clero, che pure si configurò come un ceto distinto che esaltava la castità sopra ogni altra scelta esistenziale. Dopo l’anno Mille la battaglia contro il peccato di “sodomia” e l’imposizione del celibato contribuirono a tenere alta l’attenzione delle gerarchie sui peccati della carne compiuti dal clero, ma la stigmatizzazione si rivolse soprattutto contro i comportamenti omoerotici. Essi implicavano spesso la passività di un minore ed erano considerati una forma più grave di lussuria. Di più: in alcune regioni dell’Europa li si considerava addirittura come un’eresia o come una contaminazione “orientale” che pervertiva l’ordine della natura e della comunità cristiana. Dopo il Cinquecento però il momento che fu scandagliato con più attenzione fu quello in cui la penitente o il penitente si confessavano, per evitare che il clero insozzasse il sacramento del perdono con la concupiscenza o con l’adescamento. Venne elaborato così il peccato di “sollecitazione sessuale durante la confessione”, mentre non si prestò una particolare attenzione né all’eventuale abuso di minori né alla protezione della vittima.

In che modo la Chiesa è intervenuta nella storia contro gli abusi del clero sui minori?
Poiché fino alla Rivoluzione francese il clero fu immune per diritto dalla giustizia secolare, furono le corti ecclesiastiche a colpire il clero che commetteva peccati della carne, senza un particolare riguardo per l’abuso dei minori e intervenendo con proprie procedure penitenziali soprattutto contro i chierici sodomiti o concubini. Dal Cinquecento nella Penisola iberica e nelle colonie cattoliche la repressione dell’omosessualità del clero, che implicava spesso minori passivi, fu portata avanti talora anche dai tribunali dell’Inquisizione, i quali però repressero soprattutto l’adescamento durante la confessione. In ogni modo prevalse spesso l’impunità e il bisogno di proteggere il clero dallo scandalo. Solo nell’Ottocento, quando la Chiesa cattolica dovette rinunciare ai propri tribunali territoriali, la giustizia secolare cominciò a occuparsi dei casi di abusi del clero compiuti sui minori, che in alcuni momenti, specie in Francia, divennero occasione di propaganda anticlericale e di riflessione per la nascente criminologia, per la medicina legale e per la psicoanalisi. La Chiesa, da parte sua, continuò a trattare di queste materie a livello diocesano e presso la Curia romana con procedure segrete che puntavano a rimuovere il peccato e a riconciliare chi l’avesse commesso al riparo dagli occhi indiscreti dell’opinione pubblica. Il dibattito sul clero abusante parve sopito per gran parte del XX secolo, per poi ripresentarsi in forme eclatanti in anni a noi vicini.

Le prime avvisaglie di una nuova temperie si possono far risalire a uno scandalo scoppiato in Florida nel 1985, ma l’ondata dei processi si è poi estesa a tutti gli Stati Uniti e da lì è dilagata prima in Irlanda, Francia, Germania, America Latina e poi nel mondo intero. Da allora è apparsa evidente la tendenza della Chiesa cattolica a gestire il fenomeno al proprio interno senza divulgarlo e seguendo per così dire l’insegnamento manzoniano contenuto nelle celebri parole del conte zio rivolte al padre provinciale: «Sopire, troncare, padre molto reverendo; troncare, sopire». A ciò si aggiunga la persistente tendenza a non espellere i sacerdoti rei, anche recidivi, ma a trasferirli di parrocchia o al più a sospenderli temporaneamente. Solo in tempi molto recenti la Chiesa, prima con papa Benedetto XVI e poi con papa Francesco, di fronte alla gravità dei danni provocati dallo sdegno collettivo, ha intrapreso un percorso di cambiamento delle categorie utili ad interpretare la pedofilia, guardandolo non più come un peccato contro il sesto comandamento (“non commettere atti impuri”) commesso insieme da sacerdoti e fedeli impuberi, ma come un crimine, un atto grave compiuto da un ecclesiastico contro una persona di età minore, e perciò fragile. Un crimine, cioè, commesso ai danni di persone indifese, capace di lasciare profondi traumi: non una semplice macchia, perciò, ma una profonda ferita, che si può forse cicatrizzare col tempo ma non cancellare.

Siamo, a Suo avviso, di fronte a un cambio di atteggiamento da parte della Chiesa nei confronti del problema della pedofilia?
Certamente, questo mutamento si viene profilando, ma tra tenaci resistenze e persistenti ritardi. Ora, però, si avverte una svolta: Papa Francesco ha fatto di questa battaglia uno dei punti qualificanti del suo pontificato e ha emesso una serie di provvedimenti atti a garantire maggiore speditezza e trasparenza. C’è tuttavia ancora molto da fare. Ciò che occorre comprendere è che su questo terreno si è verificata una clamorosa divergenza, un profondo gap di sensibilità tra la Chiesa e la società moderna, e che la soluzione del problema passa attraverso la riduzione di questo divario. Fino a mezzo secolo fa tutta una serie di comportamenti incentrati sulla violenza sessuale erano concepiti comunemente come dei reati contro le regole sociali condivise, vale a dire i dieci comandamenti nella Chiesa e la concezione generale dei rapporti tra gli individui nella società. Poi però nella società qualcosa è cambiato, prima nella sensibilità pubblica e poi nella legislazione. In Italia ad esempio c’è voluta la legge 66 del 1996 contro la violenza sessuale per abrogare quegli articoli del codice Rocco che definivano lo stupro un delitto contro la moralità pubblica e il buon costume e non contro le persone. La Chiesa si è attardata a procedere nella stessa direzione e ciò anche a causa di ragioni dottrinali: vale a dire alla visione della pedofilia come un peccato contro il sesto comandamento, una prospettiva che prevede di lasciare sempre una possibilità di salvezza al peccatore pentito. Ma la visione della pedofilia come peccato è venuta sempre più distaccando la Chiesa dalla sensibilità corrente, per la quale essa costituisce invece un crimine con la C maiuscola: irreversibile e irredimibile perché attuato ai danni di chi (il minore) rappresenta l’innocenza. La pedofilia è divenuta in altre parole l’emblema di un rapporto di violenza criminale assoluta, esercitato da un carnefice nei confronti una vittima, un atto perciò che non può avere scusanti o attenuanti perché attenta alla salvezza collettiva. Il nostro testo, puntando a chiarire le dimensioni culturali di una diversa sensibilità vuole essere un contributo alla comprensione di questa dimensione del fenomeno della pedofilia.

Francesco Benigno è titolare della cattedra di Storia moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dopo avere insegnato nelle università di Catania, Messina e Teramo e come visiting professor in varie università straniere. Ha scritto sulla politica europea della prima età moderna, sui metodi e concetti della storia, sul crimine organizzato e sul terrorismo. Tra i suoi libri più recenti: Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella 2013; La mala setta. Alle origini di mafia e camorra 1859-1878, Einaudi 2015; Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica, Einaudi 2018 e, con Daniele di Bartolomeo, Napoleone deve morire. L’idea di ripetizione storica nella Rivoluzione francese, Salerno 2020
Vincenzo Lavenia insegna Storia moderna all’Università di Bologna. Si è occupato di storia della Chiesa e di sessualità in età moderna. Ha diretto il Dizionario storico dell’Inquisizione (con A. Prosperi e J. Tedeschi, 4 volumi, Edizioni Normale 2010), ha curato Storia del cristianesimo. 3. L’età moderna (Carocci 2015) ed è autore, tra l’altro, di Un’eresia indicibile. Inquisizione e crimini contro natura in età moderna (EDB 2015) e Dio in uniforme. Cappellani, catechesi cattolica e soldati in età moderna (Il Mulino 2018).

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